IL NUOVO SELVAGGIO WEST – LA COLONIZZAZIONE COMMERCIALE DELL’AFRICA
Assecondando
il volere dei loro benefattori aziendali, i governi dei paesi dominanti
del G8 stanno attuando complessi accordi agricoli, consegnando ampi
tratti di terra africana di prima scelta ai portafogli delle loro
amanti: le multinazionali.
Essendo alla disperata ricerca d’investimenti
stranieri, i paesi africani sono in balia dei loro nuovi padroni
coloniali; imprese agrochimiche nazionali e internazionali stanno
competendo per la terra, l’acqua e il controllo delle forniture
alimentari del mondo. Spinto in maniera schiacciante da interessi
personali e dal profitto, l’attuale gruppo di ‘investitori’ differisce
poco dai suoi antenati coloniali. I mezzi possono essere cambiati, ma
l’obiettivo di stuprare e saccheggiare, non importa quanto la verità
suoni retorica, rimane più o meno lo stesso.
Considerata dai suoi leader settentrionali
come un’area a basso rendimento agricolo, l’Africa sub-Sahariana è
vista, secondo African Centre for Bio-diversity [Centro africano per la
Biodiversità; ACB], come una “nuova frontiera”, un luogo per “fare
profitti, con un occhio alla terra, al cibo e in particolare ai
biocarburanti”. L’Africa, quindi, è il nuovo selvaggio West; i piccoli
agricoltori e le popolazioni indigene sono gli indiani nativi, le
multinazionali e i loro rappresentanti democraticamente eletti, o
venditori, sono i nuovi coloni.
Varie iniziative, che offrono quel che è,
indiscutibilmente, molto richiesto cioè “sostegno” ed “investimento”,
sono in corso da nord a sud. Tra queste ha un ruolo chiave The New
Alliance for Food Security and Nutrition in Africa [Nuova Alleanza per
la sicurezza alimentare e la nutrizione in Africa; NAFSNA], progettata
dai governi delle otto economie più ricche, per alcuni dei paesi più
poveri del mondo. La New Alliance è nata dal summit del G8 di maggio
2012 a Camp David e, secondo WoW, è stata modellata sulla ‘nuova
visione’ degli investimenti privati nell’agricoltura. E’ stata
sviluppata dal management consultants McKinsey in collaborazione con il
gruppo ABCD formato dai principali commercianti di grano (ADM, Bunge,
Cargill e Louis Dreyfus) e con altre multinazionali dell’industria
agroalimentare. Allo stesso tempo è stata descritta in termini etici per
essere inserita, in maniera accettabile, all’interno del Africa Union’s
Comprehensive African Agricultural Development Programme [programma di
sviluppo omnicomprensivo agricolo dell'Unione d’Africa; CAADP],
conferendogli un’aura di credibilità a livello internazionale.
La New Alliance … per l’appropriazione della terra e delle sementi
A
prima vista, la New Alliance, con i suoi obiettivi che brillano per
altruismo, sembra essere un degno passo in avanti. Chi tra noi potrebbe
mettere in discussione l’intenzione, come riportato dalle Nazioni Unite
(ONU), di “realizzare una crescita agricola sostenibile e inclusiva e
salvare 50 milioni di persone dalla povertà nel corso dei prossimi 10
anni”? I mezzi per raggiungere questo nobile obiettivo, però, sono
discutibili, infatti, ignorano i diritti e le esigenze dei piccoli
agricoltori e i desideri della popolazione locale. Questi ultimi non
vengono consultati durante gli inebrianti negoziati tra i funzionari del
governo locale e nazionale e le multi-fantastiliardarie corporazioni,
le quali si muovono a frotte per comprare la terra ancestrale dei
locali. Un reportage di WoW dichiara che i contratti e gli accordi
stipulati dall’Alliance favoriscono gli investitori facoltosi, rivelando
ciò che sta dietro all’obiettivo delle ingiuste iniziative del G8:
“Aprire l’agricoltura africana alle multinazionali dell’industria
agroalimentare per mezzo di ‘linee guida nazionali per la cooperazione’
tra i governi africani, i donatori e gli investitori del settore
privato”.
Ci raccontano che la riduzione della povertà
(obiettivo principale dichiarato dell’Alliance), sarà raggiunta non con
metodi razionali di condivisione e redistribuzione, bensì, come rivela
l’USAID [Agenzia Americana per lo sviluppo Internazionale] in data
18/05/2012, “uniformando gli impegni della classe dirigente d’Africa,
allo scopo di portare avanti dei piani nazionali efficaci e politiche
per la sicurezza alimentare”.
“Piani e politiche” redatti senza dubbio
nelle sale riunioni sacre di chi guida la ‘New Alliance’: i governi del
G8 e le loro coorti tra cui la Banca Mondiale, alle cui spalle stanno le
aziende agricole che tirano le fila della politica, con a fianco i
giganti farmaceutici ed i magnati dell’industria bellica. Poiché i
governi africani sono desiderosi di sedere a capo tavola, o almeno di
essere invitati nella stanza dei bottoni, hanno poca scelta, se non
quella di firmare questi ‘piani e politiche’ squilibrati.
A
oggi, nove paesi africani (in un continente di 54 stati nazionali), si
sono impegnati con la New Alliance. I primi a firmare sono stati,
Tanzania, Ghana e l’alleato privilegiato dell’Occidente nella regione:
l’Etiopia, dove un ampio spettro di violazioni dei diritti umani,
incluso le deportazioni e gli stupri hanno, a quanto si dice,
accompagnato le vendite dei terreni, e dove più di 250.000 persone, in
Gambella, sono state forzate a far parte di un progetto dal suono
orwelliano ‘Villagization Programmes’. Poi è toccato al Burkina Faso, al
Mozambico e alla Costa d’Avorio, seguito da Benin, Malawi e Nigeria. Si
tratta di un accordo grondante di vincoli che promettono di
intrappolare gli innocenti e i disinformati. Dopo “un’ampia
consultazione su terra e l’agricoltura”, con i funzionari dei potenziali
paesi partner, i cui risultati sono stati “ignorati dagli accordi con
il G8″, gli accordi “tra i governi africani e le società private sono
stati agevolati dal World Economic Forum”, dietro porte saldamente
chiuse. Così riferisce il giornale The Guardian.
Condizionati dagli investimenti promessi
dalla New Alliance, i leader africani si sono “impegnati”, così ci dice
l’USAID – ma “sono stati forzati” può essere una parola migliore – “ad
affinare le politiche [del governo], al fine di migliorare le
opportunità di investimento”. In parole povere, i paesi africani sono
tenuti a modificare le loro leggi sul commercio e sull’agricoltura per
accettare la fine della distribuzione gratuita delle sementi, per
allentare il sistema fiscale e i controlli nazionali sull’esportazione,
spalancando le porte al rimpatrio dei profitti (permettendo al denaro
così come alle colture di essere esportate). In Mozambico, come altrove
in tutto il continente, gli agricoltori locali sono stati sfrattati
dalle loro terre a causa degli accordi di vendita dei terreni. Il The
Guardian del 10.06.2013 riporta che “(Il Mozambico) è ora costretto a
scrivere nuove leggi che promuovano ciò che l’accordo definisce
“collaborazioni”di questo genere”. Un termine inquinato che nasconde il
vero rapporto tra i governi africani e gli “investitori”
multi-nazionali, che è più vicino a quello tra padrone e cameriera
piuttosto che a quello tra collaboratori alla pari.
L’Alleanza offre una combinazione di denaro
pubblico e privato ai paesi africani disposti a fare il grande salto,
proposto dal G8, verso la doppiezza politico-economica internazionale,
con, come riferisce ACB “le grandi aziende agrochimiche multinazionali
delle sementi, dei fertilizzanti che dettano le priorità … e le
istituzioni filantropiche (come Agra e altri) che stabiliscono i
meccanismi istituzionali e infrastrutturali per realizzare ciò che viene
deciso”. La Gran Bretagna ha promesso 395 milioni di sterline di aiuti
per l’estero sebbene, secondo le Nazioni Unite “oltre 45 aziende locali e
multinazionali hanno espresso la loro intenzione di investire oltre 3
miliardi di sterline in tutta la preziosa catena agricola dei paesi che
aderiscono a Grow Africa [un programma della nuova collaborazione per lo
sviluppo dell'Africa (NEPAD), istituito dall'Unione africana nel
2003.]“. Al fine di mettere le mani su alcuni dei miliardi delle
società, tuttavia, le nazioni africane sono tenute a “cambiare le loro
leggi sulle sementi, quelle sul commercio e sulla proprietà del
territorio, al fine di privilegiare i profitti aziendali sui bisogni
alimentari locali”. Ad esempio il Mozambico ha deciso, ci dice il The
Guardian, di “cessare sistematicamente la distribuzione di sementi
libere e non modificate”, e sta elaborando nuove leggi che conferiscano
diritti di proprietà intellettuale (IPR) sulle sementi, che
“promuoveranno gli investimenti del settore privato”.
In altre parole, sono state scritte leggi che
consentono alle aziende estere – “investitrici” (una parola usata per
indurre in errore e dare legittimità) – di impossessarsi della terra dei
loro “partner” africani, brevettare i loro semi e monopolizzare i loro
mercati alimentari. In Ghana, Tanzania e Costa d’Avorio, regolamenti
analoghi sono sul tavolo in attesa di essere approvati.
La riscrittura delle leggi sulle sementi,
insieme con il fatto che questi accordi squilibrati permettono alle
“grandi multinazionali agrochimiche delle sementi, dei fertilizzanti
come Yara, Monsanto, Syngenta e Cargill di decidere le priorità”, è una
delle principali preoccupazioni espresse dalle ONG ambientali e dagli
attivisti, dichiara Reuters in data 20/06/2013. Si tratta di
preoccupazioni che i governi, che hanno avviato il G8, dovrebbero
condividere, si sono mai preoccupati dall’impatto causato dalle loro
ingerenze?
La vasta proprietà, da parte di un piccolo
numero di grandi aziende agro-chimiche, dei diritti sulle sementi e sui
fertilizzanti sta creando (come dichiarano le Nazioni Unite nel loro
rapporto sul diritto al cibo) “i privilegi di un monopolio, a vantaggio
dei coltivatori e dei titolari di brevetto, attraverso lo strumento
della proprietà intellettuale”. Questa tendenza crescente, facilitata
dal sostegno dei governi del G8, sta ponendo sempre più il controllo
della catena alimentare a livello mondiale nelle loro mani, e sta
portando, “i contadini più poveri [a] dipendere sempre più da fattori
costosi, creando il rischio d’indebitamento a fronte di redditi
instabili.” L’India è un esempio, i contadini strangolati dai debiti si
tolgono la vita al ritmo di due ogni ora.
Condividere le sementi, la terra e l’acqua.
Gli agricoltori africani e la società civile
insieme a 25 gruppi di attivisti inglesi tra cui War on Want, Friends of
the Earth, The Gaia Foundation e il World Development Movement, hanno
esposto le loro obiezioni sulla New Alliance e hanno chiesto che il
governo neghi i 395 milioni di sterline generosamente promessi dal primo
ministro Cameron. La società civile africana vede chiaramente che
“l’apertura dei mercati e la creazione di spazi per assicurare profitti
alle multinazionali, sono il fulcro dell’intervento del G8″,
“riconoscono che la New Alliance è un calice avvelenato, e hanno ragione
a rifiutarla”, afferma Kirtana Chandrasekaran di Friends of the Earth
(FoE).
Dopo aver fatto un pasticcio continentale
nelle economie dei loro paesi, per non parlare del caos ambientale
causato dalle loro politiche, con imperturbabile arroganza coloniale i
governi del G8 ritengono di dover dire ai paesi africani che cosa fare
della loro terra e il modo migliore per farlo. Non solo non hanno alcun
reale interesse in Africa, eccetto ciò che si può guadagnare da essa, ma
non hanno “alcuna legittimità a intervenire in materia di prodotti
alimentari, fame e possesso della terra in Africa o in qualsiasi altra
parte del mondo”, mette in chiaro WoW. La New Alliance, secondo David
Cameron, è “una perfetta combinazione tra il promuovere il buon governo e
l’aiutare l’Africa a sfamare la sua gente”. Lui e il resto del club del
G8 stanno comodamente seduti, dichiarano i FoE, “fingendo di affrontare
la fame e la spartizione della terra in Africa, mentre spalleggiano un
sistema che rovinerà la vita di centinaia di migliaia di piccoli
agricoltori”, la New Alliance è “un assalto alle nazioni africane, a
vantaggio delle aziende”. Le opportunità “d’investimento e di supporto”
sono messe a disposizione degli investitori, per espandere ulteriormente
le loro risorse aziendali, con il sostegno dei governi partecipanti,
costretti a fornire una quantità variegata d’incentivi statali.
La fine della fame nell’Africa sub-Sahariana,
in India e altrove, non si otterrà, come questi governi credono,
lasciando che grandi appezzamenti di terreno siano acquistati da aziende
il cui unico interesse è massimizzare il ritorno sugli investimenti,
dichiara ACB. L’Alliance, lungi dal fornire investimenti e sostegno per i
popoli dell’Africa, è una maschera di sfruttamento e speculazione. Il
vero investimento, fondato su una collaborazione, è l’investimento sulle
popolazioni africane: i piccoli agricoltori, le donne, i bambini, le
comunità di tutto il continente. Implica il lavorare insieme, il
consultarsi, l’incoraggiare la partecipazione, collaborando invece di
competere, ed implica la condivisione, che è un punto cruciale.
La condivisione delle conoscenze, delle
esperienze e delle tecnologie, la condivisione in modo equo delle
risorse naturali, tra la gente dell’Africa e del mondo in generale:
terra, cibo, acqua, minerali e altre risorse. Tali idee, così radicali e
di buon senso, avvierebbero il lungo cammino per la creazione, non solo
della sicurezza alimentare, ma anche dell’armonia, della fiducia e
della giustizia sociale che potrebbe forse anche portare la pace: la
somma sicurezza.
Graham Peeble è direttore di Create Trust. Potete scrivergli a: graham@thecreatetrust.org
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANDROMEDA NURELF
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