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Alcune riflessioni sulla raccolta di dati personali e le
intercettazioni da parte di organismi statali di sicurezza. L’obiettivo di tali ‘raccolte’ è il cittadino comune oppure il funzionario
onesto, non certo il criminale o il potenziale
terrorista (categorie che risultano spesso contigue o addirittura
coincidenti con il reale potere elusivo). A questa mole di
dati, raccolta in ormai più di venti anni di attività, dobbiamo
sommarci quella ‘infinitezza’ di dati personali contenuti in altrettanti
database del fisco, delle videocamere di sorveglianza, delle forze di sicurezza, del catasto immobili, della compagnia telefonica fissa e mobile nonché delle tante agenzie locali e nazionali a cui la legislazione consente il trattamento dei dati
privati.
Proviamo ad immaginare poi la loro sovrapposizione con i database delle nostre banche e del nostro supermercato di fiducia o della nostra
libreria preferita (tramite le onnipresenti ‘tessere sconto') oppure delle preziosissime informazioni che regaliamo ai burattinai con le
‘innocenti’ fotografie o con le ‘amicizie’ del nostro account di Facebook (opera della Cia) o della
suite di Google per ottenere un quadro completo ed esaustivo di tutte le sfaccettature della personalità di ognuno di noi, a beneficio di chi
abbia la possibilità di effettuare questa fusione di dati. Non dimentichiamoci poi dei dati sanitari che, guarda caso, le amministrazioni
vorrebbero vedere tutti inseriti in un bel microchip
da ficcarci
nel palmo della mano o sulla fronte (cosa che, temo, avverrà a
breve!) o delle nostre dettagliate 'radiografie' 3D che regaliamo loro
ogni volta che attraversiamo un letale bodyscanner negli aereoporti internazionali.
Gli scandali della raccolta di dati sono eventi risibili se non si considera chi le faccia e perché tali
raccolte vengano effettuate. Chi sia a leggere tali dati e con quali finalità mi sembrano gli interrogativi pressanti
a cui il vero
giornalismo dovrebbe tentare di trovare risposta, ed invece: niente.
Si da evidentemente per scontato, come fa l’ottima Botteri, che il
potere sia sempre in buona fede e che i ‘cattivi’ siano
quelli che a quel potere si oppongono. Invece in questa vicenda, con
il contorno necessario dell’omino eroino plastificato di turno (prima
era la volta del robotico
Assange ora dell’elusivo Snowden) l’aspetto inquietante è che l’obiettivo finale di tali raccolte sia qualcosa relativa alla massa dei
cittadini comuni, sostanzialmente onesti.
Questo controllo intimo della popolazione civile che finalità
possiede? Escludendo quella della prevenzione del crimine, fino a che punto è possibile ricostruire una personalità umana attraverso questi
dati? La tracciabilità di ogni nostra azione o pensiero, fino a che punto può renderci ‘trasparenti’ ad un controllore? E’ possibile
delineare alcune caratteristiche genetiche personali tramite la lettura in codice di questi dati? Chi li
gestisce? Questi sono, a mio parere, gli aspetti davvero
inquietanti sui quali si dovrebbe riflettere. Intanto smettiamola con le
solite giustificazioni degli smanettoni di Facebook:
’tanto non ho nulla da nascondere!’ … perché ognuno di noi avrebbe molto da nascondere invece, e da tenere riservato come il bene più prezioso, quello a cui tutti, guarda caso, tendono. Nonostante tutte le fumosissime normative a tutela della privacy infatti, viviamo ormai dentro una radiografia
costante.
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