Il Gran Chaco è in pericolo. Gli indigeni boliviani si stanno mobilitando per difendere questo vero e proprio paradiso della biodiversità.
Il territorio del Gran Chaco si estende tra Bolivia, Argentina, Brasile
e Paraguay, comprendendo l'altopiano andino. Si tratta di una zona semi-arida che riesce comunque ad ospitare numerose e straordinarie varietà di piante e animali.
Il suo territorio è minacciato da numerosi fattori esterni, a partire dalle mire dei rancher, che sono intenzionati ad acquistare vaste aree del Gran Chaco in Paraguay e Brasile, per destinarle alla coltivazione di soia.
La porzione boliviana del Gran Chaco è considerata al momento la meglio
conservata, ma risulta purtroppo minacciata dalla presenza di un gasdotto e di operazioni militari contro i trafficanti di droga.
Sono stati posizionati degli accampamenti lungo la superficie di 34
mila chilometri quadrati del Kaa-lya del Gran Chaco, il parco nazionale
più vasto della Bolivia, con un estensione superiore a quella del
Belgio.
Erika Cruéllar, una biologa boliviana che ha conseguito il dottorato ad Oxford, si sta occupando di insegnare alle popolazioni indigene come preservare la biodiversità del Gran Chaco. Il suo intento consiste nel trasformare i giovani appartenenti alle tribù dei Guaranì, degli Ayoreo e dei Chiquitano in para-biologi,
cioè in biologi non specializzati a livello universitario che siano
comunque in grado di occuparsi della difesa della natura e della
biodiversità.
A suo parere, gli indigeni stessi
sono parte dell'ambiente naturale e devono dunque essere coinvolti in
prima persona nella sua difesa e nella conservazione della biodiversità
del Gran Chaco. Gli indigeni sono tra i pochi a riuscire ad adattarsi
alle temperature estreme della zona, che in estate raggiungono i 45
gradi e che diventano gelide in inverno. Durante la stagione secca, la scarsità d'acqua e le punture di insetti sono le minacce maggiori.
Le condizioni climatiche del Gran
Chaco non sono forse ideali per gli esseri umani, ma lo sono per le
piante e gli animali. Il suo territorio, seppur in gran parte arido,
ospita infatti oltre 3400 specie di piante, 500 specie di uccelli e 150 di mammiferi, inclusi giaguari e puma. Gli indigeni soni gli unici a potersi occupare realmente della difesa del territorio ed hanno il diritto di rimanere sul suolo che li ospita da sempre, accanto al dovere di proteggerlo.
Il loro impiego nella salvaguardia della biodiversità
porterebbe ad una vera e propria svolta sia per la difesa dell'ambiente
naturale, sia nel loro stile di vita. Numerosi indigeni sono stati
infatti costretti ad abbandonare il Gran Chaco per lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero. Guadagnano circa 1 dollaro e mezzo per ogni tonnellata di canne tagliate e ripulite.
Le comunità indigene del Gran Chaco hanno selezionato i partecipanti ad un corso di biologia della durata di 400 ore.
Gli studenti otterranno un certificato e impareranno ad utilizzare il
GPS, a raccogliere dati per elaborare risultati e a delineare progetti
di ricerca. La biologa è convinta che un simile progetto possa essere
esportato oltre la Bolivia e coinvolgere altre tribù indigene
sudamericane.
Sebbene i suoi progetti ed il suo
impegno siano stati riconosciuti a livello internazionale, anche
attraverso dei premi, essi non risulteranno sufficienti a risolvere la
situazione. Il problema principale, a parere della biologa boliviana,
risiede nella politica. Soltanto qualcuno con un
elevato potere politico potrebbe agire in modo concreto per proteggere
il Gran Chaco e la sua biodiversità, se solo lo volesse davvero.
Marta Albè
Fonte foto: goldenageofgaia.com
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