Oggigiorno siamo pronti ad ascoltare
anche le storie più improbabili e inverosimili. Ma che il sindacato dei
pensionati (Spi) della Cgil di Piacenza avesse messo insieme un software
truffaldino (era il gratta-gratta, dicono sotto i portici del centro di
questa provincia nebbiosa, al Nord dell’Emilia) per poter rubare ai
vecchietti le quote associative da loro mai sottoscritte, è una notizia
che non ci aspettavamo proprio.
Non se l’aspettava nemmeno, a dire il
vero, la Cgil nazionale che ha tentato in tutti i modi di spegnere
l’insostenibile scandalo che era già noto sul finire del mandato di
Epifani ma che solo ora è approdato nelle aule del Tribunale di Piacenza
dove il processo, forse per la sua delicatezza e complessità, si sta
snodando molto lentamente, accompagnato dall’assordante silenzio di
tutti i media nazionali che di solito starnazzano per molto meno.
Il processo contro le false deleghe Cgil
si sviluppa lentamente anche perché, a istruttoria già avanzata, si è
scoperto, ad esempio, che il software truffaldino della Cgil, che
pescava nel mucchio senza guardare in faccia a nessuno (il requisito per
essere spennati era solo quello di essere in pensione) aveva sottratto
indebitamente anche le quote della madre di un magistrato che ha dovuto
disimpegnarsi dal processo per evidente incompatibilità, essendo stata
anche sua madre, fin a quel momento, una inconsapevole parte lesa.
La Cgil regionale e nazionale, anziché
fare chiarezza su questa vicenda truffaldina, ha cercato a lungo di
spegnere lo scandalo arrivando addirittura a punire, non chi aveva
scientificamente organizzato il furto delle quote indebite ai
pensionati, ma «facendo leva, in modo arrogante, sul proprio potere, ha
invece allontanato e disperso il gruppo dirigente Cgil che aveva
denunciato e combattuto lo scandalo».
Quest’ultima affermazione è stata fatta
da Gianfranco Dragoni, figura di spicco e integerrima del sindacalismo
cigiellino locale fin dagli anni Cinquanta, sulle colonne del quotidiano
locale Libertà che è diretto alla grande da un giornalista di razza
come Gaetano Rizzuto.
Lo stesso Dragoni ricorda che,
inspiegabilmente «mancano, nel processo, l’Inps e il Garante della
privacy». Per Dragoni «questo è un fatto grave perché centinaia di
ignari pensionati, attraverso la penetrazione illegale nel sito
informatico dell’Istituto previdenziale, si sono visti trattenere, sulla
loro pensione, somme non da loro autorizzate».
«Certo», ammette Dragoni, «dal gennaio
2011 l’Inps, proprio a seguito di questo scandalo, ha introdotto misure
più stringenti contro il ripetersi di altri episodi fraudolenti ma non è
comprensibile che l’Inps, la cui immagine è stata indubbiamente
danneggiata, sia assente dal processo e lasci soli i suoi utenti».
Dragoni poi aggiunge: «Lo stesso dicasi per il Garante della privacy al
quale è sicuramente giunta la notizia dei fatti e che avrebbe dovuto su
questi, aprire un’istruttoria».
«Non solo», aggiunge Dragoni « gli
avvocati difensori degli ex dirigenti Spi-Cgil coinvolti in questo
scandalo hanno addirittura indicato come referente per trattare il
ritiro della querela a suo tempo presentata da 129 pensionati,
addirittura l’organizzazione dello Spi-Cgil di Piacenza» che è quella
che ha organizzato lo scippo.
A questo punto, Gianfranco Dragoni è
esplicito. Dice infatti che «per ridare alla Cgil l’autorevolezza che
gli compete per poter svolgere il suo lavoro, ci vuole un riconoscimento
pubblico degli errori commessi. E questo atto spetta al segretario
generale della Cgil, Susanna Camusso» .
Fonte: ● gek60.altervista.org
http://guardforangels.altervista.org/blog/la-cgil-derubava-i-vecchietti/
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