giovedì 12 maggio 2016

Il Myanmar di Suu Kyi si allontana dagli USA

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Quando un vecchio amico e collega ambasciatore in Myanmar m’inviò a novembre l’intervista di Aung San Suu Kyi al Washington Post, ne fui sbalordito. Il colloquio smentiva la valutazione comune di Suu Kyi nel nostro Paese come creazione dell’occidente contro il ventre molle della Cina. 

Nell’intervista, Suu Kyi di punto in bianco si rifiutava di accreditare agli Stati Uniti i successi nella promuovere la democrazia. Ha sottolineato che l’interesse del Myanmar sarà perseguito con politiche non allineate, differenziando inoltre la posizione del Myanmar sul problema del Mar Cinese Meridionale, sottolineando l’importanza delle relazioni con la Cina. (Washington Post) Nella visione strategica indiana, un pio desiderio spesso si tramuta in ipotesi. Il punto è la rivalità intensa con la Cina, prisma dei pandit indiani, che porta ad avere idee sbagliate su Suu Kyi dipendente dal sostegno degli Stati Uniti per la propria sopravvivenza politica. (Times of India)

Finiamo dritto nel complotto? Data la “situazione unipolare” degli esperti indiani, spesso attribuiscono un’influenza agli Stati Uniti più grande che negli altri Paesi. Anche le lezioni dell’Afghanistan non sono state apprese correttamente, cioè, non ci sono limiti al potere degli Stati Uniti. In realtà, vi sono sempre più indicazioni sull’emerge di un attrito latente tra Washington e Suu Kyi, dove gli Stati Uniti cercano d’imporsi su di lei. Il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Myanmar ha sfidato apertamente il consiglio dal Ministero degli Esteri (guidata da Suu Kyi) a non riferirsi al problema dei rohingya. (Guardian


In effetti, il problema dei rohingya è estremamente consequenziale per l’India, perché nella stragrande maggioranza dell’opinione in Myanmar il problema è legato alla grande migrazione illegale di musulmani dal Bangladesh e non riguarda una questione etnica o una minoranza perseguitata. Ora, con il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti che solleva un polverone sul problema rohingya sul piano diplomatico, il New York Times ha scritto un editoriale rabbioso contro l'”atteggiamento vile” di Suu Kyi. The Times è sempre stato indicativo, facendo capire che il vero problema qui è Suu Kyi: 
Alla fine, la ragione per cui Aung San Suu Kyi non vuole che gli statunitensi dicano “rohingya” non ha molta importanza. Ciò che conta è che una donna il cui nome è stato sinonimo di diritti umani per una generazione, una donna che ha mostrato coraggio inflessibile di fronte al dispotismo, ha continuato la politica del tutto inaccettabile dei governanti militari che ha sostituito… La sua aura era un fattore centrale nel reinserimento del Myanmar nella comunità mondiale… ma già vi sono appelli dai gruppi per i diritti umani negli Stati Uniti al presidente Obama per rinnovare le sanzioni contro il Paese entro il 20 maggio“. (New York Times) Il Los Angeles Times è stato più esplicito nel raccomandare che “il governo degli Stati Uniti mantenga almeno alcune regole per gli investitori e le sanzioni contro il Myanmar che dovrebbero scadere a fine mese, in particolare quelle che richiedono alle aziende statunitensi attive in Myanmar di riferire sugli sforzi per garantire che i diritti umani e del lavoro siano mantenuti, e di non fare accordi con i cittadini denunciati per violazioni dei diritti umani“. (LA Times)
Gli Stati Uniti puntano a modificare l’obiettivo delle sanzioni. Nel frattempo, Wall Street Journal citava il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Myanmar dire che 
Washington non è pronta a togliere tutte le sanzioni contro il Myanmar, in attesa di progressi su questioni come i diritti umani“. (WSJ
Evidentemente, la questione centrale qui è la politica di Suu Kyi verso la Cina. La pressione degli Stati Uniti avviene proprio quando Suu Kyi è chiamata a decidere sui programmi cinesi in stallo nel Myanmar. (Si trova di fronte alla stessa situazione che nello Sri Lanka Ranil Wickremesinghe ha affrontato). Suu Kyi si piegherà alla pressione statunitense? Pechino sembra ragionevolmente fiduciosa a che Suu Kyi in ultima analisi, decida per il meglio nell’interesse del suo Paese, come nello Sri Lanka fece infine il Primo ministro Ranil Wickremesinghe. (Global Times

Tutto questo è importante in un momento in cui Nuova Delhi deve capire il proprio approccio verso il governo di Suu Kyi. Il ministro degli Esteri Sushma Swaraj doveva visitare il Myanmar la scorsa settimana, ma ha avanzato cause di salute. L’India ha interessi vitali in gioco, che rende imperativo essere alleata amichevole, cooperativa e reattiva con Suu Kyi, non importa la disillusione dello Zio Sam su di lei. La linea di fondo è che l’India dovrebbe avere una politica estera indipendente verso il Myanmar.

MK Bhadrakumar Indian Punchline 11 maggio 2016

Myint Swe
 
Il Parlamento del Myanmar approva l’accordo di cooperazione militare con la Russia
Secondo i media, la camera bassa del parlamento del Myanmar ha approvato un accordo sulla cooperazione militare con la Russia, su richiesta delle Forze Armate.
La camera bassa del parlamento del Myanmar, Pyidaungsu Hluttaw, ha approvato un nuovo accordo sulla cooperazione militare con la Russia su richiesta delle Forze Armate, secondo i media locali. La proposta del Ministero della Difesa è stata adottata dal Parlamento senza obiezioni, secondo il Myanmar Times. Il Viceministro della Difesa del Myanmar Maggior-Generale Myint Nwe ha detto che i due Paesi hanno una lunga cooperazione militare ed altri accordi probabilmente seguiranno. 

A fine aprile, il Ministro della Difesa russo Sergej Shojgu aveva detto che la Russia prevede di rafforzare la cooperazione bilaterale con l’Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN) i cui Paesi membri sono Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Cambogia, Laos, Myanmar e Vietnam.

Sputnik, 11/05/2016

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Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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