giovedì 12 maggio 2016

MAGISTRATI, INDAGATI, DIMISSIONI

Magistrati inaugurazione anno giudiziario

Se fossi il sindaco di Livorno o un qualsiasi altro amministratore cui si chiede di dimettersi perché indagato, imputato, rinviato a giudizio oppure condannato non definitivamente, risponderei: «Che fanno i magistrati stessi, quando si ritrovano indagati, imputati o condannati? Si dimettono o non si dimettono?

Spesso non si dimettono; quindi perché dovrei dimettermi io, tanto più che, a differenza dei magistrati, ho una legittimazione popolare? La democrazia non lascia ai PM di decidere chi può rappresentare la gente. »

Personalmente, conosco qualche magistrato che, accusato di un reato piuttosto grave, con prove piuttosto evidenti, si è semplicemente trasferito nella città più vicina, senza che alcuno chiedesse le sue dimissioni, e continua tranquillamente a giudicare o inquisire ed accusare, tra colleghi e avvocati che sanno della sua situazione. Dov’è il problema? Se lo standard generale di sensibilità nel Paese è questo, va bene così.

Sapendo che nell’apparato pubblico l’illegalità e l’affarismo sono molto diffusi, è pure irrazionale credere che una parte specifica di esso, cioè il settore giudiziario, sia diversa e immune da quelle caratteristiche anziché simile al resto dell’apparato, tanto più che si conoscono molti casi di magistrati autori di gravi illeciti, e che quindi è evidente che la qualità di magistrato non è affatto garanzia di legalità o moralità. Certo, sapere quanto è corrotto l’apparato pubblico suscita il forte bisogno emotivo di credere in un potere superiore e immune da questi vizi e in grado di colpire la corruzione e risanare il sistema. Questo bisogno alimenta il prestigio popolare della magistratura, con la sua mitologia.

Vengo a un terzo punto, ancora più importante, che devo spiegare, come avvocato e giurista. Si tratta del rapporto tra processo e ricerca della verità. Comunemente si pensa che la verità debba essere accertata dal processo e dai giudici, perché accertarla sarebbe la funzione del giudizio. Così non è, come ogni avvocato sa: sententia facit de albo nigrum.

Nella ricerca scientifica o storica o sociologica, la verità è ricercata a) senza limiti formalistici e senza vincoli di scopo, liberamente; b) ogni accertamento può e deve essere rimesso in discussione quando emerga qualche dato di fatto che smentisca l’accertamento già acquisito: le conclusioni della scienza sono sempre provvisorie e aperte.

La ricerca della verità, nel processo, è invece a) finalizzata non alla conoscenza ma a chiudere un caso prendendo una decisione; ed è b) sottoposta a forme, limiti, scadenze che spesso portano a risultati molto diversi rispetto alla verità. Il processo deve adattarsi al principio del contraddittorio e al principio dell’onere della prova, che non si applicano all’indagine scientifica.

La sentenza può accertare una cosa oppure il suo contrario solo perché un avvocato o il pubblico ministero non chiede per tempo l’audizione del testimone chiave oppure non riesce a produrre in tempo un documento importante o perché non rispetta qualche formalità nell’assunzione di una prova, per esempio di un’analisi chimica o di un’intercettazione telefonica. Avviene che un colpevole non venga nemmeno giudicato o sia prosciolto perché interviene la prescrizione o perché la querela viene rimessa o perché cambia la legge. O che sia assolto per insufficienza di prove. O che qualcuno sia indagato e arrestato perché alcuni magistrati vogliono neutralizzarlo per ragioni di politica o di affari, oppure, al contrario, può darsi che gli diano copertura e protezione. La ricerca scientifica e storica o investigativa, se non riesce ad accertare o confutare un’ipotesi, può dire “non sappiamo, sospendiamo il giudizio”; il giudice invece deve decidere in ogni caso.

Per queste ragioni, è errato pensare che le sentenze accertino e certificano la verità dei fatti e delle eventuali colpe e che si possano sostituire alla libera indagine. Non è il sigillo dell’autorità statale a rendere certa e indiscutibile un’affermazione dal punto di vista della verità. E’ da stupidi o ignoranti od opportunisti dire: “non so quale sia la verità; aspettiamo che i giudici accertino se i fatti di cui Tizio è accusato o no”, “i giudici accerteranno la verità e noi potremmo e dovremmo attenerci alle loro verifiche come accertamenti definitivi e indiscutibili per decidere se Tizio o Caio sia degno o indegno di fare il sindaco, il ministro, il presidente di un ente pubblico.” Talvolta neppure una condanna o un’assoluzione definitiva risolve i dubbi.

Sarebbe comodo e rassicurante che le cose stessero così, ma così non stanno, e il principio di realtà esige che ci rassegniamo a non avere un metodo automatico per risolvere questi dubbi. Dobbiamo esaminare caso per caso e concretamente la vicenda, e, se non lo possiamo fare, in mancanza di prove evidenti, dobbiamo sospendere il giudizio e tenerci il dubbio. Conclusione questa molto frustrante per il pensiero popolare, che invece esige giudizi chiari, semplici, forti, definitivi, e possibilmente che producano una scarica emotiva.


Marco Della Luna

Fonte: Marco della luna.info
http://www.controinformazione.info/magistrati-indagati-dimissioni/

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