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Una vecchia leggenda Visnuista narra di un tempo in cui tutti gli uomini erano potentissimi Dei, che a causa dell'ego smisurato abusarono della loro Potenza Divina al punto di spingere Brahma, capo degli Dei, a prendere la decisione di togliere loro la scintilla divina di cui tanto hanno abusato e nasconderla dove non l'avrebbero mai trovata....
A questo punto
sorse un grande dilemma: quale luogo ha la caratteristica di essere così
difficile da raggiungere da risultare un ottimo nascondiglio? Le altre
divinità, a questo punto, vennero riunite a consiglio per valutare il
problema appena insorto e, dopo aver ragionato bene sulla questione,
dissero: "Seppelliremo la divinità dell'uomo in fondo alla terra".
Brahma prontamente obbiettò: "No, non basta, perché l'uomo scaverà e la troverà". Allora gli Dei risposero: "Bene, allora affonderemo la sua
forza nell'oceano più profondo". Ma Brahma si oppose ancora: "No, perché
prima o poi l'uomo esplorerà le profondità di ogni oceano e la
riporterà in superficie". Allora gli dei minori conclusero: "Non
sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia alcun posto
sulla terra o nel mare dove l'uomo non potrebbe eventualmente
raggiungerla".
Così a Brahma venne un idea e la espose replicando: "Ecco
cosa faremo con la divinità dell'uomo. La nasconderemo nelle profondità
del suo stesso essere, perché non penserà mai di cercarla proprio lì".
E
da allora, conclude la leggenda, l'uomo è andato su e giù per la terra,
arrampicandosi, tuffandosi, esplorando e scavando, per cercare qualcosa
che invece aveva sempre racchiusa in Sé. il
significato della leggenda è molto semplice: ogni cosa che l'uomo cerca
nel mondo (amore, accettazione, sicurezza, felicità...) è riconducibile
alla sua realtà divina e solo trovando quest'ultima è possibile avere
tutto il resto come conseguenza.
Agli occhi delle persone che non si
sono mai interessate prima d'ora alla ricerca spirituale potrebbe
sembrare un'assurdità il pensiero di poter trovare ciò che cerca solo
interiormente, ma se ci rifletti un attimo non sarà difficile concludere
che qualsiasi cosa possa essere trovata all'esterno di noi non è
durevole, poiché dipende dalla dimensione materiale, in cui ogni cosa
muta costantemente.
Se, ad esempio, riusciamo ad ottenere la felicità
grazie ad una persona, dal momento che le strade si divideranno – cosa
che accadrà inevitabilmente prima o poi, sia pure con l'abbandono del
corpo fisico – ci sentiremo estremamente infelici. Allo stesso modo, se
affidiamo la nostra autostima alla carriera, qualora dovessimo perdere
l'impiego, arriveremmo a credere di essere delle nullità. In sintesi,
tutto quello che è legato ad un oggetto esterno provoca dipendenza
dall'oggetto stesso e, poiché viviamo in un mondo caratterizzato
dall'impermanenza, ciò che vi troviamo è destinato a cessare quando la
situazione cambierà.
Molto spesso non dobbiamo nemmeno aspettare di
perdere l'oggetto esterno per veder cessare l'effetto che ha avuto su di
noi, infatti l’ambizione a qualcosa di nuovo non tarderà ad arrivare ed
il reale appagamento rimarrà nascosto insieme alla scintilla divina
dell'uomo; è proprio questo a provocare lo stato di frustrazione che
quasi ogni uomo conosce. Per contro, se riusciamo a trovare in noi
stessi l'amore, la gioia, l'autostima e tutto ciò che siamo abituati a
cercare nel mondo, questi sentimenti saranno i petali dell'infinito
fiore divino che si trova nel profondo di ogni uomo, per questo saranno
incondizionati e profumeranno di eternità.
Nascondere la scintilla
divina nel profondo dell'uomo è stata una mossa astuta, non perché lì
sia realmente impossibile trovarla, ma per arrivarvi è necessario andare
oltre le illusioni della mente duale e dell'ego, ottenendo una saggezza
con la quale, una volta ritrovato il potere, sarà impossibile abusarne.
Ma come si può scendere in profondità dentro di sé? Con la meditazione!
Ogni disciplina o corrente di pensiero indiana rappresenta lo sforzo di
creare un percorso attraverso il quale è possibile realizzare il
proprio essere, riscoprendo in sé la propria divinità per liberarsi dal
vincolo alla dimensione terrena e le sue illusioni. Ciascuna filosofia
ruota attorno ad una strada unica, diversa dalle altre, e nessuna di
esse è sbagliata, ma ciò che funziona per un individuo può non essere di
alcuna utilità ad un altro.
Per questo affermiamo spesso che il
percorso verso casa è strettamente personale: possiamo prendere spunto
da ogni scuola di pensiero che riconosciamo affine al nostro essere,
trovare ciò che c'è di vero in ogni filosofia ed aggiungerlo al proprio
bagaglio interiore, ma lo strumento migliore che abbiamo per orientarci
in questa “giungla” di informazioni è il nostro sentire.
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I Quattro Scopi della Vita di un Hindu
Secondo la
concezione filosofica dell’induismo, l'uomo, durante il suo cammino in
questo mondo, deve realizzare se stesso non solo spiritualmente,
piuttosto in ogni ambito relativo all’esperienza terrena, così da vivere
tutte le situazioni (purché in armonia con le norme etiche) per
arrivare alla consapevolezza che le cose mondane non possono appagarlo
in modo duraturo ed a quel punto iniziare a riscoprire la sua essenza
divina, conquistandosi gradualmente quella felicità duratura che si
trova oltre la “realtà” delle forme.
Le azioni devono essere sempre
rivolte al miglioramento delle condizioni di vita, senza trascurarne
nessun aspetto e perseguendo i giusti obbiettivi è possibile rompere i
legami del karma, per raggiungere la liberazione dal ciclo delle
rinascite. I quattro scopi legittimi della vita (puruṣārta) non
trascurano quindi alcuna dimensione dell’esistenza umana, il loro fine è
puramente evolutivo e sono composti da tre obiettivi perseguibili nel
mondo, chiamati Artha, Kama e Dharma, più uno ultraterreno, il mokṣa,
visto come lo scopo ultimo dato che trascende tutti gli altri.
Il primo,
Artha, è la ricchezza materiale, intesa come la realizzazione del
benessere e del potere, comprendendo altresì quello politico. Questo
scopo è chiaramente relativo alle condizioni materiali, ai mezzi
necessari per mantenere un buono stato di salute e una condizione
sociale soddisfacente. Kāma può essere tradotto come piacere,
soddisfazione dei desideri, inclusi quelli sessuali e proprio
sull’erotismo vi è una raccolta letteraria nella quale sono conservati i
trattati brahmanici detti Kāmasūtra a cui avevano già anticamente
accesso anche le donne poiché la legittima soddisfazione sessuale era un
loro diritto.
Dharma significa giustizia, indica la norma universale e
l'ordine etico con cui godere dei piaceri della vita, delle ricchezze,
del potere, ovvero è ciò che deve assimilare e governare la
realizzazione dei due obbiettivi precedenti, così che non passino i
limiti della legittimità, facendo in modo che ogni azione sia in armonia
con l'intero universo.
L’ultimo, il mokṣa o mukti, rappresenta la
libertà assoluta, identificabile come il fine ultimo non solo degli
induisti, bensì di ogni Anima incarnata sulla Terra, consiste nella
liberazione dalle catene che ci legano a questa dimensione terrena,
costringendoci a rinascere ed è l’obiettivo da conseguire nell'ultimo
stadio della vita, la vecchiaia, che tradizionalmente implica
l’abbandono degli attaccamenti per diventare un asceta errante.
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Yuga: il Tempo Cosmico degli Hindu
L’idea di un
universo in espansione non è nata nelle menti dei fisici moderni, in
realtà era già presente nell’antica cosmologia induista. Alcune delle
teorie contemporanee più accreditate descrivono un universo che sembra
pulsare: si espande per miliardi di anni per poi contrarsi fino a
collassare in un piccolo punto, per poi tornare nuovamente ad
espandersi, in un eterno ciclo: questa è la teoria dell’universo
oscillante.
La filosofia indiana aveva proposto già nell’antichità
l’idea di una realtà cosmica che si contrae ed espande ritmicamente
nell’arco di miliardi di anni, attraverso enormi cicli denominati
“respiri di Brahman”. Secondo questa cultura il divino si trasmuta nel
mondo allo scopo di giocare il suo gioco cosmico (lila), che si perpetua
in cicli senza fine dove l’Uno si scinde virtualmente in molte forme e
le molte forme si dissolvono tornando nell’Uno.
Il tempo cosmico è
misurato per mezzo degli anni divini, nei quali ogni anno corrisponde a
trecentosessanta di quelli umani, e ci vogliono ben 12 milioni di anni
divini per formare un solo “giorno di Brahmā” denominato Kalpa. Brahmā, e
con lui l’universo per come lo conosciamo, esiste complessivamente per
100 anni composti da questi giorni, ovvero per 311.040 miliardi di anni
umani, ma per comprendere bene la difficile cosmogonia induista,
composta da complessi concetti distanti dal modo di pensare occidentale e
numeri così grandi da essere quasi inconcepibili, è necessario
procedere per gradi.
Dodicimila anni divini, equivalenti a 4 milioni e
320 mila anni umani, formano un Mahā-Yuga - dal sanscrito "grande
generazione” - diviso in quattro cicli chiamati Yuga minori, ognuno dei
quali possiede caratteristiche distintive ed un nome originato dal
lessico del gioco indiano dei dadi. Il Kṛta-Yuga, generazione associata
al punteggio quadruplo (quindi vincente), rasenta l’età dell’oro, in cui
sulla terra regnano l'armonia, la ricchezza spirituale e per questo
viene spesso paragonata ad un tavolo con quattro gambe, essendo un epoca
di grande stabilità e tra tutte quella più duratura: ben quattromila
anni divini, ovvero 1.440.000 anni umani.
La pratica religiosa associata
a questo particolare ciclo è l'ascesi, mentre la vita umana è di 400
anni umani. Il Tretā-Yuga, o generazione del punteggio triplo, è il
periodo in cui il conseguimento della virtù non è più spontaneo come
nell’età precedente e si predilige la pratica religiosa della
conoscenza. Possiamo dire che è in questo contesto che ha inizio il
declino, infatti è un epoca associabile ad un tavolo a tre gambe, avente
una discreta stabilità e durata: tremila anni divini, ovvero 1.080.000
anni umani, mentre la vita media è 300 anni umani.
Nel Dvāpara-Yuga,
letteralmente generazione del punteggio doppio, incominciano a sorgere
le passioni e l’aspetto egoico insito nel carattere umano, la pratica
religiosa è guidata dalle norme etiche, l’armonia con l’esistente, la
durata della vita è di 200 anni umani. Per comprendere questo Yuga
possiamo richiamare l’immagine di un tavolo a due gambe, quindi
caratterizzato da una scarsa stabilità e durata: duemila anni divini,
ovvero 720.000 anni umani.
Il Kali-Yuga, dal significato di generazione
dal punteggio singolo (per questo perdente), rappresenta il tempo delle
violazioni spontanee delle leggi universali e delle norme etiche, dove
ci si arricchisce rubando o addirittura per mezzo di delitti; qui
ignoranza, violenza, confusione e corruzione la fanno da padrone, perché
l’uomo ha dimenticato la propria essenza divina e si lascia guidare
dall’ego e dai più bassi istinti.
È possibile paragonare questa era ad
un tavolo con una sola gamba, poiché non c’è equilibrio, la pratica
religiosa è anch’essa molto materialista - si tratta della donazione -,
gli uomini vivono al massimo per 100 anni ed è in assoluto il ciclo più
corto: complessivamente si conclude in mille anni divini, ovvero 360.000
anni umani.
Ogni era ha inoltre un periodo di nascita ed uno di
crepuscolo da sommare alla durata di ogni Yuga, corrispondente al 10%
del suo totale:
288.000 anni umani (800 anni divini) per il Kṛta-Yuga;216.000 anni umani (600 anni divini) per Tretā-Yuga;144.000 anni umani (400 anni divini) per il Dvāpara-Yuga;72.000 anni umani (200 anni divini) per il Kali-Yuga.
Sulla base di quanto detto possiamo affermare
che, tra periodo pieno, fase di nascita e crepuscolo, l'attuale
Kali-Yuga durerà per 432.000 anni umani e, considerando la data
tradizionale di avvio del Kali-Yuga, coincidente con la morte di Kṛṣṇa e
fatta risalire al nostro 18 febbraio 3103/3102 a.C., si calcola che
esso terminerà il 17 febbraio 428897/428896 d.C. segnando non solo
l’inizio di una nuova età dell’oro, ma anche del prossimo Mahā-Yuga.
Mille Mahā-Yuga, quindi 12.000.000 anni divini, corrispondono alla
durata di un eone, chiamato tradizionalmente Kalpa ed equivalente a
4.320.000.000 anni umani: questo è il periodo di manifestazione del
cosmo, chiamato anche “giorno di Brahmā”, alla fine del quale
l’universo viene parzialmente distrutto, segnando l’inizio di una “notte
di Brahmā” che dura esattamente quanto il giorno.
Durante il "giorno"
regnano quattordici Manu, mentre la “notte” rappresenta il periodo di
latenza nel quale tutto l’esistente è riassorbito nella notte cosmica,
pronto a riemergere con una nuova emanazione di Brahmā. Trenta giorni e
notti, quindi in tutto sessanta Kalpa, costituiscono un mese di Brahma.
Dodici mesi di Brahma (360 giorni e notti) costituiscono un suo anno e
100 anni rappresentano la sua intera vita, durata della manifestazione
dell’intero universo, dalla sua nascita alla sua dissoluzione. Questo
periodo di esistenza cosmica è detto Mahā-Kalpa (Il Grande Kalpa) e la
sua durata equivale a 311.040.000.000.000 di anni umani e 864 miliardi
di anni divini, un battito di palpebre del Dio supremo Nārāyaṇa.
Secondo
questa visione stiamo attualmente vivendo il cinquantunesimo anno e ci
troviamo quindi a metà della grande fase esistenziale dell’Universo, al
termine del quale avviene una distruzione totale della forma, in cui
ogni cosa torna ad essere parte del divino e così rimane per altri cento
anni di Brahma, dopodiché il ciclo ricomincia da capo.
È importante
sottolineare che nella visione induista solo una parte dell’esistenza è
soggetta ai cicli, quella più materiale ed illusoria, identificabile con
il gioco divino, mentre l’essenza di tutto è eterna, al di là dei cicli
cosmici e del tempo.
Si tratta di ciò che potremo chiamare Dio, ma non
ha forma, è al di sopra di ogni limite, della dualità, è la nostra
essenza più profonda, paragonabile al nucleo di ogni cosa esistente,
l’immobile centro del cerchio della vita, in cui la periferia
rappresenta ciò che è manifesto e mutevole. Krsna spiega ad Arjuna
questo concetto nell’ottavo canto della Bhagavad Gita (versi 19-21):
“Esiste un altro non manifestato, eterno, che, anche quando tutti gli esseri periscono, non perisce. È detto l’Imperituro, il Non Manifestato. E’ Lui che si proclama essere il fine supremo. Quando lo si è ottenuto, non si rinasce più. È la mia sede suprema.”
Autori: Ambra Guerrucci e Federico Bellini
Titolo: "La Via delle Filosofie Indiane"
Editore: Risveglio Edizioni
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