venerdì 10 giugno 2016

"Leggenda Induista della verità nascosta nell’Uomo"

Risveglio Edizioni, Libri, Spiritualità, Meditazione, Medicina, Cosmologia, Arte, Filosofia, Ufologia, Federico Bellini, Ambra Guerrucci, Osho, TV
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Una vecchia leggenda Visnuista narra di un tempo in cui tutti gli uomini erano potentissimi Dei, che a causa dell'ego smisurato abusarono della loro Potenza Divina al punto di spingere Brahma, capo degli Dei, a prendere la decisione di togliere loro la scintilla divina di cui tanto hanno abusato e nasconderla dove non l'avrebbero mai trovata....
A questo punto sorse un grande dilemma: quale luogo ha la caratteristica di essere così difficile da raggiungere da risultare un ottimo nascondiglio? Le altre divinità, a questo punto, vennero riunite a consiglio per valutare il problema appena insorto e, dopo aver ragionato bene sulla questione, dissero: "Seppelliremo la divinità dell'uomo in fondo alla terra". Brahma prontamente obbiettò: "No, non basta, perché l'uomo scaverà e la troverà". Allora gli Dei risposero: "Bene, allora affonderemo la sua forza nell'oceano più profondo". Ma Brahma si oppose ancora: "No, perché prima o poi l'uomo esplorerà le profondità di ogni oceano e la riporterà in superficie". Allora gli dei minori conclusero: "Non sappiamo dove nasconderla, perché sembra che non ci sia alcun posto sulla terra o nel mare dove l'uomo non potrebbe eventualmente raggiungerla". 
Così a Brahma venne un idea e la espose replicando: "Ecco cosa faremo con la divinità dell'uomo. La nasconderemo nelle profondità del suo stesso essere, perché non penserà mai di cercarla proprio lì". 
 
E da allora, conclude la leggenda, l'uomo è andato su e giù per la terra, arrampicandosi, tuffandosi, esplorando e scavando, per cercare qualcosa che invece aveva sempre racchiusa in Sé. il significato della leggenda è molto semplice: ogni cosa che l'uomo cerca nel mondo (amore, accettazione, sicurezza, felicità...) è riconducibile alla sua realtà divina e solo trovando quest'ultima è possibile avere tutto il resto come conseguenza. 
 
Agli occhi delle persone che non si sono mai interessate prima d'ora alla ricerca spirituale potrebbe sembrare un'assurdità il pensiero di poter trovare ciò che cerca solo interiormente, ma se ci rifletti un attimo non sarà difficile concludere che qualsiasi cosa possa essere trovata all'esterno di noi non è durevole, poiché dipende dalla dimensione materiale, in cui ogni cosa muta costantemente. 
 
Se, ad esempio, riusciamo ad ottenere la felicità grazie ad una persona, dal momento che le strade si divideranno – cosa che accadrà inevitabilmente prima o poi, sia pure con l'abbandono del corpo fisico – ci sentiremo estremamente infelici. Allo stesso modo, se affidiamo la nostra autostima alla carriera, qualora dovessimo perdere l'impiego, arriveremmo a credere di essere delle nullità. In sintesi, tutto quello che è legato ad un oggetto esterno provoca dipendenza dall'oggetto stesso e, poiché viviamo in un mondo caratterizzato dall'impermanenza, ciò che vi troviamo è destinato a cessare quando la situazione cambierà. 
 
Molto spesso non dobbiamo nemmeno aspettare di perdere l'oggetto esterno per veder cessare l'effetto che ha avuto su di noi, infatti l’ambizione a qualcosa di nuovo non tarderà ad arrivare ed il reale appagamento rimarrà nascosto insieme alla scintilla divina dell'uomo; è proprio questo a provocare lo stato di frustrazione che quasi ogni uomo conosce. Per contro, se riusciamo a trovare in noi stessi l'amore, la gioia, l'autostima e tutto ciò che siamo abituati a cercare nel mondo, questi sentimenti saranno i petali dell'infinito fiore divino che si trova nel profondo di ogni uomo, per questo saranno incondizionati e profumeranno di eternità. 
 
Nascondere la scintilla divina nel profondo dell'uomo è stata una mossa astuta, non perché lì sia realmente impossibile trovarla, ma per arrivarvi è necessario andare oltre le illusioni della mente duale e dell'ego, ottenendo una saggezza con la quale, una volta ritrovato il potere, sarà impossibile abusarne. Ma come si può scendere in profondità dentro di sé? Con la meditazione! 
 
Ogni disciplina o corrente di pensiero indiana rappresenta lo sforzo di creare un percorso attraverso il quale è possibile realizzare il proprio essere, riscoprendo in sé la propria divinità per liberarsi dal vincolo alla dimensione terrena e le sue illusioni. Ciascuna filosofia ruota attorno ad una strada unica, diversa dalle altre, e nessuna di esse è sbagliata, ma ciò che funziona per un individuo può non essere di alcuna utilità ad un altro. 
 
Per questo affermiamo spesso che il percorso verso casa è strettamente personale: possiamo prendere spunto da ogni scuola di pensiero che riconosciamo affine al nostro essere, trovare ciò che c'è di vero in ogni filosofia ed aggiungerlo al proprio bagaglio interiore, ma lo strumento migliore che abbiamo per orientarci in questa “giungla” di informazioni è il nostro sentire.
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I Quattro Scopi della Vita di un Hindu
Secondo la concezione filosofica dell’induismo, l'uomo, durante il suo cammino in questo mondo, deve realizzare se stesso non solo spiritualmente, piuttosto in ogni ambito relativo all’esperienza terrena, così da vivere tutte le situazioni (purché in armonia con le norme etiche) per arrivare alla consapevolezza che le cose mondane non possono appagarlo in modo duraturo ed a quel punto iniziare a riscoprire la sua essenza divina, conquistandosi gradualmente quella felicità duratura che si trova oltre la “realtà” delle forme. 
 
Le azioni devono essere sempre rivolte al miglioramento delle condizioni di vita, senza trascurarne nessun aspetto e perseguendo i giusti obbiettivi è possibile rompere i legami del karma, per raggiungere la liberazione dal ciclo delle rinascite. I  quattro scopi legittimi della vita (puruṣārta) non trascurano quindi alcuna dimensione dell’esistenza umana, il loro fine è puramente evolutivo e sono composti da tre obiettivi perseguibili nel mondo, chiamati Artha, Kama e Dharma, più uno ultraterreno, il mokṣa, visto come lo scopo ultimo dato che trascende tutti gli altri. 
 
Il primo, Artha, è la ricchezza materiale, intesa come la realizzazione del benessere e del potere, comprendendo altresì quello politico. Questo scopo è chiaramente relativo alle condizioni materiali, ai mezzi necessari per mantenere un buono stato di salute e una condizione sociale soddisfacente. Kāma può essere tradotto come piacere, soddisfazione dei desideri, inclusi quelli sessuali e proprio sull’erotismo vi è una raccolta letteraria nella quale sono conservati i trattati brahmanici detti Kāmasūtra a cui avevano già anticamente accesso anche le donne poiché la legittima soddisfazione sessuale era un loro diritto. 

Dharma significa giustizia, indica la norma universale e l'ordine etico con cui godere dei piaceri della vita, delle ricchezze, del potere, ovvero è ciò che deve assimilare e governare la realizzazione dei due obbiettivi precedenti, così che non passino i limiti della legittimità, facendo in modo che ogni azione sia in armonia con l'intero universo. 
 
L’ultimo, il mokṣa o mukti, rappresenta la libertà assoluta, identificabile come il fine ultimo non solo degli induisti, bensì di ogni Anima incarnata sulla Terra, consiste nella liberazione dalle catene che ci legano a questa dimensione terrena, costringendoci a rinascere ed è l’obiettivo da conseguire nell'ultimo stadio della vita, la vecchiaia, che tradizionalmente implica l’abbandono degli attaccamenti per diventare un asceta errante.
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Yuga: il Tempo Cosmico degli Hindu
L’idea di un universo in espansione non è nata nelle menti dei fisici moderni, in realtà era già presente nell’antica cosmologia induista. Alcune delle teorie contemporanee più accreditate descrivono un universo che sembra pulsare: si espande per miliardi di anni per poi contrarsi fino a collassare in un piccolo punto, per poi tornare nuovamente ad espandersi, in un eterno ciclo: questa è la teoria dell’universo oscillante. 
 
La filosofia indiana aveva proposto già nell’antichità l’idea di una realtà cosmica che si contrae ed espande ritmicamente nell’arco di miliardi di anni, attraverso enormi cicli denominati “respiri di Brahman”. Secondo questa cultura il divino si trasmuta nel mondo allo scopo di giocare il suo gioco cosmico (lila), che si perpetua in cicli senza fine dove l’Uno si scinde virtualmente in molte forme e le molte forme si dissolvono tornando nell’Uno. 
 
Il tempo cosmico è misurato per mezzo degli anni divini, nei quali ogni anno corrisponde a trecentosessanta di quelli umani, e ci vogliono ben 12 milioni di anni divini per formare un solo “giorno di Brahmā” denominato Kalpa. Brahmā, e con lui l’universo per come lo conosciamo, esiste complessivamente per 100 anni composti da questi giorni, ovvero per 311.040 miliardi di anni umani, ma per comprendere bene la difficile cosmogonia induista, composta da complessi concetti distanti dal modo di pensare occidentale e numeri così grandi da essere quasi inconcepibili, è necessario procedere per gradi. 
 
Dodicimila anni divini, equivalenti a 4 milioni e 320 mila anni umani, formano un Mahā-Yuga - dal sanscrito "grande generazione” - diviso in quattro cicli chiamati Yuga minori, ognuno dei quali possiede caratteristiche distintive ed un nome originato dal lessico del gioco indiano dei dadi. Il Kṛta-Yuga, generazione associata al punteggio quadruplo (quindi vincente), rasenta l’età dell’oro, in cui sulla terra regnano l'armonia, la ricchezza spirituale e per questo viene spesso paragonata ad un tavolo con quattro gambe, essendo un epoca di grande stabilità e tra tutte quella più duratura: ben quattromila anni divini, ovvero 1.440.000 anni umani. 
 
La pratica religiosa associata a questo particolare ciclo è l'ascesi, mentre la vita umana è di 400 anni umani. Il Tretā-Yuga, o generazione del punteggio triplo, è il periodo in cui il conseguimento della virtù non è più spontaneo come nell’età precedente e si predilige la pratica religiosa della conoscenza. Possiamo dire che è in questo contesto che ha inizio il declino, infatti è un epoca associabile ad un tavolo a tre gambe, avente una discreta stabilità e durata: tremila anni divini, ovvero 1.080.000 anni umani, mentre la vita media è 300 anni umani. 
 
Nel Dvāpara-Yuga, letteralmente generazione del punteggio doppio, incominciano a sorgere le passioni e l’aspetto egoico insito nel carattere umano, la pratica religiosa è guidata dalle norme etiche, l’armonia con l’esistente, la durata della vita è di 200 anni umani. Per comprendere questo Yuga possiamo richiamare l’immagine di un tavolo a due gambe, quindi caratterizzato da una scarsa stabilità e durata: duemila anni divini, ovvero 720.000 anni umani. 
 
Il Kali-Yuga, dal significato di generazione dal punteggio singolo (per questo perdente), rappresenta il tempo delle violazioni spontanee delle leggi universali e delle norme etiche, dove ci si arricchisce rubando o addirittura per mezzo di delitti; qui ignoranza, violenza, confusione e corruzione la fanno da padrone, perché l’uomo ha dimenticato la propria essenza divina e si lascia guidare dall’ego e dai più bassi istinti. 
 
È possibile paragonare questa era ad un tavolo con una sola gamba, poiché non c’è equilibrio, la pratica religiosa è anch’essa molto materialista - si tratta della donazione -, gli uomini vivono al massimo per 100 anni ed è in assoluto il ciclo più corto: complessivamente si conclude in mille anni divini, ovvero 360.000 anni umani. 
 
Ogni era ha inoltre un periodo di nascita ed uno di crepuscolo da sommare alla durata di ogni Yuga, corrispondente al 10% del suo totale: 
288.000 anni umani (800 anni divini) per il Kṛta-Yuga; 
216.000 anni umani (600 anni divini) per Tretā-Yuga; 
144.000 anni umani (400 anni divini) per il Dvāpara-Yuga; 
72.000 anni umani (200 anni divini) per il Kali-Yuga. 
Sulla base di quanto detto possiamo affermare che, tra periodo pieno, fase di nascita e crepuscolo, l'attuale Kali-Yuga durerà per 432.000 anni umani e, considerando la data tradizionale di avvio del Kali-Yuga, coincidente con la morte di Kṛṣṇa e fatta risalire al nostro 18 febbraio 3103/3102 a.C., si calcola che esso terminerà il 17 febbraio 428897/428896 d.C. segnando non solo l’inizio di una nuova età dell’oro, ma anche del prossimo Mahā-Yuga. 
 
Mille Mahā-Yuga, quindi 12.000.000 anni divini, corrispondono alla durata di un eone, chiamato tradizionalmente Kalpa ed equivalente a 4.320.000.000 anni umani: questo è il periodo di manifestazione del cosmo, chiamato anche “giorno di Brahmā”, alla fine del quale l’universo viene parzialmente distrutto, segnando l’inizio di una “notte di Brahmā” che dura esattamente quanto il giorno. 
 
Durante il "giorno" regnano quattordici Manu, mentre la “notte” rappresenta il periodo di latenza nel quale tutto l’esistente è riassorbito nella notte cosmica, pronto a riemergere con una nuova emanazione di Brahmā. Trenta giorni e notti, quindi in tutto sessanta Kalpa, costituiscono un mese di Brahma. 
 
Dodici mesi di Brahma (360 giorni e notti) costituiscono un suo anno e 100 anni rappresentano la sua intera vita, durata della manifestazione dell’intero universo, dalla sua nascita alla sua dissoluzione. Questo periodo di esistenza cosmica è detto Mahā-Kalpa (Il Grande Kalpa) e la sua durata equivale a 311.040.000.000.000 di anni umani e 864 miliardi di anni divini, un battito di palpebre del Dio supremo Nārāyaṇa. 
 
Secondo questa visione stiamo attualmente vivendo il cinquantunesimo anno e ci troviamo quindi a metà della grande fase esistenziale dell’Universo, al termine del quale avviene una distruzione totale della forma, in cui ogni cosa torna ad essere parte del divino e così rimane per altri cento anni di Brahma, dopodiché il ciclo ricomincia da capo. 
 
È importante sottolineare che nella visione induista solo una parte dell’esistenza è soggetta ai cicli, quella più materiale ed illusoria, identificabile con il gioco divino, mentre l’essenza di tutto è eterna, al di là dei cicli cosmici e del tempo. 
 
Si tratta di ciò che potremo chiamare Dio, ma non ha forma, è al di sopra di ogni limite, della dualità, è la nostra essenza più profonda, paragonabile al nucleo di ogni cosa esistente, l’immobile centro del cerchio della vita, in cui la periferia rappresenta ciò che è manifesto e mutevole. Krsna spiega ad Arjuna questo concetto nell’ottavo canto della Bhagavad Gita (versi 19-21): 
Esiste un altro non manifestato, eterno, che, anche quando tutti gli esseri periscono, non perisce. È detto l’Imperituro, il Non Manifestato. E’ Lui che si proclama essere il fine supremo. Quando lo si è ottenuto, non si rinasce più. È la mia sede suprema.”
 
 
Autori: Ambra Guerrucci e Federico Bellini
Titolo: "La Via delle Filosofie Indiane"
Editore: Risveglio Edizioni
 
 

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