L’una soluzione negoziata tra Repubblica
Popolare Cinese e Repubblica e Filippine sulla disputa territoriale per
il possesso delle isole Spratly (conosciute come isole Nansha in Cina)
appare possibile con il cambio di governo a Manila. Il presidente
filippino uscente Benigno Aquino III e il segretario degli Esteri
filippino Albert del Rosario, che hanno respinto i colloqui bilaterali
con Pechino, terminavano il mandato il 30 giugno 2016 venendo sostituiti
rispettivamente da Rodrigo Duterte a Palazzo Malacanhan e da Perfecto
Yasay Jr. al dipartimento degli Esteri.
Il nuovo governo filippino ha
fatto diverse aperture sui colloqui bilaterali con Pechino e il ministro
degli Esteri Yasay annunciava che un inviato speciale sarà nominato per
i negoziati con la Cina. I rapporti tra Filippine e Cina divennero tesi
sotto il governo di Aquino III, riaprendo la disputa territoriale con
la Cina e con entusiasmo rivitalizzando la presenza militare degli Stati
Uniti nel sud-est asiatico. Nel 2011 fu deciso da Benigno Aquino
d’indicare il Mar Cinese Meridionale come Mar delle Filippine
occidentale per sottolineare le pretese delle Filippine. Il governo
Aquino III avrebbe anche ridenominato il Mar Cinese Meridionale per
legge con un ordine amministrativo nel 2012.
Aggregando ulteriori
relazioni l’amministrazione Aquino III avviava un’azione legale sulla
controversia territoriale con la Cina alla Corte permanente di arbitrato
olandese il 29 ottobre 2015. Il 5 luglio 2016, la settimana prima della
sentenza della Corte permanente di arbitrato del 12 luglio 2016, il
presidente Duterte avanzava l’offerta di colloqui con la Cina.
Mentre
sicuramente utilizzerà la Corte permanente di arbitrato come leva nei
colloqui bilaterali sino-filippini, Duterte sembra deciso a un accordo
con la Cina. Queste proposte rientrano nelle promesse elettorali del
2016 nelle Filippine. Durante la campagna presidenziale, il discorso di
Duterte sulla Cina inviava segnali contrastanti, passando da linguaggio
antagonista a conciliante. Indubbiamente era una tattica da politicante
del presidente Duterte; alterare il discorso sulla Cina era una tattica
politica volta ad avere sia il supporto dei filippini con atteggiamenti
nazionalistici sulle isole Spratly, che degli influenti affaristi
filippini, anche di etnia cinese, che vogliono pace, cooperazione
economica e commerciale con una Cina in ascesa.
A livello
internazionale, Duterte potrebbe aver inviato tatticamente segnali
contrastanti per soddisfare Stati Uniti e Cina. Le sue osservazioni
antagoniste compiacevano Washington mentre quelle concilianti avevano lo
scopo di non alienarsi Pechino e di segnalare la disponibilità a
colloqui. Nonostante le critiche a Pechino, ha sempre indicato di volere
dialogare con la Cina. È interessante notare che Duterte è anche
l’unico politico che nelle elezioni generali filippine del 2016 ha
ammesso pubblicamente di aver parlato delle Isole Spratly con
l’ambasciata USA a Manila. Durante la campagna elettorale Duterte
osservò che avrebbe cercato aiuto dai cinesi per costruire la rete
ferroviaria filippina che colleghi Luzon e Mindanao, e che se la Cina
accettava di sostenere il gigantesco progetto avrebbe posto fine alle
critiche sulla disputa territoriale di Manila con Pechino.
In altre
parole, Duterte diceva che un suo futuro governo filippino avrebbe
negoziato con la Cina in cambio di concessioni economiche o aiuti da
Pechino. Dopo che Duterte ha vinto le elezioni presidenziali, il tono
verso la Cina è cambiato divenendo molto più temperato e cordiale. Prima
ancora che Duterte diventasse ufficialmente presidente, ebbe un
incontro con Zhao Jianhua, l’ambasciatore cinese nelle Filippine, il 16
maggio 2016. L’incontro fu simbolico perché l’ambasciatore Zhao era uno
dei tre soli ambasciatori, gli altri due erano i rappresentanti
diplomatici di Israele e Giappone, che Duterte aveva incontrato da
aspirante presidente delle Filippine. Da quel momento Rodrigo Duterte
avrebbe incontrato l’ambasciatore Zhao altre tre volte, anche il 7
luglio, qualche giorno prima della sentenza della Corte permanente di
arbitrato.
Le rivendicazione di Pechino sul Mar Cinese Meridionale
Pechino sostiene che la Cina aveva la sovranità sulla zona da migliaia
di anni. L’impero cinese della dinastia Ming controllava le coste
occidentali adiacenti alla zona, quando il Vietnam faceva parte della
Cina. Anche il Vietnam avanza richieste sulle isole Spratly (note come
Quan Dao Truong Sa dai vietnamiti) e le isole Paracel (note come Xisha
dai cinesi e come Hoàng Sa dai vietnamiti). A sostegno della richiesta
cinese vi è il fatto che il Giappone annesse l’area nel 1938 acquisendo
Taiwan dalla Cina e che la Cina continentale governata dal Kuomintang
rivendicò l’area nel 1947, in virtù della demarcazione della “linea
tratteggiata undici”, mentre Malaysia e Brunei erano ancora colonie
inglesi e il Vietnam colonia francese.
Le Filippine ufficialmente
divennero indipendenti dagli USA un anno prima della pretesa del
Kuomintang nel 1946. Vi sono importanti fatti storici e giuridici che
dovrebbero essere considerati. Prima che gli Stati Uniti entrassero in
guerra con i giapponesi, non fu mai messa in discussione l’annessione
giapponese della zona come occupazione del territorio delle Filippine,
quando erano controllate dagli Stati Uniti. Né le isole del Mar Cinese
Meridionale furono incluse nel territorio filippino preso alla Spagna
dagli Stati Uniti nel 1898. Fu solo con l’appoggio degli Stati Uniti nel
1970 che le Filippine avanzarono le prime rivendicazioni sulla zona.
Washington: terzo intruso
La Cina è interessata a stabilire ciò che Xi Jinping chiama “comunità
di destino”. Pechino vuole cooperazione e commercio, non guerra o
conflitto con le Filippine o qualsiasi altro Stato dell’Associazione
delle Nazioni del Sudest Asiatico (ASEAN). Suo scopo principale è
espandere la Via della Seta, via terra e via mare, sostenendo
l’integrazione regionale e la prosperità economica. A questo proposito
ha in più occasioni concesso un trattamento di favore e offerto
condizioni commerciali vantaggiose ai Paesi aderenti all’ASEAN. Come il
presidente Duterte, il governo cinese ha indicato di essere pronto a
negoziati diretti sulla disputa territoriale nel Mar Cinese Meridionale.
La Cina ha anche dichiarato di essere disposta a condividere ricchezze e
risorse dell’area con progetti di sviluppo comuni.
Questo è ciò che
Pechino ha descritto come “approccio sostenibile”. In cambio Pechino ha
chiesto che Manila rifiuti la sentenza della Corte permanente di
arbitrato, che influenzerà anche le rivendicazioni territoriali di
Brunei, Malesia e Vietnam. Nello scenario in cui le Filippine
ottenessero il controllo del territorio conteso nel Mar Cinese
Meridionale, Manila si volgerebbe a USA e alleati, come Giappone, Corea
del Sud e Australia, per sviluppare la regione. Le Filippine non possono
sviluppare o estrarre le risorse energetiche del territorio da sole. Le
compagnie energetiche provenienti da Stati Uniti ed alleati
otterrebbero trattamento preferenziale e profitto da petrolio e gas. In
cambio le Filippine ne avrebbero uno scarso ritorno economico.
Ma anche
in tale scenario, se non principale consumatore, la Cina sarebbe ancora
uno dei principali consumatori di eventuali risorse energetiche estratte
dal Mar Cinese Meridionale. Alla Cina potrebbe anche anche essere
chiesto dalle Filippine di sviluppare le riserve di energia regionali.
Dato che Pechino sarà il principale cliente, nelle Filippine ci si rende
conto che sarebbe effettivamente più redditizio collaborare con la Cina
allo sviluppo congiunto delle riserve energetiche regionali. Perciò
alcuni nelle Filippine preferiscono i colloqui bilaterali. L’ostacolo
principale ai colloqui tra Pechino e Manila, però, sono gli Stati Uniti.
Ciò che è in gioco nella zona contesa non sono solo le grandi quantità di idrocarburi in quello che in Cina chiamano “secondo Golfo Persico” energetico, la pesca e uno dei più importanti corridoi marittimi e rotte commerciali del mondo. Ma anche gli interessi per la sicurezza nazionale cinese sono fortemente legati al territorio. I rifornimenti commerciali ed energetici cinesi verrebbero interrotti se il traffico marittimo venisse bloccato nel Mar Cinese Meridionale, motivo per cui le forze armate statunitensi si sono fortemente dedicate ad essere presenti nella zona. In parte, ciò rientra nel “Pivot in Asia” di Washington. Washington, che (a differenza di Pechino) si è rifiutata di firmare anche la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, utilizza le Filippine come pretesto per un gioco sporco contro la Cina, solo perché vede Pechino come rivale strategico.
Gli Stati Uniti
intenzionalmente acuiscono le tensioni nel Mar Cinese Meridionale per
giustificare la presenza navale statunitense a largo delle coste cinesi e
la creazione di una rete di alleanze militari per circondare e fare
pressione su Pechino. Usando diplomazia coercitiva, guerra economica,
strategia della tensione e un duplice approccio confronto e
cooperazione, gli Stati Uniti cercano di ridimensionare la Cina. Gli
Stati Uniti fanno di tutto per creare un cuneo in Eurasia tra Cina e
Federazione Russa. Ironia della sorte, mentre demonizza la Cina come
minaccia regionale, Washington invia messaggi contraddittori agli
alleati regionali.
Gli Stati Uniti diffamano Pechino mentre ordinano
allo stesso tempo ai militari statunitensi di tenere esercitazioni
militari multilaterali o bilaterali con i militari cinesi, come ad
esempio l’esercitazione Rim of the Pacific (RIMPAC)
(giugno-luglio 2016), l’esercitazione virtuale per il soccorso e
l’assistenza umanitaria congiunta Cina-USA (novembre 2012) e
l’esercitazione Cina-USA contro la pirateria nel Golfo di Aden
(settembre 2012). I leader regionali dovrebbero prendere atto del modus
operandi degli Stati Uniti. I capi degli Stati Uniti non sono disposti a
confrontarsi direttamente in Cina. Invece usano Paesi come le Filippine
come pedine e gettoni per negoziar un patto od ostacolare una Cina
sempre più assertiva ed economicamente prospera.
Mahdi Darius Nazemroaya, Strategic Culture Foundation 11/07/2016
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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