Chi
o che cosa ha autorizzato i nostri governi a giocare al casinò dei
derivati con il denaro degli italiani? Quale regolamento interno, quale
legge, quale norma della Costituzione? E perché non se ne può sapere
quasi niente?
Secondo quanto riferito da la Repubblica (e dal Financial
Times) del 26 giugno, il Tesoro italiano è esposto per 160 miliardi di
euro (più di un decimo del Pil italiano) con operazioni sui derivati la
cui data di stipulazione non è nota.
Il governo Monti ne ha rinegoziati nel
corso dell’anno scorso per un importo di 31 miliardi, registrando su
queste operazioni una perdita potenziale, non ancora giunta a scadenza,
di circa 8 miliardi (poco meno dell’importo con cui la ministra Gelmini
e, dopo di lei, il ministro Profumo sono riusciti a distruggere sia la
scuola che le università italiane).
Naturalmente il ministro del Tesoro ha
subito smentito ogni rischio, ma quella smentita vale zero. Infatti solo
un anno fa su un’altra partita di derivati del Tesoro si era già
registrata una perdita di 3 miliardi, saldata dal governo Monti. Su di
essa c’era stata una interrogazione parlamentare dell’Idv e una elusiva
risposta – «si tratta di un caso unico e irripetibile» – del
sottosegretario Rossi Doria; designato a rispondere non si sa perché,
dato che si occupa di scuola e non di finanza, materia sui cui è lecito
supporre una sua totale incompetenza.
Ma se tanto dà tanto, sui 160 miliardi
di derivati in essere, le perdite «a futura memoria», che verranno cioè
caricate sul bilancio dello stato nel corso degli anni, per poi dire che
gli italiani sono vissuti «al di sopra delle loro possibilità»,
potrebbero ammontare a molte decine di miliardi di lire.Ma facciamo un
passo indietro: da tre anni ci ripetono che la Grecia ha fatto il suo
ingresso nell’euro truccando i conti perché, in base al suo
indebitamento, non ne avrebbe avuto titolo; di qui i guai – e che guai! –
in cui è incorsa successivamente. Successivamente.
Perché all’epoca del
suo ingresso nell’euro nessuno si era accorto di quei trucchi. Poi si è
scoperto che a organizzarli era stata la banca Goldman Sachs, allora
diretta, per tutto il settore europeo, da Mario Draghi, nel frattempo
assurto alla carica di presidente della Bce, cioè dell’organo preposto a
garantire la riscossione di quei debiti contratti in modo truffaldino. E
di quei trucchi non si è più parlato.
Ma lo stratagemma a cui il governo greco
e Goldman Sachs erano ricorsi per truccare i conti era proprio quello
di nascondere un indebitamento eccessivo (secondo i parametri di
Maastricht) dietro a derivati da saldare in futuro. Nello stesso periodo
– o poco prima, cioè con maggiore preveggenza – il governo italiano
sembra essere ricorso esattamente allo stesso stratagemma: ufficialmente
per coprire il debito italiano dai rischi del cambio (allora c’era
ancora la lira) e dalle variazioni dei tassi di interesse: i derivati
sono stati infatti introdotti nel mondo della finanza come forma di
assicurazione contro la volatilità dei cosiddetti mercati; ma, come si
vede, la funzione che svolgono è esattamente il contrario. E’ comunque
del tutto evidente che lo scopo effettivo di quelle operazioni era
quello di “truccare” i conti e garantire così anche all’Italia
l’ingresso nell’euro.
Qui la presenza ricorrente dello stesso
personaggio è ancora più dirompente; perché nel periodo che intercorre
tra la probabile – non se ne sa ancora molto – sottoscrizione di quei
derivati e l’emersione dei primi debiti che essi comportano Mario Draghi
è stato direttore generale del Tesoro (l’organismo contraente) dal 1991
al 2001; poi, utilizzando in modo spregiudicato il cosiddetto sistema
delle “porte girevoli”, responsabile per l’Europa di Goldman Sachs (una
delle banche sicuramente coinvolta in queste operazioni), poi
Governatore della Banca d’Italia e poi presidente della Bce e in questo
ruolo uno degli attori più decisi a far pagare agli italiani – e agli
altri infelici popoli vittime degli stessi raggiri – la colpa (in
tedesco schuld, che, come ci ricordano i ben informati, vuol dire anche
debito) di essere vissuti “al di sopra delle proprie possibilità”.
Non basta: ogni sei mesi, ci informa
sempre Repubblica, il Tesoro è tenuto a trasmettere una relazione sullo
stato delle finanze pubbliche, comprensivo anche dei dati
sull’esposizione in derivati, alla Corte dei Conti. Ma in venti anni o
quasi, questa si è accorta solo ora dei rischi connessi a queste
operazioni e, per saperne di più, ha inviato la Guardia di Finanza nelle
stanze del Tesoro; che però si sarebbe rifiutato di esibire la relativa
documentazione. Ci ricorda qualcosa tutto ciò? Si ci ricorda da
vicinissimo le recenti vicende del Monte dei Paschi di Siena i cui
dirigenti – oggi in carcere o sotto inchiesta perché considerati dalle
procure di Siena e Roma degli autentici delinquenti – sono riusciti a
nascondere alla vigilanza della Banca d’Italia (che combinazione!) una
esposizione debitoria incompatibile con il regolare funzionamento di una
banca, nascondendola sotto degli onerosissimi derivati, che hanno
tenuto rigorosamente nascosti per anni.
Il casinò dei derivati accomuna così le
istituzioni di governo del paese alle banche truffaldine (per ora MPS;
ma chissà quante altre si trovano nelle stesse condizioni, e non solo in
Italia. Mario Draghi al vertice della Bce non ispira certo
tranquillità). Per saperne di più, cioè per capire in che mani siamo
finiti, in che mani ci hanno messo i governi che si sono succeduti negli
ultimi 30 anni (da quando la teoria liberista e il pensiero unico la
fanno da padroni e, in termini pratici, da quando è stato portato a
termine il famigerato divorzio tra Tesoro e Banca centrale che ha messo
le politiche dei governi in balia della finanza: leggi degli speculatori
internazionali), basta leggere la sinossi di come funziona il casinò
dei derivati che ne fa Luciano Gallino (Repubblica, 26 giugno).«Nel
mondo – spiega Gallino – circolano oltre 700 trilioni di dollari (in
valore nominale) di derivati cioè 700mila miliardi, oltre 10 volte il
valore presunto del prodotto lordo mondiale, nota mia], di cui soltanto
il 10 per cento, e forse meno, passa attraverso le borse.
Il resto è scambiato tra privati, come
si dice, “al banco”, per cui nessun indice può rilevarne il valore». Ma
aggiunge, anche di quel dieci per cento scambiato nelle borse, a
definirne il valore concorre solo il 40 per cento cioè il 4 per cento
degli scambi complessivi, nota mia]. «Di quel 40 per cento, almeno
quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine…Di
tali transazione a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozone e il
75-80 per cento nel Regno Unito e in USA si svolgono mediante computer
governati da algoritmi…che operano a una velocità anche di 22mila
operazioni al secondo…Ne segue che chi parla di “giudizio dei mercati”
praticamente tutti gli esponenti del mondo politico, imprenditoriale,
manageriale e accademico europei, nota mia] dovrebbe piuttosto parlare
di “giudizio dei computer”. «Macchine cieche e irresponsabili – aggiunge
Gallino – opache agli stessi operatori e ancor più ai regolatori. E per
di più, inefficienti».
Ma molto efficienti però, aggiungo io,
nel trasferire ricchezza dai redditi da lavoro e dalla spesa sociale ai
profitti e alla rendita, compito che nel corso degli ultimi trent’anni
hanno svolto egregiamente. E non senza che gli addetti alla
“regolazione” dei mercati, siano essi manager o politici, o entrambe le
cose grazie al sistema delle “porte girevoli”, ci abbiano messo tutta la
loro scienza e il loro potere per portare questo trasferimento fino
alle estreme conseguenze, quelle che oggi possiamo vedere esposte in
vetrina nella catastrofe della Grecia.
Ma allora, perché continuare a rimaner
sottomessi a un sistema simile? Non è ora di trovare la strada per
tirarsene fuori al più presto?
Guido Viale
Fonte: ● globalproject.info
Tratto da: ● ilmanifesto.it
Tratto da: ● ilmanifesto.it
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