La ricreazione è finita, presto vi
dovrete arrangiare anche per le pensioni. Questo, in sintesi, il
discorso-choc che il sovrano olandese Guglielmo Alessandro
ha rivolto alla nazione: la globalizzazione impone anche all’Olanda
l’addio al glorioso sistema del welfare e delle protezioni sociali. E’
l’élite, direttamente, che parla: la stessa élite feudale che si è
impadronita della moneta, imponendoci l’Eurozona, per poi dirci:
scusate, non ci sono più soldi. Falso. I soldi li “fabbricano” loro,
mentre a mancare sono i politici in grado di difenderci. Enrico Letta,
che rincorre i diktat della Merkel, governa con Berlusconi, che nel suo
videomessaggio del 18 settembre, di fronte alla catastrofe economica
dell’Italia, proclama: «Occorre imboccare la strada maestra del
liberalismo: meno Stato, meno spesa pubblica». Il liberismo: cioè il
tunnel senza uscita del quale siamo già prigionieri, da vent’anni.
Attenti, avverte il professor Bruno Amoroso:
di questo passo, già a novembre sprofonderemo nel baratro della Grecia,
saremo esposti a tempeste mai viste e rischiamo di fare la fine della
Jugoslavia.
L’economista italo-danese
dell’università di Roskilde, allievo di Federico Caffè e compagno di
scuola di Mario Draghi, dice che l’incubo della balcanizzazione
è dietro angolo: «E’ possibile che ci troveremo davvero nei guai tra
pochissimi mesi, in una situazione di tipo greco: quando, per
intenderci, ci saranno 50.000 statali mandati a casa e niente più soldi
per gli ammortizzatori sociali». Che succederebbe? «La crisi andrà a
destra, come sempre: prevarranno prima i nazionalismi e poi le fratture
all’interno degli stessi Stati: il nord dell’Italia contro il sud, la
Catalogna contro il resto della Spagna». E’ uno degli scenari della
crisi europea, il peggiore: l’implosione dell’Europa del sud, magari
accelerata dalla “fuga” della Germania, decisa a non pagare i costi
necessari a tenere in vita i nostri paesi devastati dall’euro. In quel
caso si annunciano «guerre interne» e «conflitti sociali e politici»,
gestiti «da chi è interessato, come è stato per la Jugoslavia, che fu
distrutta perché la Germania era interessata alla Croazia e alla
Slovenia», mentre altri volevano la secessione del Kosovo.
Non c’è scampo, se l’Europa meridionale
resta ingabbiata nella camicia di forza della moneta unica: «Con l’euro
sono arrivate disposizioni come il Fiscal Compact e il patto di
stabilità: non solo si decide il valore della moneta, ma anche i danni
che un paese riceve». Esempio: «Se la Danimarca è in crisi economica, è
lei che decide come farla pagare ai cittadini, distribuendone il carico.
Nell’Eurozona invece questa libertà non ce l’abbiamo, perché col Fiscal
Compact non possiamo fare politiche che secondo noi sono eque, ci
dettano pure come dev’essere organizzato il mercato del lavoro». I
danesi, rimasti fuori dall’euro, «possono decidere se vogliono un
mercato del lavoro di giovani o di vecchi», noi invece siamo in
trappola, dentro una camicia di forza: situazione «da risolvere entro un
anno, se vogliamo evitare il disastro». Come? Nell’unico modo
possibile: tornando alla sovranità monetaria. «E’ una condizione
necessaria: solo attraverso la sovranità sulla moneta è possibile
fronteggiare la disoccupazione». Ma attenzione: tornare semplicemente
all’antica valuta nazionale non risolverebbe il problema, avverte
Amoroso, se i politici al potere dovessero restare quelli di oggi:
«Anche con la lira, uno come Enrico Letta continuerebbe con le politiche neoliberiste che ci hanno portato al disastro».
Il problema è politico, insiste Amoroso,
co-firmatario del “Manifesto per l’Europa” elaborato da “Alternativa”,
il laboratorio politico fondato da Giulietto Chiesa. Obiettivo: aprire
una vertenza con Bruxelles, cestinando il Trattato di Maastricht che
introduce l’Eurozona. La scommessa: rinegoziare tutto, a cominciare
dalla moneta, per togliere all’élite finanziaria di Bruxelles il potere
assoluto che esercita su di noi, instaurando finalmente una condizione
di democrazia che metta fine all’autoritarismo della Commissione
Europea, non eletta da nessuno. «I paesi del sud hanno un rilevante
potere contrattuale», sottolinea Amoroso: «L’Italia, la Spagna e gli
altri paesi dell’Europa meridionale possono chiedere nuove condizioni
per restare in Europa, e ne avrebbero la forza, perché rappresentano un
grande mercato di sbocco per i prodotti dell’export del nord». Certo,
non si esce dal tunnel con Berlusconi e Letta. «Serve un grande
rivolgimento politico, ma forse non siamo lontani: in Grecia c’è Syriza,
in Spagna gli Indignados, da noi metà degli italiani non votano più, e
di quelli che votano almeno il 20% sceglie i grillini». Il piano di
Amoroso si chiama euro-sud: sarebbe come tornare allo Sme, quando gli
Stati europei già cooperavano tra loro, mantenendo però un’elasticità
nei cambi, con possibilità di svalutazione fino al 15%.
Sarebbe una via d’uscita democratica e
realistica: «Quelli che invocano “più integrazione” vivono su un altro
pianeta: la Gran Bretagna non rinuncerà mai alla sterlina, né accetterà
mai che sia Bruxelles a spiegarle come spendere i soldi per
l’istruzione». L’Unione Europea è composta di 27 paesi, di cui solo 17
hanno aderito all’euro: gli altri 10 non vi aderiranno mai. «Quindi, già
oggi, non è vero che l’Europa ha una sola moneta: ne ha 11.
Semplicemente, con l’euro-sud, ne avrebbe 12». Il continente era già
unito prima della moneta unica, con il Sistema Monetario Europeo:
l’euro, voluto dalla Francia che sperava di controllare la potenza
economica della Germania unita, ha semmai introdotto una spaccatura, tra
l’Europa del nord e quella del sud. Un disastro: «L’euro non ha unito
l’Europa, non ha creato coesione sociale e territoriale ma conflitto,
non ha diminuito l’inflazione, povertà e disuguaglianze sono aumentate». Di questo passo, la moneta unica «farà implodere tutto il sistema europeo».
Secondo Amoroso, solo una nuova alleanza
politica tra i paesi dell’Europa del sud potrà rinegoziare un’unione
con Bruxelles: la sovranità monetaria potrà produrre politiche per
l’occupazione e, al tempo stesso, introdurre meccanismi di controllo
sulla finanza speculativa. Uscire da soli dall’euro potrebbe essere
traumatico, per via della svalutazione e dell’inflazione? In fondo,
però, è stato traumatico anche entrare nell’euro. E soprattutto,
restarvi. Senza più spesa pubblica, le nostre economie sono al collasso.
L’uscita negoziata dall’attuale euro, secondo Amoroso, sarebbe invece
più sicura e senza scossoni. Obiettivo perfettamente alla portata dei
nostri paesi, a una condizione: devono prima liberarsi degli attuali
governi. Ecco perché – mentre la grande crisi avanza e minaccia di
travolgerci – diventa fondamentale costruire un’alleanza, da Atene a
Lisbona passando per Roma e Madrid, in vista delle decisive elezioni
europee della primavera 2014.
Fonte: ☛ libreidee.org
http://guardforangels.altervista.org/blog/amoroso-via-dalleuro-o-facciamo-la-fine-della-jugoslavia/
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