“Perché desideri tanto trovarla?”, domandò il Buddha.
Il giovane raccontò la storia. Venivano da Varanasi ed erano giunti al mattino nella foresta per una piacevole scampagnata, portando con sé strumenti musicali e una ragazza per intrattenerli. Terminati i canti, le danze e i banchetti, si erano distesi per un sonnellino. Al risveglio, avevano scoperto che la ragazza era scomparsa con i loro gioielli. Ecco perché la cercavano.
Il Buddha li guardò serenamente e chiese: “Ditemi, amici, in questo momento presente è più importante trovare la ragazza o trovare il vostro vero sé?”.
I giovani trasalirono. Il radioso aspetto del Buddha e l’insolita domanda li ricondussero a se stessi. “Venerabile maestro” rispose il primo giovane, “forse è bene trovare prima noi stessi”.
“La vita è solo e sempre nel momento presente, ma la mente dimora di rado nel presente”, disse il Buddha. “Preferiamo inseguire il passato o rincorrere il futuro. Crediamo di essere in noi, ma in realtà non siamo quasi mai in contatto con noi stessi. Le nostre menti sono troppo indaffarate a inseguire i ricordi di ieri o i sogni di domani. L’unico modo per essere in contatto con la vita è ritornare al momento presente. Tornando al momento presente vi risveglierete e, in quell’attimo, troverete il vostro vero sé.
Guardate queste tenere foglie accarezzate dal sole. Avete mai guardato il loro colore con cuore sereno e risvegliato? Il verde delle foglie è una delle meraviglie della vita. Se non l’avete mai guardato, fatelo ora”.
I giovani lo ascoltavano in silenzio. Seguendo la direzione indicata dal dito del Buddha, guardarono le foglie verdi che stormivano sommessamente alla brezza pomeridiana. Rivolto al giovane seduto alla sua destra, il Buddha disse: “Vedo che porti un flauto. Ti prego, suona qualcosa per noi”.
Anche se intimidito, il giovane portò il flauto alla bocca e iniziò a suonare. Tutti ascoltavano attentamente. Il suono del flauto pareva il pianto inconsolabile di un amante deluso. Gli occhi del Buddha non si staccavano dal giovane suonatore. Quando la musica finì, la tristezza sembrava permeare la foresta. Nessuno parlava. Poi, all’improvviso, il giovane tese il flauto al Buddha: “Ti prego, venerabile monaco, suona qualcosa per noi”.
Il Buddha sorrise mentre molti scoppiavano a ridere. L’amico doveva essere ammattito, chi aveva mai sentito di un monaco che suonasse il flauto? Con stupore, videro il Buddha accettare lo strumento e lo fissarono tutti, incapaci di dissimulare curiosità. Il Buddha fece alcuni respiri profondi e sollevò il flauto.
Nella sua mente si produsse l’immagine del ragazzo che, molti anni prima, suonava il flauto nei giardini reali di Kapilavatthu. Era una notte di luna piena. Mahapajapati sedeva su un sedile di pietra, intenta ad ascoltarlo. Yasodhara aveva acceso un bastoncino d’incenso di sandalo. Il Buddha incominciò a suonare.
Il suono si levò delicato come un sottile filo di fumo dal tetto di un’umile capanna della campagna di Kapilavatthu all’ora del pasto serale. Lentamente, il filo impalpabile si gonfiò in aria come una matassa di nubi che a loro volta si trasformarono in un loto di mille petali, ogni petalo di un diverso colore splendente. Sembrava che un unico flautista si fosse trasformato per magia in diecimila suonatori e che tutte le meraviglie dell’universo si fossero trasformate in suoni: suoni di diecimila colori e forme, suoni delicati come una brezza e veloci come il ticchettio della pioggia, sicuri come una gru in volo, dolci come una ninnananna, smaglianti come un gioiello e impalpabili come il sorriso di colui che ha trasceso ogni pensiero di guadagno e di perdita. Gli uccelli smisero di cantare per ascoltare la musica sublime, e la brezza si arrestò dal suo gioco con le foglie. La foresta era immersa in un’atmosfera di pace perfetta, di serenità e meraviglia. I giovani seduti attorno al Buddha si sentivano stupendamente ristorati e dimoravano tutti nel momento presente, in contatto con la meraviglia degli alberi, del Buddha, del flauto e della reciproca amicizia. Anche dopo che il Buddha ebbe deposto lo strumento, continuavano a udire la musica. Nessuno pensava più alla ragazza e ai gioielli rubati.
A lungo nessuno parlò. Poi il proprietario del flauto disse: “Maestro, la tua musica è meravigliosa. Non ho udito nessuno suonare così. Chi ti ha insegnato? Vorresti accettarmi come tuo discepolo perché io possa imparare a suonare come te?”.
Il Buddha sorrise e rispose: “Ho imparato a suonare il flauto da ragazzo, ma sono sette anni che non lo tocco più. Riconosco però che la mia musica è migliore di quella di un tempo”.
“Come può essere, maestro? Come può la tua musica essere migliore se da sette anni non ti eserciti?”.
“Suonare il flauto non dipende soltanto dall’esercizio. Se oggi suono meglio che in passato è perché ho trovato il mio vero sé. Non puoi raggiungere le sublimi vette dell’arte se prima non scopri l’insuperabile bellezza del tuo cuore. Se vuoi suonare il flauto in modo eccellente, devi trovare il tuo vero sé percorrendo la Via del Risveglio”.
Quindi espose il sentiero della liberazione: le Quattro Nobili Verità e il Nobile Ottuplice Sentiero. I giovani ascoltavano assorti. Alla fine tutti si inginocchiarono e chiesero di essere accettati come discepoli. Il Buddha conferì l’ordinazione a tutti e li invitò a partire per Isipatana, per presentarsi al bhikkhu Kondanna che li avrebbe guidati nella Via. Molto presto, li rassicurò, li avrebbe rivisti.
Quella notte il Buddha dormì in solitudine nella foresta. Il mattino attraversò il Gange e si diresse a est. Desiderava rivedere i bambini di Uruvela prima di raggiungere Rajagaha per incontrare il re Bimbisara.
– da “Vita di Siddhartha il Buddha” di Thich Nhat Hanh –
fonte: http://petali-di-loto.blogspot.it/2011/08/le-vette-sublimi-della-musica.html
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