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lunedì 9 novembre 2015

Advaita


Se una legge trova
anche una sola eccezione,
non è più una legge.”
(Arnaud Desjardins)

“La verità è che gli adulti, per la maggior parte, vivono nell’infantilismo e nella dipendenza. Sogniamo tutti di trovare una grande mano di adulto in cui mettere la nostra piccola mano di bambini, per sentirci finalmente sicuri, protetti, amati, compresi, liberi da fardelli, sollevati da tutto ciò che ci pesa. Molti adulti hanno nostalgia dell’irresponsabilità e della dipendenza della prima infanzia. Una nostalgia che a volte si manifesta sotto forma di depressione: un adulto su cui grava troppo il peso dell’esistenza, si ammala, così ci si occuperà di lui, e lui potrà sentirsi sollevato da ogni responsabilità.

Che cosa significa la frase di Gesù: “Se non ritornerete a essere come bambini, non entrerete nel regno dei Cieli?” Se la si comprende male può sembrare stupida, per quanto detta da Gesù Cristo. Come si fa a proporre a degli adulti di tornare a essere dipendenti e vulnerabili come bambini? In realtà è un insegnamento che va oltre la psicologia spicciola, oltre i limiti di regredire dentro di sé allo stato felice dell’infanzia, oltre il rifiuto del peso della vita sulle nostre spalle.
 
È il punto di partenza di una riflessione che vi porta inevitabilmente (e dico proprio inevitabilmente) a ritrovare i principi tradizionali della Saggezza. Il punto di partenza è quella limitata coscienza di sé che chiamiamo ‘ego’ termine che traduce il sanscrito ‘ahamkar’ mentre ognuno è essenzialmente illimitato e infinito. Nell’intimo di voi stessi lo sapete già, perché è la Verità, la Realtà. Chi l’ha scoperta in se stesso, vede bene come questa illimitatezza sia rivestita da forme che per lui sono trasparenti.

Ma, in modo difficile da capire per l’ego, questa Coscienza è velata da un’identificazione, inutile quanto evitabile, con la forma limitata che ognuno di voi chiama ‘io’. Detto questo è detto tutto. Sia che siate sicuri di voi, fieri, fiduciosi, magari orgogliosi, sia che siate deboli, inquieti, incerti, si tratta sempre di ego. Un complesso di inferiorità è un ego, forse un ego enorme, con la testa in giù e le gambe in su, un ego invertito.

In entrambi i casi si tratta dello stesso meccanismo. Rimanendo limitati all’ego, voi confinate voi stessi in una realtà dolorosamente piccola, stretta, meschina rispetto alla Realtà infinita. Probabilmente preferite essere un ego glorioso, che riesce in tutto, piuttosto che un ego ferito, ucciso, pieno di dubbi su se stesso, ma l’ego è sempre una limitazione, una prigione e un accecamento.

‘Accecamento’ qui non significa non vedere, ma vedere male. Per vedere male bisogna cominciare col non vedere ciò che è, e poi fabbricare, inventare qualcosa e proiettarlo sulla realtà. Questa identificazione con l’ego (o con questo senso dell’ego) che vi individualizza, vi separa, vi limita, allo stesso tempo vi rende ciechi. I due temi sono legati. Vi rende ciechi per la sua meschinità quando vi impedisce di avere una visione ampia, vasta, comprensiva, capace di abbracciare tutto, di includere tutto.

Malgrado l’infinita capacità di visione che possedete, basta un minimo senso dell’ego per velare tutto. Questo egocentrismo vi obbliga (e non può essere diversamente) a vedere veramente solo voi stessi, ed è così che vi acceca. Vedere solo voi stessi significa vedere tutto in funzione di voi stessi e di ciò che portate in voi, in particolare ciò che in sanscrito chiamiamo ‘vasana’ e ‘samskara’ in parte corrispondenti a ciò che gli psicologi chiamano ‘proiezioni’.

E il meccanismo delle proiezioni è permanente… la paura proviene sempre dal rifiuto, dal rifiuto di una realtà che sappiamo evidente, ma che riusciamo a negare. Quando sappiamo che una cosa è vera ma facciamo di tutto per dimenticarla e in parte ci riusciamo cioè la seppelliamo nell’inconscio, noi ci condanniamo immediatamente alla paura, per il fatto che ciò che ci minaccia è in noi, lo portiamo con noi ovunque andiamo.

Voi negate molte verità relative che costituiscono una fonte di paura, ma negate anche una verità assoluta: io sono infinito, io non sono quell’ego limitato con una storia, con alcune caratteristiche, con l’inconscio, con vasana, con desideri, con differenti paure. Nel profondo di voi lo sapete e non potete non saperlo, perché siete quella Coscienza illimitata e infinita. Ma lo negate.

Voi sapete di essere quella Realtà o quella Coscienza, quell’Essere che è al di là di ogni distinzione fra essere e non essere, che sfugge al tempo, che sfugge a ogni misura, immutabile, invariabile, senza cambiamento. Voi invece vi identificate con una realtà totalmente instabile, in continuo cambiamento, continuamente distrutta e ricreata.

E poiché, nel profondo di voi stessi, sapete di essere la stabilità immutabile dell’atman, cercate di affermarla (il che è un vostro legittimo eterno diritto) all’interno di quell’identificazione con ciò che è puro cambiamento: le età della vita, gli stati d’animo, le emozioni, le vicissitudini dell’esistenza, tutte cose relative e quindi instabili.

Che significa relativo? Se volete comprendere questo termine non solo nei suoi significati filosofici e astratti, consideratelo in questo senso: ciò che è in relazione. Perché ci sia relazione bisogna che ci siano ‘due’. E come sapete il Vedanta indù afferma: advaita, non-due, non dualismo. Nel mondo del relativo, della relazione, del dualismo e della molteplicità, c’è un solo flusso.

È questo il senso di molti termini sanscriti, come samsara o come jagat tradotti generalmente con ‘il mondo’ termini che in realtà indicano flusso, scorrimento continuo, cambiamento perpetuo. Cambiamento che cercate di negare disperatamente, come chi sta annegando perché non sa nuotare, nel tentativo inutile di trovare qualche stabilità e fissità là dove non ne esiste alcuna.

Eppure voi siete quella Coscienza per la quale non c’è ‘un altro’ per la quale non c’è dualismo, per la quale, dunque, ogni bisogno di dipendenza, di mettere la nostra piccola mano di bambini in una grande mano di adulto, sparisce. Si tratta, qui, di ciò che a ragione è stato definito un risveglio: di colpo siete svegli. Un risveglio forse paragonabile, con un’immagine più moderna, alla guarigione di una persona che delira.

La cancellazione di ogni identificazione con l’ego rappresenta la guarigione da uno stato di allucinazione.‘Risvegliato’ è un termine molto ben scelto, che si applica perfettamente a qualcuno che esca da un’allucinazione: 'Si è risvegliato da un sogno in cui il papa ce l’aveva con lui personalmente, in cui Dio l’aveva incaricato di far regnare la giustizia nel mondo'.

"(Arnaud Desjardins, Per una morte senza paura, Ubaldini ed.”


fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2015/11/advaita.html

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