La
visita del presidente degli Stati Uniti Barack Obama in Arabia Saudita è
stata definita un tentativo di Washington per riparare i rapporti tesi
con l’alleato arabo. Tuttavia si scopre che Obama avrebbe molto in
comune con Assad, la Russia e i ribelli huthi dello Yemen. Tutti
ricattati dalla Casa dei Saud per scopi politici. Obama, accompagnato
dal segretario alla Difesa Ashton Carter, avrebbe rassicurato re Salman
sui legami strategici tra i due Paesi risalenti allo storico incontro
del 1945 tra il Presidente Franklin D. Roosevelt e il fondatore
dell’Arabia Saudita Ibn Saud (padre del monarca in carica).
Parlando
delle reciproche preoccupazioni contemporanee, Obama e gli ospiti
sauditi si concentravano sulla verifica della presunta ingerenza
iraniana nella regione e presumibilmente sulla sconfitta dei gruppi
terroristici islamici. Lo sforzo nel rattoppare le relazioni avviene
dopo che il presidente degli Stati Uniti denigrò i sauditi e gli altri
monarchi del Medio Oriente quali “sfruttatori” della benevolenza
statunitense, in un’intervista dello scorso mese con la nota rivista
Atlantic. Obama lamentava il fatto che Arabia Saudita e altri godevano
della protezione militare degli Stati Uniti da troppo tempo e della
necessità d’iniziare a contribuire di più impiegando le proprie forze
nella regione.
Come se non bastasse, i governanti sauditi hanno reagito
furiosamente quando emergeva lo scorso fine settimana un disegno di
legge al Congresso degli Stati Uniti che potrebbe dare alle famiglie
delle vittime del 9/11 il diritto di citare in giudizio l’Arabia Saudita
in un tribunale federale. Cioè le prove che dimostrino i legami dello
Stato con le atrocità nel 2001, quando circa 3000 cittadini statunitensi
furono uccisi. Famiglie e attivisti credono che ci sia una connessione
incriminante dei governanti sauditi con gli attacchi terroristici,
perché 15 dei presunti 19 attentatori erano cittadini sauditi. La Casa
Bianca di Obama in seguito ha detto che il presidente avrebbe posto il
veto alla legge se veniva approvata dal Congresso, citando la
preoccupazione che il precedente della rimozione dell’immunità sovrana
potrebbe mettere cittadini e governo degli Stati Uniti a rischio di
future azioni legali.
Pesa decisamente sulla posizione della Casa Bianca
anche la minaccia straordinaria della Casa dei Saud secondo cui, se la
legislazione sull’11 settembre dovesse passare, l’Arabia Saudita
svenderebbe la massiccia partecipazione in titoli del Tesoro USA. Il
ministro degli Esteri saudita Adil al-Jubayr avvertiva che 750 miliardi
di dollari in titoli statunitensi e altre attività sarebbero stati
svenduti. La mossa non sarebbe nient’altro che un bluff dei reali
sauditi. Alcuni commentatori e persino dei funzionari degli Stati Uniti
hanno espresso incredulità sui governanti sauditi che adotterebbero una
misura così drastica dalle conseguenze dannose, destabilizzando la
fragile economia saudita, in crisi comunque per il crollo dei prezzi del
petrolio e la costosa guerra nello Yemen.
Tuttavia, almeno in teoria, la minaccia saudita della svendita dei buoni del tesoro degli Stati Uniti sarebbe un colpo devastante per l’economia statunitense, andando al cuore del rapporto strategico USA-Arabia Saudita, che ruota intorno al maggiore esportatore di petrolio al mondo che vende la propria merce esclusivamente sempre in dollari. Il sistema dei petrodollari USA-saudita significa che il resto del mondo è obbligato a seguirne l’esempio usando i verdoni statunitensi quali mezzi finanziari standard di transazione. Questa è la base del dollaro quale valuta di riserva mondiale permettendo agli Stati Uniti di continuare a stampare dollari ed avere un debito nazionale ciclopico (ora di 19 trilioni di dollari). Di recente, le crepe nel monolite dei petrodollari iniziano ad aprirsi, con Russia e Cina che accettano scambi di petrolio e gas utilizzando le proprie valute nazionali. Inoltre, l’Iran passa a vendere il petrolio in Europa accettando l’euro.
Così, il sistema dei
petrodollari, la linfa vitale della cronicamente indebitata economia
degli Stati Uniti, può continuare per il momento a dominare, ma su un
bilico pericolosamente delicato. Ecco perché la minaccia saudita di
vendere titoli del debito degli Stati Uniti spaventava tanto quando fu
annunciata questa settimana. E’ anche per questo che, almeno in parte,
l’amministrazione Obama ha detto con forza che annullerebbe la normativa
sull’11 settembre presentata al Congresso. (Un’altra ragione è che
Washington teme che qualsiasi indagine sul coinvolgimento saudita
nell’11 settembre potrebbe anche svelare la collusione dell’intelligence
statunitense nel perpetrare un azione interna per interessi
strategici). In ogni caso, qui è la questione. La Casa Bianca di Obama
ha solo subito il ricatto saudita. La spinta a questo è: dite ai vostri
cittadini di fare marcia indietro sul contenzioso scomodo oppure
staccheremo la spina alla vostra economia, piegandovi con ignominia
davanti a noi.
Nonostante la patina di lustro sulla pseudo-alleanza a Riyadh, tra Obama e re Salman, un risultato divertente è questo: Obama si trova nella stessa posizione sconveniente del Presidente siriano Bashar al-Assad, di Mosca e dei rivoluzionari yemeniti guidati dagli huthi. Tutti sottoposti, in un modo o nell’altro, al modus operandi della diplomazia saudita, il ricatto. Sulla Siria, il gruppo di opposizione filo-saudita, l’alto comitato per i negoziati, ha detto questa settimana, ancora una volta, che uscirà dai colloqui di pace di Ginevra perché il suo ultimatum sulle “dimissioni” di Assad è stato più volte respinto.
Il
capo negoziatore del governo della Siria Bashar al-Jafari ha condannato
l’HNC (noto anche come gruppo di Riyadh) per aver preso in ostaggio il
processo di Ginevra con tali richieste massimaliste. Il Viceministro
degli Esteri della Russia Sergej Rjabkov criticava aspramente l’HNC per
la sua “tattica ricattatoria”. Inoltre, Rjabkov accusava l’HNC di
sfruttare le violenze presso Aleppo per minare il traballante cessate il
fuoco.
L’HNC è una creatura diplomatica dell’Arabia Saudita, creata a
Riyadh lo scorso dicembre su istigazione dei governanti sauditi per
presentare il fronte politico dei vari gruppi terroristici del cambio di
regime. HNC è dominato da Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham, che
nominalmente firmarono il cessate il fuoco mediato da Stati Uniti e
Russia il 27 febbraio, anche se sono invischiati con gruppi
ufficialmente designati terroristici, Jabhat al-Nusra affiliato ad
al-Qaida e lo Stato islamico (SIIL). Jaysh al-Islam e Ahrar al-Sham sono
finanziati da Arabia Saudita, Qatar e Turchia.
Washington ha dato il
suo sostegno politico all’HNC, dominato dai due gruppi terroristici con
legami organizzativi con le brigate ufficialmente designate
terroristiche. Nel frattempo, nello Yemen, la stessa tattica
ricattatoria è presente. I colloqui di pace sarebbero in corso in Quwayt
tra, da un lato l’Arabia Saudita e una fazione fedele al deposto
fantoccio saudita, il presidente Abdrabuh Mansur Hadi, e dall’altra
parte i comitati popolari guidati dagli huthi. Un cessate il fuoco
sarebbe entrato in vigore nello Yemen l’11 aprile aprendo la via ai
colloqui di pace. Tuttavia, i comitati popolari affermano che i
bombardamenti aerei sauditi continuano incessantemente, nonostante la
dichiarazione ufficiale del cessate il fuoco.
I ribelli respingono le
pretese saudite sul loro ritiro dai territori ex-lealisti e di cedere le
armi quale precondizione per i negoziati politici. Si sostiene che
perciò i raid aerei sauditi continuano, per fare pressione sugli huthi
affinché facciano concessioni nei negoziati. In altre parole, ricattare
con la minaccia delle violenze. I colloqui dovrebbero riprendere in
Quwayt dopo che i ribelli yemeniti avrebbero ricevuto la garanzia
dall’inviato delle Nazioni Unite che le forze saudite avrebbero
rispettato il cessate il fuoco e desistito dalle violenze. Il modello
inconfondibile qui è il ricatto saudita come mezzo per raggiungere
obiettivi politici. Ricatto più violenza coercitiva.
Mentre yemeniti, siriani e russi sono ormai esperti della squallida politica saudita, il presidente Obama, vecchio alleato strategico dell’Arabia Saudita, sembra averla subita all’inizio di questa settimana. Sorrisi e strette di mano tra Obama e re Salman a Riyadh non smentiscono la sordida realtà.
Finian Cunningham, Strategic Culture Foundation, 24/04/2016
La ripubblicazione è gradita in riferimento alla rivista on-line Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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