La maggior parte di noi non vive in Siria
e ne sa molto poco. Quello che pensiamo di sapere arriva dai media. Le
informazioni sono fornite su approvazione di un’organizzazione come
Amnesty International che si presume affidabile. Certo, ho sempre avuto
fiducia in Amnesty International, implicitamente, credendo e
condividendone l’impegno morale. Da vecchio sostenitore non ho mai
pensato di verificarne l’affidabilità. Solo vedendo l’organizzazione, lo
scorso anno, diffondere i messaggi dei famigerati Caschi Bianchi mi
sono sorte delle domande. [1]
Avendo scoperto un problema sulle
testimonianze fornite da Medici Senza Frontiere (MSF), sentivo il dovere
di guardare vederci meglio sui rapporti di Amnesty International. [2]
Amnesty ha influenzato i giudizi morali pubblici su diritti e torti
della guerra in Siria. E se le notizie di Amnesty sulla situazione in
Siria si basano su cose non provate? [3]
E se i rapporti fuorvianti sono
stati fondamentali per alimentare il conflitto che altrimenti sarebbero
stato contenuto o addirittura evitato? Amnesty International per prima
accusò di crimini di guerra il governo del Presidente Bashar al-Assad,
nel giugno 2012. [4]
Se un crimine di guerra comporta la violazione
delle leggi e l’applicazione di quelle leggi presuppone una guerra, è
rilevante sapere da quanto tempo il governo siriano fosse in guerra,
ammesso che lo fosse. Le Nazioni Unite parlarono di ‘situazione vicina
alla guerra civile’ nel dicembre 2011. [5]
I crimini di guerra indicati
Amnesty International in Siria furono quindi riportati basandosi su
prove che sarebbero state raccolte, analizzate, redatte, inquadrate,
approvate e pubblicate entro sei mesi. [6]
Sorprendentemente, e
preoccupantemente, lesti. Il rapporto non dettagliava sui metodi di
ricerca, ma un comunicato stampa citava a lungo, ed esclusivamente,
Donatella Rovera che ‘trascorse diverse settimane ad indagare le
violazioni dei diritti umani nel nord della Siria’. Per quanto possa
dire, le prove pubblicizzate nella relazione furono raccolte con
conversazioni e visite di Rovera in quelle settimane. [7]
Il suo
rapporto affermava che Amnesty International ‘non poté fare un’indagine sul campo in Siria‘.
[8]
Non sono un avvocato, ma trovo inconcepibile che le accuse di
crimini di guerra su tale base venissero prese sul serio. Rovera stessa
poi parlò dei problemi nelle indagini in Siria: in un articolo
pubblicato due anni dopo, [9]
riferì di esempi di prove e testimonianze
materiali che avevano indotto in errore le indagini. [10]
Tali riserve
non appaiono sul sito web di Amnesty. Non so se Amnesty abbia diffuso
eventuali avvertimenti sul rapporto, né su una revisione delle accuse di
crimini di guerra. Quello che trovo preoccupante, però, dato che le
accuse di crimini possono a tempo debito essere provate, è che Amnesty
non temperava le pretese su un’azione futura. Anzi. A sostegno della sua
posizione sorprendentemente rapida e decisa sull’intervento, Amnesty
International accusò il governo siriano anche di crimini contro
l’umanità. Già prima con Deadly Reprisals, il rapporto le presumeva.
Tali accuse possono avere gravi implicazioni perché possono essere
considerate per un mandato per l’intervento armato. [11]
Mentre i
crimini di guerra non si verificano, a meno che non ci sia una guerra, i
crimini contro l’umanità possono giustificare la guerra. E in guerra,
le atrocità si possono verificare laddove altrimenti non si erano
verificate.
Trovo
queste idee profondamente preoccupanti, soprattutto da sostenitore di
Amnesty International, quando appellò all’azione, le cui conseguenze
prevedibili comprendono combattimenti e possibili crimini di guerra,
commessi da chiunque, che altrimenti non ci sarebbero mai stati.
Personalmente, non riesco a non pensare che la volontà del fine estremo
condivide le responsabilità sulle conseguenze impreviste. [12]
Se
Amnesty International considerò il rischio morale di complicità
indiretta in crimini di guerra minore che tacere su ciò che credeva di
aver trovato in Siria, avrà avuto grandissima fiducia nei risultati. Era
giustificata tale fiducia? Se torniamo ai rapporti sui diritti umani in
Siria nel 2010, prima dell’inizio del conflitto, troviamo che Amnesty
International registrò un certo numero di casi di detenzione illegale e
brutalità. [13]
Nei dieci anni di presidenza di Bashar al-Assad, la
situazione dei diritti umani sembrava agli osservatori occidentali non
essere migliorata tanto quanto sperato. Human Rights Watch
parlò del 2000-2010 come ‘decennio sprecato’. [14]
Il tenore costante
dei rapporti era la delusione: i progressi compiuti in alcuni settori si
stagliavano sui problemi continui in altri. Sappiamo anche che in
alcune zone rurali della Siria c’era vera frustrazione per le priorità
politiche del governo. [15]
Un’economia agricola zoppicante per gli
effetti della malgestita grave siccità, irritò i sentimenti
d’emarginazione. La vita sarebbe stata migliore per molti nelle città
vivaci, ma era tutt’altro che idilliaca per gli altri, e rimaneva spazio
per migliorare la situazione dei diritti umani. L’approccio robusto del
governo ai gruppi che cercavano di por fine allo stato laico della
Siria, giustifica ampiamente il bisogno di monitorarne gli eccessi
segnalati. Eppure, i risultati delle osservazioni di prima della guerra
erano lontani da qualsiasi idea di crimini contro l’umanità. Incluso il
Rapporto Annuale 2011: lo stato dei diritti umani nel mondo. Un rapporto
pubblicato solo tre mesi più tardi ritraeva una situazione radicalmente
diversa. [16]
Nel periodo da aprile ad agosto 2011, gli eventi mutarono
rapidamente sulla scia delle proteste antigovernative in alcune parti
del Paese, e così Amnesty. Nel promuovere il nuovo rapporto, Deadly
Detention, Amnesty International degli USA si vantò di come fornisse “la documentazione in tempo reale sulle violazioni dei diritti umani commesse dalle forze governative”.
Non solo forniva una rapida segnalazione, ma fece anche affermazioni
nette. Invece di dichiarazioni misurate suggerendo riforme necessarie,
condannò il governo di Assad per “il sistematico attacco alla
popolazione civile, svoltosi in modo organizzato e in virtù di una
politica statale per commettere tale attacco”. Il governo siriano fu
accusato di “crimini contro l’umanità”. [17]
Velocità e fiducia, così
come una profonda implicita comprensione del rapporto sono notevoli. Il
rapporto era preoccupante, troppo, dando come portentose delle prove
schiaccianti contro il governo: Amnesty International “invitava il
Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non solo a condannare, in
modo fermo e giuridicamente vincolante, le violazioni massicce dei
diritti umani commesse in Siria, ma anche ad adottare altre misure per
costringere i responsabili a renderne conto, compreso il deferimento
della situazione in Siria al procuratore della Corte penale
internazionale. Inoltre, Amnesty International continuò a sollecitare il
Consiglio di sicurezza ad imporre un embargo sulle armi alla Siria e a
congelare immediatamente le risorse del Presidente al-Assad e di altri
funzionari sospettati delle responsabilità nei crimini contro
l’umanità”. Con tali dichiarazioni forti, soprattutto in un contesto in
cui potenti Stati esteri già invocavano il ‘cambio di regime’ in Siria,
il contributo di Amnesty va visto come istigante. Dato che non solo la
forza della condanna è degna di nota, ma la rapidità della
presentazione, in ‘tempo reale’, pone òa domanda ai sostenitori di
Amnesty Internationaldi su come l’organizzazione potesse seguire
istantaneamente gli eventi, oltre a porrli indagare pienamente trovando
le prove. La reputazione di Amnesty International si basa sulla qualità
della ricerca. Il segretario generale dell’organizzazione, Salil Shetty,
ha chiaramente affermato i principi e metodi nella raccolta delle
prove:
“Lo facciamo in modo sistematico, di prima mano, raccogliendo prove con il nostro personale sul campo. E ogni aspetto della nostra raccolta di dati si basa su riscontri e controllo incrociato da tutte le parti, anche se ci sono, si sa, molti partiti in ogni situazione dato che i problemi di cui ci occupiamo sono piuttosto controversi. Quindi è molto importante avere diversi punti di vista, controllare costantemente e verificare i fatti”. [18]
Amnesty si pone così rigorosi standard
di ricerca, e assicura al pubblico di essere scrupolosa nell’aderirvi.
Questo c’è da aspettarselo, credo, soprattutto quando gravi accuse si
rivolgono a un governo. Amnesty ha seguito il proprio protocollo nella
preparazione della relazione Deadly Detention? Il personale di Amnesty
sul campo ha sistematicamente e in modo diretto raccolto i dati
verificati sotto ogni aspetto, confermandoli e controllandoli attraverso
tutte le parti interessate? Nell’analisi aggiunta qui in nota [19]
si
mostra, punto per punto, come la relazione non soddisfi alcuni di tali
criteri e come non aderiva ad alcuno di essi. Dato che i risultati
potevano essere utilizzati per sostenere la richiesta dell’intervento
umanitario in Siria, il minimo da aspettarsi dall’organizzazione era
applicare i propri standard prescritti per le prove. Affinché non si
creda che concentrandosi sugli aspetti tecnici sui rischi della
metodologia di ricerca, si lasci il governo fuori dai guai per crimini
abnormi, va sottolineato come in origine fosse assiomatico per Amnesty
International non dover mai presumere la colpevolezza senza prove. [20]
Piuttosto oltre a questioni tecniche, sbagliare sull’autore dei crimini
di guerra potrebbe comportare fin troppo gravi conseguenze, intervenendo
erroneamente al fianco dei veri responsabili.
Supponiamo nondimeno d’insistere che le prove dimostrassero con
sufficiente chiarezza che Assad massacrava il proprio Paese e il proprio
popolo: era sicuro che la ‘comunità internazionale’ doveva intervenire
in favore del popolo contro tale presunto stragista? [21]
Nell’ambito di
opinioni e conoscenze all’estero, al momento, sarebbe sembrato
plausibile. Non era l’unica proposta plausibile, tuttavia, e non certo
in Siria. Un’altra era che il miglior tipo di supporto da offrire al
popolo della Siria era spingere saldamente il governo verso le riforme,
mentre lo si aiutava, essendo sempre più necessario liberare il
territorio dei terroristi che avevano fomentato e poi sfruttato tensioni
e proteste nella primavera 2011. [22]
Infatti, anche supponendo che gli
agenti della sicurezza interna del governo necessitassero di maggiore
moderazione, il modo migliore per raggiungere questo obiettivo non era
necessariamente minare il governo, l’unico ben posizionato, con supporto
e incentivi costruttivi per applicarla. Non trovo ovvio che Amnesty
fosse obbligata o competente a decidere su tali alternative. Dato che,
tuttavia, scelse di farlo, dobbiamo chiederci perché da subito respinse
il metodo decisionale proposto dal Presidente al-Assad. Era suo dovere
tenere le elezioni per chiedere al popolo se lo volevano o meno. Anche
se non ampiamente riportate in occidente, e praticamente ignorate da
Amnesty [23],
le elezioni presidenziali si tennero nel 2014 con la
vittoria schiacciante di Bashar al-Assad, 10319723 di voti a favore,
l’88,7% , con un’affluenza del 73,42%. [24]
Gli osservatori occidentali
non contestarono le cifre né sostennero irregolarità del voto [25],
i
media invece cercarono di minimizzarle.
“Questa non è una elezione che può essere analizzata come elezione multipartitica delle democrazie europee o degli Stati Uniti, dice alla BBC Jeremy Bowen da Damasco. E’ stato un omaggio al Presidente Assad dai suoi sostenitori, boicottato e rifiutato dagli oppositori, piuttosto che un atto politico, aggiunge”. [26]
Questo omaggio, comunque, fu espresso dalla maggioranza assoluta
dei siriani. Indicandolo ‘senza significato’, come fece il segretario di
Stato degli USA John Kerry [27],
rivelava quanto il suo regime
rispettasse il popolo della Siria. E’ vero che il voto non poteva
esserci nelle zone occupate dall’opposizione, ma la partecipazione
complessiva fu così grande che anche supponendo che l’intera popolazione
in quelle aree gli votasse contro, avrebbero comunque dovuto accettare
Assad vincitore legittimo, come in Scozia che accetta Theresa May prima
ministra inglese. Infatti, la recente liberazione di Aleppo est ha
rivelato che il governo di Assad in realtà vi ha sostegno. Non possiamo
sapere se Assad sarebbe stato scelto da così tante persone in altre
circostanze, ma possiamo ragionevolmente dedurre che il popolo della
Siria ha visto nella sua leadership la migliore speranza per unificare
il Paese sull’obiettivo di por fine allo spargimento di sangue. Per
quanto si avesse idealmente cercato, anche con le proteste autentiche
del 2011, la volontà del popolo siriano chiaramente era, date le
circostanze, con il governo nell’affrontare i problemi, piuttosto che
farlo soppiantare da entità eterodirette. [28]
(Sono tentato di pensare,
da filosofo politico, che Jeremy Bowen della BBC avesse ragione a dire
che l’elezione non fosse un normale ‘atto politico’: Bashar al-Assad è
sempre stato chiaro nelle dichiarazioni e interviste sulla sua posizione
indissolubilmente legata alla costituzione. Non ha deciso di rinunciare
alla carriera di medico per diventare un dittatore, se ho capito bene,…
anzi, la morte del fratello ne modificò i piani. Dato che i fatti non
suggeriscono il contrario, sono personalmente disposto a credere che la
fermezza altrimenti incomprensibile di Assad in effetti derivi
dall’impegno a difendere la costituzione del suo Paese. Se o meno il
popolo lo volesse veramente presidente è secondario rispetto alla
domanda se fosse disposto a rinunciare alla costituzione nazionale su
dettame di qualche ente diverso dal popolo siriano. La risposta a ciò ha
senso, come Bowen nota inavvertitamente al di là della semplice
politica).
Dato che il popolo siriano aveva confutato la tesi che Amnesty ha promosso, seri interrogativi si pongono. Tra cui uno, che difenderebbe Amnesty e darebbe una qualche giustificazione indipendente da fonti diverse da quelle delle sue indagini, credendo sinceramente che le accuse al governo siriano fossero fondate. Tuttavia, dato che una risposta affermativa a questa domanda non smentirebbe ciò che ho cercato di chiarire, metto da parte il discorso per il prossimo passo di questa indagine. Il mio punto per ora è che Amnesty International stessa non ha corroborato indipendentemente la propria causa. È preoccupante per chi pensa che debba assumersi la piena responsabilità delle osservazioni che riferisce. Ulteriori discussioni affronterebbero anche preoccupazioni su quali cause dovrebbe rappresentare. [29]
Note:
[1] Per informazioni sui caschi bianchi, una panoramica concisa appare nel video Caschi Bianchi: pronto soccorso o fiancheggiatori di al-Qaida? Per una discussione più approfondita, vedasi la sintesi accessibile e dai molti riferimenti di Jan Oberg. Sulla base delle informazioni ora ampiamente disponibili, e data la coerenza di numerose testimonianze critiche, in contrasto all’incoerenza della narrazione ufficiale spacciata da Netflix, diffido delle testimonianze dei caschi bianchi quando confliggono con le testimonianze dei giornalisti indipendenti sul terreno, soprattutto perché i rapporti di questi ultimi sono coerenti con quelli della popolazione di Aleppo est che ha condiviso la verità sulla propria esperienza dopo la liberazione (per le numerose interviste con gli aleppini si veda il canale Youtube di Vanessa Beeley, e anche si consultino le raccolte fotografiche di Jan Oberg). Vi sono stati certamente sforzi per sfatare le varie denunce dei caschi bianchi, e l’ultimo che conosco (al momento della stesura) riguarda la confessione nel video (linkato sopra) di Abdulhadi Qamal. Secondo Middle East Eye, i suoi colleghi caschi bianchi ritengono che la confessione gli sia stata imposta (segnalazione al 15 gennaio 2017) in un centro di detenzione governativo; secondo Amnesty International, che non menziona tale relazione nel suo appello del 20 gennaio 2017, non vi è alcuna prova che fosse un casco bianco e non si sa cosa gli sia successo. Quello che comprendo da ciò è che alcuni vogliono difendere i caschi bianchi, ma che non sono nemmeno d’accordo su una storia coerente su cui basarsi, data la pressione di eventi imprevisti ad Aleppo che mostrano il dietro le quinte, letteralmente, della storia di Netflix. E’ anche poco rassicurante sulla qualità delle indagini di AI in Siria.
[1] Per informazioni sui caschi bianchi, una panoramica concisa appare nel video Caschi Bianchi: pronto soccorso o fiancheggiatori di al-Qaida? Per una discussione più approfondita, vedasi la sintesi accessibile e dai molti riferimenti di Jan Oberg. Sulla base delle informazioni ora ampiamente disponibili, e data la coerenza di numerose testimonianze critiche, in contrasto all’incoerenza della narrazione ufficiale spacciata da Netflix, diffido delle testimonianze dei caschi bianchi quando confliggono con le testimonianze dei giornalisti indipendenti sul terreno, soprattutto perché i rapporti di questi ultimi sono coerenti con quelli della popolazione di Aleppo est che ha condiviso la verità sulla propria esperienza dopo la liberazione (per le numerose interviste con gli aleppini si veda il canale Youtube di Vanessa Beeley, e anche si consultino le raccolte fotografiche di Jan Oberg). Vi sono stati certamente sforzi per sfatare le varie denunce dei caschi bianchi, e l’ultimo che conosco (al momento della stesura) riguarda la confessione nel video (linkato sopra) di Abdulhadi Qamal. Secondo Middle East Eye, i suoi colleghi caschi bianchi ritengono che la confessione gli sia stata imposta (segnalazione al 15 gennaio 2017) in un centro di detenzione governativo; secondo Amnesty International, che non menziona tale relazione nel suo appello del 20 gennaio 2017, non vi è alcuna prova che fosse un casco bianco e non si sa cosa gli sia successo. Quello che comprendo da ciò è che alcuni vogliono difendere i caschi bianchi, ma che non sono nemmeno d’accordo su una storia coerente su cui basarsi, data la pressione di eventi imprevisti ad Aleppo che mostrano il dietro le quinte, letteralmente, della storia di Netflix. E’ anche poco rassicurante sulla qualità delle indagini di AI in Siria.
[2] La mia indagine critica su Medici Senza Frontiere (MSF) fu innescata
apprendendo che la loro testimonianza fu usata per criticare le
affermazioni sulla Siria da parte della giornalista indipendente Eva
Bartlett. Avendo trovato le sue notizie credibili, mi sono sentito
costretto a scoprire quale resoconto credere. Ho scoperto che MSF
ingannava su ciò che affermava di sapere della Siria. In risposta
all’articolo, diverse persone hanno indicato preoccupazioni su Amnesty
International. Così ho avuto il coraggio d’iniziare a mettere in
discussione Amnesty International sulla base di indicazioni e
suggerimenti forniti da alcuni miei nuovi amici, e vorrei ringraziare
particolarmente Eva Bartlett, Vanessa Beeley, Patrick J.Boyle, Adrian D.
e Rick Sterling per i suggerimenti. Ho anche tratto beneficio dal
lavoro di Tim Anderson, Jean Bricmont, Tony Cartalucci, Stephen Gowans,
Daniel Kovalic, Barbara McKenzie e Coleen Rowley. Vorrei ringraziare
Gunnar Øyro, per la produzione di una rapida traduzione in norvegese
dell’articolo di MSF che ha contribuito a raggiungere altre persone. In
realtà ve ne sono tanti altri da cui ho imparato così tanto in queste
poche settimane, tra i quali scopro un movimento in rapida espansione di
investigatori e giornalisti-cittadini nel mondo. E’ una buona cosa che
accada in questi tempi terribili. Grazie a tutti voi!
[3] Per esempio, Tim Anderson sostiene, in La guerra sporca alla Siria
(2016), che Amnesty è stata ‘integrata’ insieme ai media occidentali, ed
ha seguito fermamente la linea di Washington, piuttosto che fornire
prove ed analisi indipendenti.
[4] Il rapporto Deadly Reprisals concludeva che ‘le forze governative e
le milizie siriane sono responsabili di gravi violazioni dei diritti
umani e del diritto umanitario internazionale, pari a crimini contro
l’umanità e crimini di guerra’.
[5] UN
[6] ‘Nelle aree dei governatorati di Idlib e Aleppo, dove Amnesty
International ha svolto la sua ricerca sul campo per questo rapporto, i
combattimenti ebbero l’intensità del conflitto armato non
internazionale. Ciò significa che le leggi di guerra (diritto
internazionale umanitario) si applicano, oltre che sui diritti umani, e
che molti degli abusi documentati qui costituirebbero crimini di guerra‘. Deadly Reprisals, p.10.
[7] Il racconto di Rovera è stato contraddetto da altre testimonianze come riportato, ad esempio, sul Badische Zeitung, secondo cui la responsabilità delle morti fu attribuita alla parte sbagliata. L’unilateralità nel resoconto fu fortemente criticata da Louis Denghien. Più rivelatore, tuttavia, è l’articolo di cui parlo nel testo, in cui Rovera due anni dopo si smentiva (“Controllo, relazione e accertamento dei fatti durante e dopo i conflitti armati“).
Questo articolo non è stato pubblicato sul sito di Amnesty, che non lo
menziona neanche sui rapporti, per quanto ne so. Lo raccomando a tutti
coloro che pensano che la mia conclusione su Deadly Reprisals sia
affrettata. Penso che sia una lettura salutare per alcuni dei colleghi,
come quello che pubblicò una smentita straordinariamente difensiva alla
domande critiche sul rapporto, nel blog di Amnesty il
15 giugno 2012, dove mi sembra risponda in modo provocatorio a tutte le
domande. (L’autore continua sminuendo i critici di non essere stati
così critici sulle rivendicazioni opposte. Non lo so, né m’importa se lo
erano. Volevo solo sapere se avesse qualcosa di serio da dire in
risposta alle critiche). Pur apprezzando chi lavora per Amnesty con
passione, per la causa dei più deboli, non vorrei il contrario,
sostenendo che la disciplina professionale sia appropriata nelle
discussioni relative alle prove.
[8] “A più di un anno dai disordini nel 2011, Amnesty International,
come altre organizzazioni internazionali per i diritti umani, non poté
svolgere una ricerca sul campo in Siria essendo effettivamente impedito
l’accesso al Paese dal governo”. (Deadly Reprisals, p.13)
[9] Donatella Rovera, (“Controllo, relazione e accertamento dei fatti durante e dopo i conflitti armati“) 2014.
[10] Articolo che vale la pena di leggere per intero riflette varie
difficoltà ed ostacoli per avere dati affidabili sul campo, ma qui vi è
un estratto particolarmente rilevante sul caso della Siria: “L’accesso
alle aree interessate durante le ostilità può essere limitata o
addirittura impossibile, e quando possibile, spesso estremamente
pericolosa. La prova può essere rapidamente rimossa, distrutta o
contaminata, intenzionalmente o meno. Le prove “pessime” sono peggio di
alcuna prova, in quanto possono portare a ipotesi o conclusioni
sbagliate. In Siria ho trovato sub-munizioni inesplose in luoghi non
noti per bombardamenti con bombe a grappolo. Anche se spostare
sub-munizioni a grappolo inesplose è molto pericoloso, dato che anche un
tocco leggero può causarne l’esplosione, i combattenti siriani spesso
li raccolgono dai siti degli attacchi governativi e li trasportano in
altri luoghi, a volte a distanze considerevoli, al fine di riutilizzarne
l’esplosivo. La pratica è ampiamente nota, ma al tempo dei primi
attacchi, due anni fa, portò all’ipotesi errata sulla posizione di tali
attacchi… Soprattutto nelle fasi iniziali dei conflitti armati, i civili
affrontano realtà del tutto sconosciute, scontri armati, colpi di
artiglieria, bombardamenti aerei e altre attività militari e situazioni
che non hanno mai sperimentato prima, rendendogli molto difficile
descrivere con precisione incidenti specifici” (“Controllo, relazione e accertamento dei fatti durante e dopo i conflitti armati“).
Alla luce del candore di Rovera, si nota il contrasto inevitabile con
la posizione di Amnesty International che non solo approvava il rapporto
acriticamente, in primo luogo, ma continuava ad emettere segnalazioni
analoghe, invocando azioni sulla base di essi.
[11] “Queste preoccupanti nuove prove dell’organizzazione di gravi
abusi evidenzia la pressante necessità di un’azione internazionale
decisiva… Per più di un anno, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite ha differito, mentre una crisi dei diritti umani si aveva in
Siria. Si deve ora superare l’impasse e agire concretamente per porre
fine a queste violazioni e farne tenere conto ai responsabili”.
Deadly Reprisals comunicato stampa. Il direttore esecutivo di Amnesty
International degli USA in quel momento favoriva la risposta libica al
‘problema’ della Siria. Parlando poco dopo la nomina, espresse
frustrazione sull’approccio libico che non era già stato adottato per la
Siria: “La scorsa primavera il Consiglio di sicurezza creò una
maggioranza per un’azione di forza in Libia e fu inizialmente molto
controverso, causando molti dubbi tra i principali membri del Consiglio
di Sicurezza. Ma Gheddafi è caduto, c’è stato un passaggio e credo che
si sarebbe pensato che quei timori sarebbero spariti. Eppure abbiamo
visto continuare l’impasse sulla Siria….” citato da Coleen Rowley, “Spacciare la guerra come ‘Smart Power’” (28 agosto 2012).
[12] La questione se Amnesty International come organizzazione possa
avere una ‘volontà’ è complessa. Uno dei motivi è che si tratta
dell’associazione di tante persone e non c’è un semplice ‘si’. Un altro è
che le dichiarazioni pubbliche sono spesso espresse in un linguaggio
che può trasmettere un messaggio, ma scegliendo parole che permettano di
negare qualsiasi particolare intento che verrebbe criticato o
censurato. Tale pratica di per sé la trovo malsana, personalmente, e
penso che sia inutile per un’organizzazione dalla missione morale come
Amnesty. Per una discussione critica sull”interventismo’ di Amnesty
International in Libia si veda ad esempio Daniel Kovalik “Amnesty International e l’industria dei diritti umani” (2012). Coleen Rowley ha ricevuto da Amnesty International, in risposta alle critiche, l’espressione “non prendiamo posizioni su un intervento armato”. (Il
problema dei diritti umani/Il diritto umanitario ha la precedenza sul
principio di Norimberga: la tortura è sbagliata, ma lo è anche il
crimine di guerra supremo, 2013). Rowley mostra come questa
risposta, a differenza di una chiara presa di posizione contro
l’intervento, dimostri una certa creatività. Noto anche di passaggio che
nella stessa risposta, Amnesty assicura che “le richieste di AI si
basano sulla nostra ricerca indipendente sulle violazioni dei diritti
umani in un determinato Paese”. Questo, accanto ad AI che cita rapporti
di altre organizzazioni, lo considero economizzare la verità. Nel mio
prossimo post su Amnesty International, sarà discusso il ruolo di
Suzanne Nossel, già direttrice esecutiva di Ammesty International degli
USA, e in quel contesto altre informazioni si avranno sugli scopi delle
testimonianze di Amnesty, quando vi operava nel 2011-12.
[13] Presentazione dell’UN Universal Periodic Review, ottobre 2011, ‘Fine delle violazioni dei diritti umani in Siria‘.
Senza voler sminuire il significato di ogni singola violazione dei
diritti umani, vorrei richiamare l’attenzione qui sulla portata del
problema che si registrò prima al 2011 confrontandolo con i rapporti
successivi. Così faccio notare che il dipartimento di Stato degli Stati
Uniti non dettagliava carenze eclatanti: “C’è stato almeno un caso
nell’anno in cui le autorità non protessero chi custodivano…. Ci sono
rapporti negli anni precedenti di prigionieri picchiati da altri
prigionieri mentre le guardie facevano finta di niente”. Nel 2010 (28 maggio) Amnesty riferì di “diverse morti sospette in custodia”. Il suo briefing alla
commissione per la tortura parla di decine di casi nel 2004-2010. Per
avere un riferimento in più, questi rapporti indicano anche che il
trattamento più brutale tendeva ad essere riservato agli islamisti e in
particolare ai Fratelli musulmani. Ci sono anche lamentele dai curdi. Un
piccolo numero di avvocati e giornalisti fu anche menzionato.
[14] Human Rights Watch (2010), ‘Un decennio perduto: diritti umani nella Siria dei primi dieci anni di potere di Bashar al-Assad’ .
[15] Secondo un resoconto: “In conseguenza a quattro anni di grave
siccità, agricoltori e allevatori videro i loro mezzi di sussistenza
distrutti e il proprio stile di vita trasformato, disilludendosi verso
la promessa del governo di piena attenzione alle zone rurali. Slegando
promesse paternalistiche di redistribuzione delle risorse a favore dei
contadini e patti corporativi d’interesse del regime vincolati al
comportamento di privati corrotti, si poté cominciare a rilevare i semi
dell’agitazione politica siriana… Il fallimento del regime nell’attuare
misure economiche per alleviare gli effetti della siccità fu
fondamentale nel spingere tali mobilitazioni del dissenso. In questi
ultimi mesi, le città siriane congiungono sofferenza dei migranti rurali
sfollati e dei residenti urbani insoddisfatti, che s’incontrano e
mettono in discussione natura e distribuzione del potere… Direi che un
impulso cruciale al dissenso siriano oggi è stato il ruolo del governo
nel marginalizzare ulteriormente la cruciale popolazione rurale di
fronte alla recente siccità. Numerose organizzazioni internazionali
hanno riconosciuto la misura in cui la siccità ha paralizzato l’economia
siriana e trasformato la vita di miriadi di famiglie siriane in modo
irreversibile”. Suzanne Saleeby (2012) “Piantare i semi del dissenso: rimostranze economiche e violazione del Contratto Sociale siriano”.
[16] Nomi, date e relazioni pertinenti qui sono facilmente confusi, ecco
ulteriori dettagli. Il rapporto di Amnesty International 2011: lo stato
dei diritti umani nel mondo menzionato nel testo qui, riporta solo
l’anno solare 2010, e fu pubblicato il 13 maggio 2011. La relazione
pubblicata nell’agosto 2011su Deadly Detention, decessi in custodia per
le proteste popolari in Siria, copre gli eventi fino al 15 agosto 2011.
[17] I crimini contro l’umanità sono una categoria speciale e egregia di
illecito: coinvolgono atti che vengono deliberatamente commessi
nell’ambito di un esteso o sistematico attacco alla popolazione civile.
Mentre crimini ordinari sono una questione che riguarda uno Stato che
affronta all’interno, i crimini contro l’umanità, soprattutto se
commessi dallo Stato, possono essere oggetto di una reprimenda dalla
comunità internazionale.
[19] L’indagine è stata sistematica? L’organizzazione della raccolta dei
dati richiede tempo, coinvolge procedure per pianificare, preparare,
eseguire e consegnare l’analisi sistematica e l’interpretazione dei
dati, comportando una buona dose di lavoro; la stesura va adeguatamente
controllata. Inoltre, per relazionare in modo affidabile si ricorre a
varie indagini di controllo per stabilire contesto e rilevanti fattori
variabili che potrebbero influenzare senso e significato dei dati. Anche
allora, una volta che un progetto di relazione è scritto, va
controllato da alcuni esperti per eventuali errori od omissioni
inosservate. Ogni presentazione di prove che evita quei passaggi non
può, a mio giudizio, essere considerato sistematico. Non riesco a
immaginare come tali processi possano essere completati in breve tempo,
per non parlare ‘in tempo reale’, e quindi posso solo lasciare ai
lettori decidere quanto sistematica sia stata la ricerca. Le prove
furono raccolte da fonti dirette? “Ricercatori internazionali hanno
intervistato testimoni e altri fuggiti dalla Siria nelle ultime visite
in Libano e Turchia, o comunicato per telefono ed e-mail con persone
rimaste in Siria… inclusi parenti delle vittime, difensori dei diritti
umani, medici e detenuti appena rilasciati. Amnesty International ha
anche ricevuto informazioni da attivisti siriani e altri che vivono
fuori dalla Siria”. Di tutte queste fonti, si potrebbe considerare
la testimonianza dei detenuti appena rilasciati come fonte diretta sulle
condizioni di detenzione. Tuttavia, siamo alla ricerca di riscontri a
sostegno dell’accusa di crimini contro l’umanità attraverso “una
diffusa, sistematica aggressione alla popolazione civile, condotta in
modo organizzato e in virtù di una politica statale volta a commettere
tale aggressione”. Su quali basi Amnesty può pretendere di sapere
con precisione la portata di qualsiasi attacco e di quando ed
esattamente chi lo perpetrata, o di come il governo organizza
l’attuazione della politica statale, non viene spiegato nella relazione.
Le prove furono raccolte dal personale di Amnesty sul terreno? A questa
domanda risponde il rapporto: “Amnesty International non è stata in grado di condurre una ricerca di prima mano sul terreno in Siria nel 2011”
(p. 5). Ogni aspetto della raccolta dei dati è stato verificato da
riscontri? Il fatto che numerose persone identificate siano morte in
circostanze violente è confermata, ma la relazione osserva che “in
pochissimi casi Amnesty International ha avuto informazioni che indicano
dove una persona sia stata detenuta al momento della morte. Di
conseguenza, questo rapporto utilizza termini qualificati quali
“presunti arresti” e “presunti decessi in custodia”, se nel caso,
riflettendo tale mancanza di chiarezza su alcuni dettagli dei casi
segnalati”. Ciò corrobora la descrizioni della situazione pre-2011
su brutalità della polizia e decessi in custodia. Questi sono
inaccettabili in Siria come dovrebbe essere in tutti gli altri Paesi, ma
parlare di ‘crimini contro l’umanità’ implica una politica sistematica.
Non trovo nulla nella relazione che porti prove a conferma contro lo
Stato: “Nonostante questi limiti, Amnesty International ritiene che i
crimini dietro l’alto numero di decessi in custodia segnalati di
sospetti oppositori del regime, identificati in questa relazione, nel
contesto di altri crimini e violazioni dei diritti umani contro i civili
altrove in Siria, siano pari a crimini contro l’umanità. Essi sembrano
parte di una diffusa, sistematica, aggressione alla popolazione civile,
svolta in modo organizzato e in virtù di una politica statale volta ad
aggressioni del genere”. Di conferme di abusi diffusi e pretese che
il governo avesse una politica dedita ai crimini contro l’umanità, non
ne ho trovate. La prova invocata ha subito un controllo incrociato con
tutte le parti interessate? Dato che il governo è accusato, sarebbe la
parte più interessata, e la relazione chiarisce che il governo non era
preparato a trattare con Amnesty International. La mancata
collaborazione del governo con Amnesty, quali che siano le sue ragioni,
non può essere offerta come prova della sua innocenza. (Quella stessa
frase può addebitarsi ai tradizionali sostenitori di Amnesty
International, dato che un principio fondante del giusto processo è
presumere l’innocenza fino a prova contraria). Ma permetto che alcuni
possano considerare i governi diversi dalle persone fisiche. Ma dato che
il governo non era obbligato ad avere rapporti con Amnesty, e potrebbe
avere avuto altri motivi per non farlo, dobbiamo semplicemente notare
che questo aspetto del protocollo sui metodi d’indagine non fu
soddisfatto.
[20] Vorrei sottolineare che varie persone hanno contestato l’assenza di prove credibili, tra cui l’ex-agente della CIA Philip Giraldi,
che ha anche affermato che il piano degli USA per destabilizzare la
Siria e perseguire un cambio di regime, covava da anni. A differenza
delle accuse contro Assad, ciò fu confermato da varie fonti, tra cui l’ex-ministro degli Esteri francese e il generale Wesley Clark .
[21] Anche se le virgolette e la parola presunto sono sempre assenti nei
riferimenti alle accuse ad Assad, sui media, li mantengo per principio
dato che il semplice fatto di ripetere l’accusa non basta a modificarne
lo status epistemico. Per accreditare la verità di una dichiarazione si
ha bisogno di prove. Affinché si possa parlare di molte prove, vorrei
suggerire brevemente cosa Amnesty International scrisse nel 2016, riferendosi alla ‘prova più evidente’.
La prova in questione sono le cosiddette fotografie di Cesare che
mostrano 11000 cadaveri che si presume torturati e giustiziati da
personale di Assad. Una discussione completa su questa materia non si
adatta a una nota come questa, ma vorrei solo sottolineare che questa
prova era nota ad Amnesty e al mondo dal gennaio 2014 e fu discussa da
Philip Luther di Amnesty al momento della pubblicazione. Riferendosi ad
esse come ‘11000 motivi per un’azione reale in Siria’ , Luther ammise
che la causa delle morti non fu verificata ma parlò suggerendo che la
verifica fosse vicina alla conclusione scontata (si ricordi, a cinque
mesi prima della vittoria elettorale di Assad, in modo che tale presunto
sterminio colpisse l’opinione pubblica nel periodo elettorale). Questi
‘11000 motivi’ chiaramente pesarono presso Amnesty, anche se non poté
verificarli. Finora, però, una prova credibile non è stata certificata, e
io per primo non mi aspetto che ci siano. Alcuni motivi sono indicati
da Rick Sterling nella critica, “Le frodi delle foto di Cesare che minano i negoziati siriani”
Nel frattempo, se Amnesty International aveva pensato all’ipotesi per
spiegare il motivo per cui gli elettori siriani sembrassero così
indifferenti sul presunto stragista loro presidente, non le ha
condivise.
[22] Anche se questa era una visione minoritaria sui media occidentali, non era del tutto assente. Il Los Angeles Times del 7 Marzo 2012 aveva un breve articolo intitolato ‘In Siria i cristiani temono per la vita se cadesse Assad’ che articolava le preoccupazioni per “la
se sempre più cruenta rivolta di quasi un anno in Siria, che potrebbe
frantumare la sicurezza fornita dal governo autocratico, ma laico, del
Presidente Bashar Assad. Avvertimenti di un bagno di sangue se Assad
lascia la carica risuonano presso i cristiani, che vedono i loro
fratelli cacciati dalla violenza settaria col rovesciamento dei vecchi
capi di Iraq ed Egitto, e prima ancora nella guerra civile di 15 anni
nel vicino Libano”, rilevando “che la loro paura aiuta a spiegare il notevole sostegno al regime”.
Questo fondato timore di qualcosa di peggio probabilmente andava
considerato pensando alle proporzione di una qualsiasi escalation
militare. L’articolo di LA Times recava un’intervista: “Naturalmente la ‘primavera araba’ è un movimento islamista“, ha detto George con rabbia. “E’
piena di estremisti. Vogliono distruggere il nostro Paese e la chiamano
‘rivoluzione’… I dirigenti della Chiesa sono in gran parte allineati al
governo, sollecitando i loro seguaci a dare ad Assad la possibilità di
mettere in atto le riforme politiche a lungo promesse, mentre chiedono
la fine delle violenze, che hanno ucciso più di 7500 persone su entrambi
i lati, secondo le Nazioni Unite”. Il Los Angeles Times recava diversi articoli simili, tra cui: LAT e USA Today 30.
Troviamo anche che il supporto alla presidenza Assad ha retto per tutto il periodo dopo le proteste iniziali: da allora, il supporto ad Assad permane. Le analisi del 2013 di ORB Poll.
Troviamo anche che il supporto alla presidenza Assad ha retto per tutto il periodo dopo le proteste iniziali: da allora, il supporto ad Assad permane. Le analisi del 2013 di ORB Poll.
[23] Non ne viene fatta menzione sulle pagine web di Amnesty, e la relazione annuale del 2014/15 reca una menzione superficiale sminuendo l’elezione a priva di significato: “A
giugno, il Presidente al-Assad ha vinto le elezioni presidenziali
tenute solo nelle aree governative, ottenendo un terzo mandato di sette
anni. La settimana successiva, annunciava un’amnistia che ha portato a
pochi rilasci di prigionieri; la stragrande maggioranza dei prigionieri
di coscienza e altri prigionieri politici continua ad essere detenuta
dal governo”. (p.355)
[24] Segnalato sul Guardian del 4 giugno 2014. La popolazione totale della Siria, compresi i bambini, era di 17951639 nel 2014. Anche se la maggior parte della stampa occidentale ha ignorato o sottovalutato i risultati, ci sono state alcune eccezioni. Il Los Angeles Times osservava che “i
sostenitori regionali e internazionali di Assad ne salutano la vittoria
come soluzione politica alla crisi e chiara indicazione della ‘volontà’
dei siriani”. In un articolo su Fox News via Associated Press, vi era una chiara descrizione della profondità del sostegno: “L’elezione siriana mostra la profondità del sostegno popolare ad Assad, anche tra la maggioranza sunnita”.
L’articolo spiegava le numerose ragioni del sostegno, smentendo la
solita narrativa tradizionale in occidente. Il Guardian riportava: “Garantirsi
un terzo mandato presidenziale è la risposta di Assad alla rivolta, che
ha avuto inizio nel marzo 2011 con manifestanti pacifici che chiedevano
riforme, ma da allora è divenuta una guerra che ha scosso il Medio
Oriente e il mondo. E ora, con una stima di 160000 morti, milioni di
sfollati in patria e all’estero, potenze estere che sostengono entrambi i
lati, e gruppi jihadisti legati ad al-Qaida che ottengono maggiore
controllo nel nord e ad est, molti siriani ritengono che Assad solo
possa porre fine al conflitto”. Steven MacMillan da un resoconto pro-Assad delle elezioni su New Eastern Outlook.
[25] Nonostante le affermazioni degli Stati impegnati nel ‘cambio di
regime’, secondo cui il risultato delle elezioni va semplicemente
ignorato, gli osservatori internazionali non trovarono alcun difetto da segnalare.
[26] Lo si ritiene di così poca importanza da parte del British Foreign and Commonwealth Office,
che la sua pagina web sulla Siria, aggiornata al 21 gennaio 2015, aveva
ancora questo paragrafo sulla possibile futura elezione in Siria, e con
un certo scetticismo: “non vi è alcuna prospettiva di elezioni libere ed eque nel 2014, mentre Assad rimane al potere”.
[27] BBC
[28] Un sondaggio nel 2015 della ORB International, società
specializzata nella ricerca sull’opinione pubblica in ambienti fragili e
conflittuali, mostrava ancora Assad avere maggiore supporto popolare
che non l’opposizione. Il rapporto fu analizzato da Stephen Gowans.
[29] Per i pensieri precedenti e in via preliminare alla questione generale, vedasi il mio pezzo “Amnesty International è fedele alla sua missione?” (12 Gennaio 2017)
Tim Hayward, 23 gennaio 2017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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