“Una luna dà più luce di cinquemila stelle.”
(Paramhansa Yogananda)
“Sono
molti i modi in cui aumentiamo la nostra inquietudine e la nostra
sofferenza mentale. Benché, in genere, le afflizioni mentali ed
emozionali si presentino in maniera naturale, spesso siamo noi stessi ad
aggravarle molto. Quando, per esempio, nutriamo rabbia oppure odio per
una persona, questo sentimento ha meno probabilità di diventare assai
forte se non lo coltiviamo.
Se
invece rimuginiamo sulle ingiustizie che riteniamo ci siano state
fatte, se ci arrovelliamo sul trattamento in iniquo subìto e continuiamo
a pensarci sempre di più, alimentiamo l’odio. E l’odio allora diventa
molto intenso e potente. Certo, lo stesso discorso può valere nel caso
dell’attaccamento ad una data persona: alimentiamo questo sentimento
pensando a quanto quella persona sia bella e continuando a concentrarci
su tale qualità, frutto della nostra proiezione mentale, e ci
attacchiamo sempre di più.
Ma
ciò dimostra come, attraverso i pensieri e la familiarizzazione
costanti, noi stessi possiamo intensificare parecchio le nostre
emozioni. Spesso, poi, accresciamo la pena e la sofferenza con
l’ipersensibilità, reagendo troppo a fatti di lieve entità o prendendo
tutto troppo in maniera personale. Tendiamo a esagerare l’importanza di
piccole cose e a gonfiarle in misura eccessiva, mentre magari
trascuriamo gli eventi davvero importanti, che hanno ripercussioni
profonde sulla nostra vita e conseguenze ed effetti a lungo termine.
A
mio avviso, dunque, il nostro grado di sofferenza dipende da come
reagiamo a una determinata situazione. Poniamo di scoprire che qualcuno
sparla di noi alle nostre spalle. Se reagiamo a questa spiacevole
notizia, a questo fatto negativo con un senso di rabbia e risentimento,
noi stessi distruggiamo la pace dello spirito e il dolore diventa una
nostra creazione personale.
Se
invece evitiamo di reagire in maniera negativa, se lasciamo che la
calunnia ci passi accanto come un vento silenzioso che soffia dietro le
orecchie, ci difendiamo dal risentimento e dall’angoscia. Dunque, anche
se forse non riusciremo sempre a eludere le situazioni difficili,
possiamo modificare il grado di sofferenza scegliendo una reazione
piuttosto che un’altra…
Vi
sono diversi modi di combattere questa sensazione. Ho già spiegato come
sia importante riconoscere che la sofferenza è un fatto naturale della
vita umana. E credo che sotto certi aspetti i tibetani siano più
disposti ad accettare la realtà delle situazioni difficili, in quanto
dicono: “Forse è per via del mio karma, di qualcosa che ho fatto in
passato.”
Attribuiscono
l’origine del problema ad azioni negative compiute in questa vita o
nella vita precedente, sicché hanno un maggior grado di accettazione. A
tal proposito è importante capire e sottolineare che a volte,
fraintendendo la dottrina, si tende ad attribuire la responsabilità di
tutto al karma e a esonerarsi dalla responsabilità o dalla necessità di
prendere iniziative personali. È troppo facile dire:”Ciò è dovuto al mio
karma passato negativo, per cui cosa posso farci? Sono inerme”.
È
un modo del tutto errato di interpretare il karma; benché infatti le
nostre esperienze siano la conseguenza delle azioni passate, ciò non
significa che l’individuo non abbia scelta o non abbia la possibilità di
modificare le cose, di produrre un cambiamento positivo. Questo vale in
tutti i settori della vita. non si deve cedere alla passività ed
evitare di prendere iniziative personali con la scusa che tutto è
causato dal karma.
Se
si capisce bene il concetto di karma, si capirà anche che karma
significa “azione”. Il karma è un processo molto attivo e quando
parliamo di karma o azione, parliamo dell’azione compiuta da un agente,
in questo caso noi stessi, in passato. Perciò il tipo di futuro che ci
attende dipenderà, in larga misura, da quanto noi stessi faremo nel
presente. Il futuro sarà determinato dalle iniziative che prendiamo
adesso.
Dobbiamo,
dunque, considerare il karma non già una forza passiva e statica, bensì
una forza attiva. Bisogna capire che il singolo agente svolge un ruolo
importante nel determinare il corso del processo karmico. Chi crede
all’idea di un Creatore, di Dio, può accettare più facilmente le prove
della vita se la considera parte della creazione o del disegno divino.
I
credenti possono pensare che, siccome Dio è onnipotente e molto
misericordioso, anche in una situazione negativa vi sia un qualche
significato, un elemento rilevante di cui loro magari non si rendono
conto. A mio avviso, questa fede può sorreggerli e aiutarli nei periodi
di sofferenza. Forse al non credente può giovare un approccio pratico,
scientifico.
Penso
che quasi tutti gli scienziati ritengano assai importante analizzare i
problemi obiettivamente, studiarli senza troppo coinvolgimento emotivo. È
l’approccio di chi, davanti alle situazioni difficili, dice: “Se c’è un
modo di risolvere la questione la risolveremo, anche se dovessimo adire
alle vie legali!”. Se invece si scopre che non c’è soluzione al
problema, si può semplicemente lasciarlo perdere.
L’analisi
obiettiva delle circostanze difficili o problematiche è assai
importante, perché consente di verificare subito se, alla base, vi siano
altri fattori in gioco. Quando per esempio riteniamo di essere stati
trattati ingiustamente dal nostro capo sul luogo di lavoro, è utile
appurare se nel quadro entrino altri elementi.
Forse
egli è irritato per qualcos’altro, come un recente litigio con la
moglie o cose del genere, e nel trattarci male non ha inteso punirci
personalmente, indirizzare le sgarberie proprio verso di noi. Certo,
bisogna lo stesso affrontare il problema, qualunque sia; ma se non altro
con tale approccio si può evitare di aggiungere indebita ansia alla
situazione.
In
genere, se esaminiamo qualsiasi situazione con cura, sincerità e
mancanza di pregiudizi, arriviamo a capire che anche noi siamo, in larga
misura, responsabili del dispiegarsi degli eventi. Insomma, sovente
abbiamo l’innata tendenza a dare la colpa di tutti i nostri mali agli
altri, a fattori esterni. Inoltre siamo inclini a cercare un’unica causa
e ad esentarci poi dalla responsabilità. Ogniqualvolta entrano in gioco
emozioni intense, si riscontra uno squilibrio tra apparenza e realtà.”
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/11/lapproccio-giusto.html
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