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giovedì 18 settembre 2014

La Mente “mente”

 
La parola “io” rappresenta, a seconda di come viene usata, il più grande errore o la verità più profonda. 
 
Nell’uso convenzionale, essa non solo è una delle parole adoperate più spesso nel linguaggio (insieme alle altre a essa collegate: “Me”, “mio”, e “me stesso”), ma anche una delle più fuorvianti.
 
Nell’uso comune “io” rappresenta l’errore essenziale, una errata percezione di chi siete, un senso illusorio di identità. Questo è l’ego.

La buona notizia è: se potete riconoscere l’illusione come tale, essa si dissolve. Il riconoscimento dell’illusione è anche la sua fine.

La sua sopravvivenza è legata al fatto che la confondete con la realtà. Quando vedete quello che non siete, la realtà di chi siete emerge spontaneamente.

Quello a cui vi riferite quando dite “io” non è quello che voi siete.

Spesso quando dite o pensate “io” non siete voi che parlate ma è qualche aspetto di quella costruzione mentale, il “sé egoico”. Una volta risvegliati, invece, userete ancora la parola “io”, ma verrà da uno spazio interiore più profondo.

La maggior parte delle persone sono totalmente identificate con un incessante flusso mentale di pensieri incontrollati, in gran parte ripetitivi e senza senso. Non esiste un “io” separato dai propri processi mentali e dalle emozioni che lo accompagnano. Questo è il senso di essere spiritualmente inconsapevoli...


Alcune persone non dimenticano mai la prima volta che si sono disidentificate dai propri pensieri, sperimentando così uno spostamento di identità dall’essere il contenuto della loro mente, all’essere la consapevolezza che c’è dietro.

La mente egoica è totalmente condizionata dal passato. Il condizionamento è duplice. Consiste di contenuto e di struttura.

Nel caso di un bimbo che piange disperatamente perché gli è stato tolto il suo giocattolo, ciò rappresenta il contenuto.

La causa di questa profonda sofferenza è nascosta nella parola “mio” ed è strutturale. La compulsione inconscia di esaltare la propria identità mediante l’associazione con un oggetto è insita nella struttura stessa della mente egoica.

Una delle strutture mentali più essenziali attraverso cui l’ego si manifesta e l’identificazione. La parola “identificazione” deriva dalla parola latina idem che vuol dire “stesso” e facere che vuol dire “fare”. 
 
Dunque identificarsi con qualcosa significa “farla uguale, farla la stessa”.

La stessa di cosa? “la stessa di me”, come me. Le attribuisco un senso del sé, e per questo essa diventa parte della mia “identità”. Uno dei livelli di identificazione principali è l’identificazione con le cose: il mio giocattolo diventa più tardi la mia macchina, la mia casa, i miei vestiti e così via.

Cerco, senza riuscirci, di trovare me stesso nelle cose ma finisco per perdermi in esse. Quello è il destino dell’ego. Il tipo di cose con cui vi identificate varierà da persona a persona, a seconda dell’età, del sesso, del reddito, della classe sociale, della moda e ambiente culturale e così via.

Queste cose hanno a che fare con il contenuto, mentre la compulsione inconscia all’identificazione è strutturale. È questo uno dei modi principali in cui la mente egoica funziona. Paradossalmente ciò che fa andare avanti la cosiddetta “società dei consumi” è che il tentativo di trovare se stessi attraverso le cose non funziona.

La soddisfazione dell’ego ha vita breve e allora si continua ancora a cercare qualcos’altro, a comprare, a consumare.

Nelle nostre vite ci possono essere cose a cui diamo valore per la loro bellezza o le loro qualità intrinseche. Dobbiamo onorare il mondo delle cose e non disprezzarlo.

Ogni cosa è Essenza, è una forma temporanea che ha origine in quella Vita unica al di là della forma, che è l’origine di tutte le cose, di tutti i corpi, di tutte le forme. In quasi tutte le culture antiche, le persone credevano che ogni cosa, anche quello che chiamiamo un oggetto inanimato, avesse uno spirito che la possedeva, e in un certo senso erano più vicini alla verità di quanto lo siamo noi oggi.

Non possiamo però onorare veramente le cose se le usiamo per un’auto-esaltazione, cioè se cerchiamo di trovare noi stessi attraverso queste. E ciò è proprio quello che fa l’ego. L’identificazione dell’ego con le cose crea l’attaccamento alle cose, l’ossessione con le cose da cui nasce la nostra società dei consumi e la struttura economica nella quale l’unica misura del progresso è sempre il di più.

Gran parte della vita di molte persone si consuma in un’eccessiva preoccupazione per le cose. Ecco perché uno dei mali dei nostri tempi è la proliferazione degli oggetti.

Ogni cosa che l’ego persegue e a cui si attacca sostituisce quell’Essere che non riesce a percepire.
Puoi dare valore alle cose e prendertene cura, ma ogni volta che c’è un attaccamento nei loro confronti, allora sai che è l’ego. E tu non sei mai realmente attaccato alle cose, ma a un pensiero che ha in sé: “Io”, “me”, “mio”. Ogni volta che tu accetti totalmente una perdita, vai al di là dell’ego, e chi sei tu, quell’IO SONO che è coscienza in se stessa emerge.”

L’ego è un agglomerato di forme di pensiero ricorrenti e di schemi condizionati mentali ed emozionali investiti da un senso dell’io, da un senso del sé. L’ego emerge quando il vostro senso dell’Essere, dell’IO SONO che è coscienza senza forma, si mescola con la forma.

La maggior parte delle persone è così completamente identificata con la voce e la testa, con quell’incessante flusso di pensiero involontario e compulsivo e con l’emozione che lo accompagna, che potremmo definirla posseduta dalla propria mente.

Fino a che ne siete completamente inconsapevoli, credete che colui che pensa sia chi siete. Questa è la mente egoica. La chiamiamo egoica, perché vi è un senso del sé, dell’io (l’ego), in ogni pensiero, in ogni memoria, in ogni interpretazione, opinione, punto di vista, reazione, emozione.

E spiritualmente parlando questa è l’inconsapevolezza. Il vostro pensare, il contenuto della vostra mente, è ovviamente condizionato dal passato, dalla maniera in cui siete stati educati, dalla vostra cultura, dalla situazione familiare e così via.

Il nucleo centrale di tutta la vostra attività mentale consiste in pensieri ed emozioni ripetitivi, in schemi reattivi con i quali siete fortemente identificati. Questa entità è l’ego stesso.

Come abbiamo già visto, in molti casi, quando dite “io”, non siete voi ma è l’ego che parla.

E’ costituito da pensiero ed emozione, con un insieme di memorie che identificate come “me e la mai storia”, di ruoli abituali che interpretate senza neppure saperlo, di identificazioni collettive come nazionalità, religione, razza, classe sociale, fede politica.

L’ego differisce solamente nell’aspetto superficiale, nel profondo sono tutti uguali. In che modo sono uguali? Esistono tutti grazie all’identificazione e alla separazione. Se vivete attraverso il sé creato dalla mente – l’ego, che è fatto di pensieri ed emozioni – le basi della vostra identità sono instabili perché pensiero ed emozione sono per loro natura effimeri, passeggeri.

Per questo, ogni ego si sforza continuamente di sopravvivere, cercando di proteggersi e di ingrandirsi. E per confermare il pensiero che ha su di sé ha bisogno del pensiero opposto, che è poi quello “dell’altro”. Il concetto “io” non può sopravvivere senza il concetto “altro”.

A un’estremità della scala di valori di questo schema egoico inconscio c’è l’abitudine compulsiva di cercare manchevolezze e di lamentarsi degli altri. Gesù si riferiva proprio a questo quando diceva: 
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo?
All’altra estremità di quella scala di valori vi sono la violenza fisica fra le persone e gli atti belligeranti fra le nazioni. Nel Vangelo la domanda di Gesù rimane sospesa, ma ovviamente la risposta è: “Perché quando critico o condanno un altro, mi sento superiore”.

Il lamentarsi è una delle strategie favorite dall’ego per acquisire forza. Alcuni ego, che non hanno altro con cui identificarsi, sopravvivono facilmente ed esclusivamente alla lamentela.
Spesso è parte di questo schema l’appiccicare mentalmente etichette negative agli altri, sia mentre li avete davanti, sia quando parlate di loro, o anche pensando a loro.

Il risentimento è l’emozione che si accompagna alla lamentela e al giudizio sugli altri, e che dà ancora più energia all’ego. Essere risentiti significa essere amareggiati, indignati, offesi o feriti.

Vi risentite dell’avidità degli altri, della loro disonestà, dell’assenza di integrità, di ciò che stanno facendo, di ciò che hanno fatto nel passato, di ciò che dicono, di ciò che hanno mancato di fare,  di ciò che avrebbero o non avrebbero dovuto fare. L’ego ama questo.

Invece di essere tolleranti con l’inconsapevolezza degli altri, ne ricavate la loro identità. E chi lo sta facendo? L’inconsapevolezza che è in voi, l’ego. A volte le “mancanze” che percepite negli altri non esistono neppure.

E' una proiezione della mente condizionata dall’abitudine a vederci nemici, una cattiva interpretazione per sentirvi superiori o per essere nel giusto. Altre volte possono esservi effettivamente delle mancanze, ma focalizzandovi solo su queste, le amplificate, escludendo ogni altra cosa.

E in questo modo rafforzate in voi stessi proprio quelle cose dell’altro alle quali state reagendo. Una delle vie più efficaci per andare al di là del vostro ego, ma anche per dissolvere l’ego collettivo umano, è proprio il non reagire all’ego degli altri.

Quando siete in uno stato non reattivo vi rendete conto che non vi è nulla di personale, allora potete riconoscere un comportamento dell’altro come un moto dell’ego, come una espressione della disfunzione collettiva umana. A questo punto non vi è più nessuna compulsione a reagire.

Non reagendo all’ego, spesso potrete permettere all’aspetto sano dell’altro di manifestarsi.
L’altro diventa un nemico quando ne personalizzate l’inconsapevolezza, che poi è l’ego. Non reagire è forza e non debolezza. Un’altra parola per la non reazione è il perdono.

Perdonare è non vedere, o meglio guardare oltre; guardate oltre l’ego a quella parte sana che vi è in ogni essere umano, nell’essenza di lui o di lei. L’ego ama lamentarsi e risentirsi non solo degli altri, ma anche delle situazioni.

L’implicazione è sempre la stessa: questo non dovrebbe succedere; io non voglio essere qui; io non voglio farlo. E il più grande nemico dell’ego è, naturalmente, il momento presente, che è come dire, la vita stessa. Il lamentarsi non deve essere confuso con l’informare l’altro di un errore o di una mancanza così da poterla correggere.

E trattenersi dall’esprimere la lamentela non significa necessariamente tollerare le cattive qualità o i cattivi comportamenti. Non vi è ego nel dire al cameriere che la minestra è fredda e bisogna che la scaldi, e questo se vi attenete ai fatti, che sono neutri.

Come osa servirmi una minestra fredda…” questo è invece lamentarsi, perché vi è un “me” che ama sentirsi offeso personalmente da una minestra fredda, un “me” che gode nel giudicare sbagliato il comportamento dell’altro.

Provate a fare attenzione alla voce nella vostra testa, magari proprio nel momento in cui si lamenta di qualcosa, e se potete riconoscerla per quella che è: la voce dell’ego, niente altro che uno schema mentale condizionato, un pensiero.

Il momento in cui diventate consapevoli dell’ego che è in voi, strettamente parlando non è più l’ego, ma solo un vecchio schema mentale condizionato. L’ego comporta inconsapevolezza. La consapevolezza e l’ego non possono coesistere.

Il vecchio schema mentale o l’abitudine mentale possono ancora sopravvivere, riapparire per un po’, perché vi sono dietro migliaia di anni di inconsapevolezza collettiva umana, ma ogni volta che viene riconosciuta si va indebolendo.

Anche se il risentimento è l’emozione che più frequentemente si accompagna alla lamentela, può anche accompagnarsi a una emozione ancora più forte, come per esempio la rabbia oppure il sentirsi offesi.

Vi sono molte persone che sono dipendenti dalla rabbia e dal sentirsi offesi così come altri lo sono dalla droga.

Reagendo a questo o a quello, confermano e rinforzano il loro senso del sé. Un risentimento che dura da molto tempo viene detto rancore. Portarsi dentro un rancore vuol dire essere sempre contro e questo è il motivo per il quale i rancori costituiscono una parte importante dell’ego di molta gente.

Rancori collettivi possono sopravvivere per secoli nella psiche di una nazione o di una tribù, e alimentare un ciclo senza fine di violenza. Un rancore è una forte emozione negativa legata a un avvenimento che appartiene al passato e che viene mantenuto vivo da un pensare compulsivo, raccontando la storia oppure ripetendola solo nella mente.

Un solo forte rancore è sufficiente a contaminare grandi aree della vostra vita e a mantenervi nella morsa dell’ego. Non cercate di liberarvi dal rancore. Cercare di lasciar andare, di perdonare, non funziona. Il perdono arriva naturalmente quando vi accorgete che non vi è nessun altro proposito che quello di rinforzare un falso senso del sé, di mantenere l’ego al suo posto.

Il vederlo ve ne libera. L’insegnamento di Gesù sul “Perdonare i vostri nemici” è fondamentale per disfare una delle strutture più importanti della mente umana. Lamentarsi, cercare difetti e reagire sono atteggiamenti che rinforzano i confini e il senso di separazione dell’ego, elementi, questi ultimi, dai quali dipende la sua sopravvivenza.

Quando vi lamentate, implicitamente siete voi ad avere ragione e la persona o la situazione per la quale vi risentite ad avere torto. E non vi è nulla che dia forza all’ego più che l’aver ragione. Aver ragione è una identificazione con una posizione mentale, un punto di vista, un’opinione, un giudizio, una storia.

Per aver ragione, avete bisogno di qualcuno che abbia torto, e così l’ego ama dar torto per aver ragione. Aver ragione vi pone in una posizione di superiorità morale immaginaria in relazione alla persona o alla situazione giudicata e trovata non all’altezza.

Se affermate semplicemente ciò che sapete essere vero, l’ego non è coinvolto, perché non vi è alcuna identificazione con la mente e con le posizioni mentali. Una tale identificazione può però infiltrarsi facilmente. Se infatti dite: “Credimi, io lo so” oppure “Perché non mi credi mai?” in questo caso l’ego si è già infiltrato.

Si sta nascondendo nella parolina “io”. Una semplice dichiarazione come quella che la luce è più veloce del suono, malgrado sia vera, ora è entrata al servizio dell’illusione, dell’ego. È stata contaminata da un falso senso dell’io; è divenuta personale, è diventata una posizione mentale.

L’io si sente diminuito o offeso solo perché qualcuno non crede in ciò che “io” ho detto. L’ego prende tutto personalmente. State forse difendendo la verità? No, perché in nessun caso la verità ha bisogno di difesa. Alla luce o al suono non importa ciò che voi credete o chiunque altro crede.

Voi state difendendo voi stessi, o meglio l’illusione di voi stessi, un sostituto fatto dalla mente.
Ogni ego confonde le opinioni e i punti di vista con i fatti. E ancora di più, non vede la differenza fra un evento e la sua reazione a quell’evento. Ogni ego è maestro nella percezione selettiva e nell’interpretazione distorta.

Solamente attraverso la consapevolezza potete vedere o l’intera situazione o la totalità della persona, invece di aderire a una prospettiva limitata. Al di là del mondo dei fatti semplici e verificabili, la certezza di aver ragione, e che gli altri abbiano torto, è una cosa pericolosa tanto nelle relazioni personali, quanto nella interazione fra nazioni, tribù, religioni, e così via.

La storia del Cristianesimo è evidentemente uno dei più grandi esempi di come il credere di essere gli unici possessori della verità, di essere nel giusto, possa distorcere il vostro comportamento e la vostra azione fino alla follia.

Per secoli, torturare e bruciare viva la gente quando la sua opinione divergeva anche poco dalla dottrina della Chiesa o da una interpretazione limitata delle Scritture, quindi la Verità, fu considerato giusto in quanto le vittime “avevano torto”. Erano così in torto che era necessario ucciderle.

La verità era considerata più importante della vita umana. E quale era la verità? Una storia alla quale bisognava credere, il che vuol dire un insieme di pensieri. Non potete trovare la verità assoluta se la cercate lì dove non può essere trovata: nelle dottrine, nelle ideologie, nell’insieme di regole o nelle storie.

E tutte queste cose hanno in comune il fatto di essere costituite dal pensiero. Un pensiero può, nella migliore delle ipotesi, indicare la verità, ma non è mai la verità. Le religioni sono tutte ugualmente vere e ugualmente false, dipende da come sono usate. Potete usarle al servizio dell’ego o al servizio della verità.

Se credete che la vostra religione sia l’unica verità, allora la state utilizzando al servizio dell’ego. In questo modo, la religione diventa una ideologia e crea un illusorio senso di superiorità, e così divisione e conflitti fra la gente.

Vi è solamente una Verità assoluta e ogni altra verità è l’emanazione di quella.

La Verità non può essere separata da chi siete. Si, voi siete Verità. Se la cercate da qualche altra parte, sarete costantemente ingannati. L’essenza di chi siete veramente è Verità. Gesù ha cercato di comunicarlo: “Io sono la Via, la Verità e la Vita".

Queste parole pronunciate da Gesù sono le più potenti fra quelle che ci indicano la Verità, se sono comprese correttamente, ma se sono fraintese, divengono un grande ostacolo. Gesù parla dell’importanza dell’IO SONO, dell’essenza dell’identità di ogni donna e di ogni uomo, in realtà di ogni forma di vita. Egli parla della vita che siete.

Quando siete in contatto con quella dimensione dentro di voi, e questo non è un risultato miracoloso ma il vostro stato naturale, tutte le vostre azioni e le vostre relazioni rifletteranno quella unità con la vita stessa che sentite profondamente dentro di voi.
 
Questo è l’amore.
 
Francesco Oliviero
 
 
 

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