Catalogna e Scozia potrebbero essere la miccia per altre secessioni: ora anche in Galles si comincia a considerare seriamente la possibilità di separarsi da Londra, per non parlare di cosa potrebbe succedere dalle parti di Bilbao o Belfast, dove la lotta per l'indipendenza ha assunto anche forme violente in passato. Un vero terremoto insomma, non solo a livello politico ma anche economico.
C’è un filo sottile che lega Edimburgo e
Barcellona, due città che rappresentano due piccole patrie con storie,
tradizioni e costumi diversi, ma unite da un comune destino. Per le
strade di Barcellona lo scorso 11 settembre hanno sfilato più di un
milione di persone festanti, una catena umana giallorossa, come i colori
della bandiera catalana, che al grido di “Scozia, Scozia”, ha bloccato
la città. Forse mai come adesso catalani e scozzesi si sentono vicini
gli uni agli altri.
La Diada di Barcellona lo ha dimostrato. Anche qui, a
novembre, si terrà un referendum per l’indipendenza, e, anche se da
Madrid fanno già sapere che non lo riconoscerrano, poco importa ai
catalani. Il caso scozzese potrebbe infatti costituire un interessante
precedente a livello internazionale: se il 18 settembre gli scozzesi
voteranno Sì, sarà una festa anche nella città di Gaudì. Da che doveva
essere una consultazione elettorale simbolica, quasi folcroristica, il
referendum in Scozia rischia di cambiare i connotati dell’Europa. Un
rischio che ha iniziato ad allarmare anche i grigi tecnocrati di
Bruxelles, che pian piano vedono vacillare il loro progetto di una super
nazione scevra di tradizioni e differenze, in favore delle piccole
patrie, così invise ai cosmopoliti.
Catalogna e Scozia potrebbero essere la
miccia per altre secessioni: ora anche in Galles si comincia a
considerare seriamente la possibilità di separarsi da Londra, per non
parlare di cosa potrebbe succedere dalle parti di Bilbao o Belfast, dove
la lotta per l’indipendenza ha assunto anche forme violente in passato.
Un vero terremoto insomma, non solo a livello politico ma anche
economico. Le regioni secessioniste sono, non a caso, le più ricche dei
rispettivi paesi. E se la Scozia, nonostante le sue ricchissime riserve
petrolifere, contribuisce solo per il 10% al PIL del Regno Unito, la
Catalogna da sola rappresenta il 20% di quello spagnolo e il 25% delle
sue totali esportazioni. Indipendenza vorrebbe dire grandi difficoltà
per i governi centrali e, forse, potrebbe addirittura aggravare la già
dura crisi economica che a Madrid ancora non sono riusciti a superare,
nonostante le promesse e i diktat della Troika.
I maligni sostengono
che, questo boom di indipendentismo, sia soprattuto imputabile alla
crisi politico-economica che nell’ultimo quinqennio ha sconvolto
l’Europa, altrimenti come si spiegherebbero i sondaggi che adesso
vedono, in quel di Barcellona, più del 50% di favorevoli alla secessione
da Madrid, mentre agli inizi del 2000 erano solo un misero 10-15%?
Senza dubbio le difficoltà economiche e la conseguente disaffezione nei
confronti delle istituzioni, non solo nazionali ma anche comunitarie, ha
accelerato il processo, ma sarebbe sbagliato e fuorviante ridurre la
questione a calcoli meramente utilitaristici. Dietro c’è molto di più:
forse non sarà semplice per i vari Rajoy e Cameron capirlo, ma non
sempre il vantaggio economico è il punto nodale.
La Scozia ha una tradizione
indipendentista antichissima che parte dal medioevo, non certo, quindi,
una nuova scoperta per gli scozzesi, come dimostrato dallo struggente
inno nazionale non ufficiale, “Flower of Scotland”, che, nel suo
bellissimo testo, racchiude tutto l’orgoglio e la tristezza verso una
libertà tanto desiderata quanto sofferta. Stessa cosa vale per i
catalani che per mantenere intatte le loro tradizioni, tra le quali una
lingua per altro utilizzatissima anche dai giovani, hanno subito le più
disparate umiliazioni durante gli anni del franchismo.
Insomma, entro
Natale di quest’anno la cartina geografica dell’Europa potrebbe non
essere più come la conosciamo, ma chissà? Potrebbe essere forse
migliore, magari modellata sul desiderio vero dei popoli. Anche se i sì
non dovessero farcela, la situazione non resterebbe immutata: i
referendum scozzese e catalano dimostrerebbero comunque, che gli europei
preferiscono la tradizione delle piccole patrie, al cosmopolitismo
conformista che ha trascinato in un tunnel senza luce quasi un intero
continente.
Alessio Caschera
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