Nel dizionario enciclopedico di Fisica Quantistica è tutto spiegato nei dettagli: ogni esperimento, ogni fenomeno, ogni personaggio rilevante nella storia della Fisica viene raccontato con parole semplici e chiare.
Perché il cielo è azzurro?
Il cielo è azzurro perché la luce proveniente dal Sole è diffusa dall’impatto con le molecole d’aria.
La luce
Con il termine “luce” ci si riferisce normalmente alla gamma di radiazione elettromagnetica, percepibile dall’occhio umano, con una lunghezza d’onda variabile dai 380 ai 750 nanometri.
Si
tratta, in realtà, di una parte dello spettro elettromagnetico,
delimitata dalla radiazione ultravioletta e da quella infrarossa.
Corrisponde, in
termini di colori, alla gamma dell’arcobaleno, dal rosso (onde più
lunghe) al violetto (onde più corte), passando progressivamente
attraverso l’arancio, il giallo, il verde, il blu e l’indaco.
L’occhio umano si è evoluto e adattato in modo da essere sensibile alla luce
perché la luce è presente: la radiazione di questa parte dello spettro è
prodotta in abbondanza dal Sole e non è assorbita dall’atmosfera
terrestre, cosicché raggiunge il suolo.
Perché albe e tramonti sono rossi?
La luce, a lunghezze d’onda superiori (ovvero nella posizione rossa dello spettro), interagisce molto meno con l’atmosfera terrestre rispetto a quanto accade con le lunghezze d’onda inferiori (porzione blu dello spettro).
Ecco perché albe e tramonti sono rossi, sulla base del residuo di luce proveniente più o meno direttamente dal Sole, mentre il cielo nel complesso è di colore azzurro-blu, sulla base della luce che interagisce con l’atmosfera.
Ci sono particelle disperse nell’aria?
Sebbene John Tyndall, fisico irlandese noto per le sue doti di divulgatore scientifico, avesse compreso già nel 1860 che il colore del cielo era dovuto alla diffusione della luce,
egli aveva ipotizzato che tale fenomeno fosse dovuto a piccole
particelle di polvere o a goccioline disperse nell’aria (mentre in
realtà ciò provoca la colorazione intensamente rossa del cielo all’alba e
al tramonto).
In seguito, gli fu suggerito che probabilmente erano proprio le molecole d’aria a operare buona parte della diffusione responsabile della colorazione del cielo, ma fu solo nel 1910 che Albert Einstein lo dimostrò inequivocabilmente, servendosi del modo in cui la luce è diffusa dall’atmosfera, per giungere a una stima delle dimensioni delle molecole e del valore del numero di Avogadro.
Estratto dal “Dizionario enciclopedico di fisica quantistica” di John Gribbin
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