“Non avere paura delle tue debolezze
e dei tuoi cattivi pensieri.
Ci sono per temprare la tua volontà
e il tuo desiderio di vincere.”
(Dugpa Rimpoche)
“Il
primo giorno di un ritiro di meditazione di quattro giorni, uno
studente andò dal maestro zen con il quale aveva studiato per molti
anni. Sedendosi ai piedi del maestro chiese:«Puoi dirmi come vado nella
pratica?» Il maestro ci pensò un momento e poi disse:«Apri la bocca.» Lo
studente aprì la bocca, il maestro ne scrutò attentamente l’interno e
disse:«Va bene, ora china la testa.» Lo studente abbassò la testa e il
maestro esaminò i capelli e poi disse:«Vai bene.» Quindi suonò la
campana.
Poiché
il maestro aveva suonato la campana, lo studente dovette andar via. Il
giorno dopo tornò, piuttosto perplesso per quanto era accaduto il giorno
prima. «Ieri vi ho chiesto come procede la mia pratica e mi hai fatto
aprire la bocca, chinare la testa e spalancare gli occhi. Cosa ha a che
fare tutto ciò con la pratica?» Il maestro zen piegò la testa per
riflettere, quindi disse:«Sai, ora che ci penso non vai molto bene, anzi
per la verità non sono sicuro che ci riuscirai mai.» E di nuovo suonò
la campana.
Lo
studente uscì. Potete immaginare quanto fosse confuso e irritato. Il
giorno seguente, ancora indignato, tornò dal maestro e disse:«Cosa
intendi dicendo che non ce la farò mai? Lo sai che siedo in meditazione
per un’ora ogni giorno? A volte pratico due volte nella stessa giornata.
Partecipo a tutti i ritiri. Ho esperienze davvero profonde. Perché dici
che non ce la farò?» Ancora una volta il maestro se ne restò seduto a
pensare, quindi disse:«Be’, forse mi sono sbagliato. Forse, dopo tutto,
stai andando piuttosto bene.» E di nuovo suonò la campana.
C’era
ancora un altro giorno di ritiro. Lo studente tornò dal maestro
completamente distrutto. Si sentiva sconvolto e confuso, ma non si
opponeva più a quello che provava. Disse al maestro:«Volevo solo sapere
come andava la mia pratica.» Questa volta il maestro lo guardò e, senza
esitazione, con voce gentile disse:«Se davvero vuoi sapere come va a tua
pratica, osserva tutte le reazioni che hai avuto in questi pochi
giorni. Osserva la tua vita.»
Se
vogliamo sapere come va la pratica dobbiamo osservare la nostra vita.
Se non cominciamo a collegarla con il resto della nostra vita, la
pratica, per quanto salda, calma o piacevole possa essere, in definitiva
non sarà soddisfacente…Comprendere la connessione tra la pratica e il
resto della vita significa affrontare molte cose diverse. Ad esempio,
come praticate con le persone che vi sono vicine, con il coniuge, i
figli, i genitori, i colleghi di lavoro?
Quanti
rancori serbate ancora? Ci sono persone che scatenano ancora nella
vostra vita, la rabbia, il disprezzo o giudizi di cui siete fermamente
convinti? In che misura potete dire “Mi dispiace” e pensarlo davvero?
Come praticate sul lavoro? Fino a che punto ritenete di dover soddisfare
le esigenze della vostra professione? Quando si presenta un problema,
potete accettare di praticare con esso anche se odiate quello che
accade?
E
quando venite criticati, siete disposti a lavorare con le vostre
reazioni, via via che si manifestano, invece di giustificarle? State
prendendo coscienza delle convinzioni in cui credete più fermamente, e
di come esse assumano il controllo di ogni cosa attraverso le vostre
strategie comportamentali? Quel senso di dramma o di emergenza che
circonda i vostri conflitti emotivi, si è alleggerito un po’? Siete un
po’ più disposti ad aprirvi al vostro dolore di fondo, ad alleggerire
corazza e protezioni? Provate un senso di apprezzamento, soddisfazione,
divertimento o di quieta gioia, almeno di tanto in tanto?
Le
risposte a simili domande ci danno la misura della nostra pratica. Tale
misura non ha nulla di magico, né di misterioso. È semplicemente la
crescente capacità di sapere cos’è la nostra vita, e la crescente
comprensione del fatto che praticare con la vita significa praticare con
tutto quello che incontriamo… Invece di chiedere:«Come vado?» le vere
domande sono:«Dove continuo a chiudermi, per paura o per proteggermi?» e
«Dove arrivo al mio limite, quel punto oltre il quale non sono disposto
ad andare?»
La
pratica è notare e fare esperienza di questi luoghi, non con
avvilimento o senso di colpa, ma semplicemente come qualcosa su cui
lavorare, e poi vedere come fare qualche piccolo passo oltre… Per
praticare con le decisioni difficili, dobbiamo lasciare il mondo della
mente per entrare nel cuore dell’esperienza. Ciò significa stare
nell’esperienza fisica dell’ansia e della confusione, invece che
vagabondare nei pensieri.
Quali
sensazioni dà l’essere confusi? Come si percepisce questa esperienza?
Rimanere con la realtà corporea del momento presente ci dà la
possibilità di vedere la nostra vita con una chiarezza che non potremmo
mai realizzare con il solo pensiero. Quanto ci vorrà? Nessuno può dirlo.
Ma praticare in questo modo è un buon esempio di cosa significhi
arrivare al limite e lavorare direttamente sui luoghi in cui siamo
bloccati. La pratica implica sempre vedere il nostro limite e fare un
piccolo passo oltre, entrare nell’ignoto.
(Ezra Bayda, Star bene in acque torbide, Ubaldini ed.)
fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/11/la-misura-della-pratica.html
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