La demografia è
una scienza trascurata e non di rado negletta perché incomoda. Sa dire
sul futuro la sua parte di verità, ma è messa da parte per ragioni
ideologiche, calcoli indicibili, probabilmente per scelte criminali di
lungo termine che devono restare celate ai popoli. Una scienza, quella
demografica, fortemente interdisciplinare e di grande capacità
predittiva, a cavaliere tra l’antropologia, la sociologia, la biologia e
la statistica matematica, poco popolare, tranne forse in circoli di
esperti di geopolitica ed in pensatoi riservati, eppure indispensabile
per capire quale futuro attende il nostro mondo ed il modello di società
in cui viviamo. Nel presente intervento non intendiamo esprimere
valutazioni o pareri personali, bensì esporre le convinzioni di alcune
personalità intellettuali di primo piano.
Iniziamo ricordando uno sfogo di
Giuliano Amato, risalente alla triste stagione del suo governo, allorché
sbottò nei confronti degli italiani contrari all’immigrazione,
ricordando loro che non si poteva dire no all’entrata di stranieri e
contemporaneamente non avere figli. Discorso complesso, ma che aveva
almeno il pregio di richiamare, da parte di un responsabile politico,
all’elementare necessità della riproduzione sociale anche attraverso la
catena generazionale.
Amato, e l’intera classe dirigente nazionale ed
occidentale di cui egli è membro da almeno quarant’anni, peraltro non
solo non hanno fatto nulla per evitare la denatalità e ribaltare
l’inverno demografico, anzi hanno costruito un sistema – politico,
civile, culturale – assolutamente sfavorevole alla ripresa della
natalità.
Nello stesso periodo – i flussi
migratori erano già iniziati, ma erano imparagonabili per ampiezza alla
situazione presente – si scomodò Sua Altezza Eugenio Scalfari, in una
delle sue torrenziali omelie settimanali sul quotidiano da lui fondato.
Forse non del tutto dimentico dei suoi esordi su fogli di guerra in
difesa della razza (ohibò!) giudicò la nazione italiana autoctona degna
di sussistere e di attraversare altri secoli di storia. Bontà sua.
Più
recentemente, Ettore Gotti Tedeschi, altissimo esponente della finanza
cattolica, apprezzato saggista, legato al Vaticano, amico personale e
confidente del Papa emerito Benedetto XVI, ha scritto quanto segue:
“l’immigrazione è un mezzo pianificato e giustificato (un fine
dichiarato dal segretario dell’ONU) dalla crisi economica. La crisi non è
causa, ma effetto dell’ignoranza delle leggi naturali della demografia.
La causa di questa ignoranza è il pensiero neomalthusiano ambientalista
che considera l’uomo cancro della natura. “
Tutto assolutamente vero, tranne per un
punto, ovvero la responsabilità degli ecologisti, che è largamente
inferiore a quella degli ambienti economici e finanziari di vertice,
come rileva un intellettuale senza paraocchi come Marco Della Luna. Di
lui, economista monetario, ma anche sociologo e psicologo autore di
numerosi libri di grande importanza, citiamo un brano di Oltre l’agonia,
un testo che, in una situazione culturale e politica normale sarebbe
conteso dalle grandi case editrici, contenente un’intuizione notevole.
“Per la prima volta nella storia recente, si prevede che le condizioni
di vita delle nuove generazioni saranno peggiori di quelle delle
precedenti.
Ciò mi suggerisce che la corrente replacement immigration,
ossia immigrazione sostitutiva (di noi), finanziata coi soldi delle
nostre tasse, voluta e progettata dalle élite cosmopolite (come era ben
evidente nella campagna per delegittimare Donald Trump abbia lo scopo di
sostituire le popolazioni bianche, divenute pessimiste e poco
prolifiche, quindi poco adatte a sostenere l’ordine del capitalismo
finanziario, con popolazioni che, partendo da una condizione attuale
pessima, hanno al contrario forti e realizzabili aspettative di
miglioramento per il futuro, quindi fanno molti figli e domani molti
investimenti, a sostegno del sistema”.
Sia Gotti Tedeschi sia Della Luna, poi,
ricordano che la scarsa propensione a mettere al mondo figli fu
fortemente diffusa ed incoraggiata negli anni 60 e 70 del secolo
trascorso dalle medesime élite con argomenti relativi alla produttività e
all’incremento della ricchezza che si sarebbe arrestato se gli europei
avessero continuato ad essere genitori prolifici. Su quelle posizioni si
distinse Henry Kissinger, uomo di vertice dell’establishment americano ed occidentale.
Pochissimi giorni fa abbiamo letto con attenzione e stupore, per le tesi che vi sono sviluppate e per l’importanza del medium
coinvolto, il prestigioso quotidiano madrileno di area liberale El
Mundo, una lunga intervista al professor Alejandro Macarròn,
cattedratico di ingegneria delle telecomunicazioni, direttore della
fondazione Rinascimento demografico. Il suo libro più noto, Suicidio
demografico in Occidente sarà presto disponibile in lingua inglese;
dubitiamo invece raggiunga gli scaffali delle librerie italiane.
Per l’ampiezza delle conoscenze,
capacità di sintesi, profondità di analisi e per la trattazione davvero
organica dei fenomeni collegati all’inverno demografico dell’Occidente,
ne tracciamo un ampio riassunto, con l’avvertenza che Macarròn ha
studiato ed elaborato innanzitutto i dati concernenti la sua patria, la
Spagna, il cui andamento demografico ed il cui rapporto con
l’immigrazione extraeuropea sono assai simili a quelli italiani,
specialmente per la non casuale circostanza che l’ondata migratoria si è
abbattuta in entrambi i paesi durante – e nonostante – il persistente
ciclo economico negativo ed in presenza di una disoccupazione autoctona
molto pesante.
Macarròn inizia citando uno dei massimi
economisti spagnoli contemporanei, Juan Velarde, con il suo avvertimento
“andando avanti così, la Spagna sparisce, ma sparisce per davvero”. Il
problema della natalità non è urgente come una crisi economica.
Ciononostante, è un fatto inesorabile che se proseguirà una natalità
tanto bassa, Spagna (ed Italia) spariranno. C’è ancora tempo, i giochi
non sono fatti del tutto, ma è pura matematica. Non è cosa opinabile, se
non si inverte la rotta si va verso l’estinzione, che tarderà ancora un
paio di generazioni, ma intanto dovremo vivere in una società
scompensata, senza bambini. Impressiona il poco caso che si fa ad un
argomento tanto decisivo per il futuro.
Assistiamo ad una vera e propria ondata
di invecchiamento generalizzato. I dati sono desolanti, l’età con
popolazione più numerosa è in Spagna quella di chi, nato nel 1970, ha 47
anni. E’ interessante notare che la natalità italiana comincia a calare
un po’ prima, nel 1964, che resta l’anno più prolifico; questo si
spiega con l’impatto dei nuovi paradigmi culturali dominanti, che hanno
raggiunto noi con qualche anticipo sui cugini iberici. In Francia,
Germania ed Inghilterra, la curva della natalità comincia ad inclinare
al basso alla fine degli anni 50 per identici motivi, ma le statistiche
successive risentono delle enormi ondate migratorie in quelle nazioni,
e, per la Francia, si è verificata una inversione importante a seguito
di forti interventi sociali e fiscali pubblici.
L’inverno demografico è divenuto
drammatico nell’Europa dell’Est a seguito dell’abortismo diffuso negli
ultimi dieci – vent’anni del comunismo e poi per la povertà susseguente
all’impianto violento del capitalismo dopo il 1989. Solo la Russia di
Putin, consapevole della natura vitale e storica del tema, sta
faticosamente risalendo la china, tanto che la popolazione russa è in
lenta, ma confortante risalita da alcuni anni. In Spagna, osserva
Macarròn, nascono meno bimbi che nel Settecento, anche al netto della
diminuzione della mortalità infantile.
Ogni anno, se i ritmi sono quelli
attuali, nascerà il 2% in meno di spagnoli. Alcune province spagnole
hanno superato Genova e Trieste nel desolante primato dell’eccedenza
delle morti sulle nascite: a Zamora, nel 2016, per ogni nato ci sono
stati tre decessi, due in Galizia. La verità è che alcuni popoli europei
si stanno riducendo di numero ogni anno, a depurare le statistiche
dagli stranieri in entrata e dai loro figli.
Anche l’opinione comune secondo la quale
lo spopolamento è un problema di mancanza di opportunità viene smontata
con argomenti matematici: non ci sono bambini sufficienti per mantenere
costante la popolazione neppure nelle città, non solo nelle aree rurali
o in quelle più sfavorite. In più, avanza una componente di psicologia
sociale: “Se vivi in una località dove ci sono quasi solo vecchi, vuoi
andartene. A tutte le età, ci piace la gioventù.
Se ti circondi solo di
anziani, vedi la morte, la decrepitezza.” Demoralizzante, ma
assolutamente vero. Inoltre, nelle zone che si spopolano, la qualità
della vita diminuisce. Il dilemma morale che rilancia il professore
spagnolo è angosciante soprattutto in quanto inconfessato, non ammesso,
anzi rimosso dal dibattito pubblico: “Ce ne prendiamo cura (degli
anziani) ed in quel caso ci roviniamo economicamente, o li abbandoniamo?
Tanto i bambini che gli anziani costano denaro. Però i bimbi sono un
investimento che produrrà futuro ed agli anziani diamo una qualità della
vita. Tuttavia, la ricchezza che utilizziamo per loro, si consuma e non
produce nel futuro”. Ogni giorno sperimentiamo quali risposte dà, anzi
nega, la società di mercato che ci è toccata in sorte. La gioventù è
essenziale: lo è nella sfida demografica, ma anche per intraprendere ed
innovare. Il giovane osa per natura, mette in forse i tabù, le verità
precostituite, ha minori rigidità. Da giovane, puoi sbagliare e
recuperare il tempo perduto, perché c’è un domani.
Un argomento tipico di chi nega
l’importanza della crisi demografica è che il mondo è sin troppo
popolato e pieno di giovani. Argomento davvero facilone, ribatte
Mazarròn, che lamenta come nella sua regione natale, le Asturie che
furono culla della nazione spagnola da cui partì, con il re Pelayo, la
Reconquista del territorio contro gli invasori arabi, oggi nasca un
terzo dei bambini rispetto a mezzo secolo fa. Anzi, la terra celtica
delle cornamuse iberiche e delle miniere, sarà la prima regione d’Europa
a scomparire per assenza di popolazione. Non mi consola, afferma, che
in Nigeria cresca molto la popolazione.
Storicamente, del resto, il numero era
decisivo per lo sviluppo di un popolo. Poi, la tecnologia ha cambiato le
cose, la produttività non è più questione di braccia utilizzate o di
fanteria in marcia, ma di scienza e tecnica. Per questo l’Occidente
domina il mondo. Siamo però ad un tornante ineludibile: il Terzo Mondo
sta emergendo, la produttività media si avvicina alla nostra, pertanto
il numero della popolazione torna ad essere decisivo. La prognosi è
brutale “quando la Cina uguaglierà in produttività gli Usa, avrà quattro
o cinque volte il suo PIL e noi europei tenderemo all’irrilevanza”.
C’è
di più, poiché la storia degli uomini è una vicenda di volontà di
potenza, e Macarròn non si nasconde dietro il fumo politicamente
corretto. “Se i nuovi leader mondiali saranno democratici, nessun
problema. Però in Cina c’è stata una eliminazione massiccia di neonate
solo per essere femmine. Pensiamo poi al mondo mussulmano, dove c’è una
maggioranza pacifica ma una minoranza aggressiva. Se fanno una
transizione verso la non aggressività, bene. Ma se non succede… “
Il punto dolente è l’individualismo
assoluto dell’Occidente, che rende inattuabile un concetto che era
vissuto come naturale sino a mezzo secolo fa, riassunto dal demografo in
una frase che sconcerta il senso comune dei più: “Dobbiamo pensare che
avere figli è un dovere verso la comunità e l’umanità. Non importa se
alcuni non ne hanno, ma la maggioranza deve averli”. In Spagna, un’ idea
simile fu esposta da un sacerdote controverso ma importante, il
fondatore dell’Opus Dei, José Marìa Escrivà de Balaguer, canonizzato da
Papa Wojtyla.
In Occidente, ci stiamo abituando
all’idea che l’immigrazione sostenga la demografia in tempi di
abbondanza; nella storia ci sono state migrazioni virtuose che hanno
aiutato a costruire grandi civiltà, ma ce ne sono state altre, come
quelle dei popoli che chiamiamo barbari, che furono invasioni, portarono
guerre, desolazione, crollo civile, morale, economico, demografico.
Oggi facciamo i conti con l’estremismo islamico e, più ampiamente, con
una parte di immigrati, anche di seconda o terza generazione, che odia
il paese e la cultura dove si è installata.
I dati rivelati da Macarròn per il suo
paese, non diversi peraltro, nella sostanza, da quelli che emergono
dalle statistiche italiane, dimostrano che in Catalogna, quasi il venti
per cento delle nascite è di figli di magrebini. Una scelta precisa,
quella di privilegiare l’immigrazione nordafricana, da parte delle
classi dirigenti di Barcellona, che rende ridicolo, in prospettiva, il
loro ossessivo micro nazionalismo antispagnolo. La Catalogna di domani
probabilmente non sarà più spagnola, ma tanto meno sarà catalana. Ed è
incredibile che proprio i nazionalisti non si preoccupino della loro
discendenza!
Un altro tema collegato è quello dello
Stato sociale, che non fa nulla per la famiglia, ma spesso concede
diritti agli stranieri in cambio di nulla. Nonostante una crisi
devastante, solo pochi immigrati sono tornati in patria, qui come in
Spagna. Diciamolo senza paura, facendo nostra un’osservazione del
professor Macarròn. L’immigrato tradizionale aveva un piano A: lavorare.
Adesso c’è anche un piano B, farsi mantenere dai sussidi pubblici e
dalle reti sociali, a partire da quelle della Chiesa.
Per quanto alcune
convinzioni siano circondate dallo sdegno ufficiale, la verità è che
l’immigrazione, se non se ne regolano i flussi ed i numeri, costituisce
un gradito (dal sistema) eccesso di manodopera che compete con quella
locale, abbatte i salari, specialmente quella dei ceti medio bassi,
proprio coloro che vengono poi accusati di fascismo, razzismo e
populismo perché non ci stanno. Un altro effetto è l’entrata illegale di
“migranti”, che, una volta diventati troppo numerosi per essere poter
essere espulsi, vengono regolarizzati. In Europa, le regolarizzazioni
sono state 200 (duecento !!) in vent’anni.
Anche noi riteniamo errato contrastare
quei segmenti di immigrazione che vanno a rimpiazzare posti di lavoro
vacanti, ma il modello vigente non è affatto questo, tanto più in uno
scenario in cui migliaia e migliaia di connazionali emigrano per motivi
economici. Poi, naturalmente, lorsignori ed il clero mediatico ed
intellettuale di servizio urlano “al lupo!“ contro il populismo.
Un’ ulteriore spunto di riflessione che ci viene dall’intervista al Mundo
riguarda la circostanza che tra i governanti occidentali, l’unico ad
avere una famiglia numerosa è proprio l’odiatissimo Trump: cinque figli
da tre donne diverse, ma quello è un altro tema. Ben dieci paesi europei
hanno primi ministri o presidenti senza figli, a cominciare dal nostro
Gentiloni, proseguendo con la britannica May, la tedesca Merkel, che
pure in patria chiamano Mutti, mammina, e naturalmente il giovin signore
della finanza Macron, la cui moglie ha un quarto di secolo più di lui.
Macarròn osserva, non senza far correre qualche brivido lungo la
schiena, che negli anni Trenta, gli unici due capi di governo senza
prole erano il suo connazionale Azana, che ebbe gravi responsabilità nel
clima che condusse alla tragedia della guerra civile del 1936/1939, e
Adolf Hitler. Sin troppo ovvio, che, con responsabili politici ostili e
personalmente estranei al problema, la famiglia resti esclusa dallo
spazio pubblico, dove incede trionfante la sua scimmia, ovvero la
beatificazione dell’esperienza e dell’unione omosessuale,
programmaticamente sterile.
La storia recente è quella della
passività, nel migliore di casi, oppure della negazione pura e semplice
di un problema demografico di riproduzione della comunità, e, dai
pulpiti più elevati, addirittura l’accordo e la propaganda di tale
modello. C’erano economisti che dicevano che l’aumento della popolazione
avrebbe significato un minore reddito pro capite. Il futuro di popoli
interi, dunque, è stato lasciato nelle mani di personaggi la cui unica
competenza – non di rado sopravvalutata e comunque non comprovata dai
fatti – era di ambito matematico-economico.
Popoli e nazioni sono ora
demograficamente in ginocchio per responsabilità loro e dei loro
mandanti, tra i quali, lo ripetiamo, spiccano le idee di Henry
Kissinger. Sotto quel profilo, ha ragione Gotti Tedeschi ha chiamare in
causa i ricorrenti rigurgiti malthusiani tra le élite riservate,
diventati disgraziatamente sostrato culturale di massa. Ricordiamo che
Thomas Robert Malthus, pastore protestante inglese ed economista
cosiddetto “classico” teorizzò che ad ogni aumento di popolazione
sarebbe cresciuta irrimediabilmente la povertà.
Altro grande responsabile è il “pensiero
unico”, il quale rimuove i problemi scomodi e quelli a cui non è in
grado di fornire una risposta immediata. Riportiamo il pensiero del
professor Macarròn: “Alle persone piace vivere su una base di certezze
(la mia casa, il mio lavoro, la mia famiglia).
Quando qualcuno mette in
dubbio lo status quo dicendo che la società ha un problema in
quanto non nascono bambini, crea fastidio. L’Occidente è molto
orgoglioso per ciò che ha conseguito negli ultimi duecento anni. Eppure,
quando si mettono in questione determinate verità, la gente ti salta al
collo; non è lo Stato che ti censura, è un altro tipo di censura “. Si
tratta della dittatura del politicamente corretto, che dilaga
specialmente sulle reti sociali.
Democrazia, tuttavia, significa
confronto, contrasto, critica. Winston Churchill sosteneva che la
critica è un regalo, ed è paragonabile al dolore nel corpo umano, che
avverte dei problemi. Il tema demografico è dei più sensibili, di quelli
che “chi tocca i fili muore”. Non si accetta il dialogo, neppure si
riconosce l’esistenza di distinti ceppi etnici e razziali, poiché questo
contraddice il dogma di un’uguaglianza insostenibile, che è
indistinzione, l’esatto contrario, oltretutto, dello spirito di
conoscenza e di ricerca della verità che è stato un faro della civiltà
europea.
El Mundo ha infine chiesto
all’intervistato di fare proposte concrete. Non si deve nascondere che
se anamnesi, diagnosi e prognosi sono chiare, la terapia è molto meno
definita. Il primo passo, al quale contribuiscono in modo determinante
studiosi come Mazarròn, è la presa di coscienza del fatto e la sua
assunzione come problema. Siamo lontani dalle soluzioni, ma non ci
troviamo più all’anno zero.
Dobbiamo guardare la realtà senza false
illusioni: la modernità (e la modernizzazione) ha portato meno natalità.
La prima cosa è prenderne coscienza. La seconda è ridare valore al
prestigio dell’essere genitori, mostrare il bello che rappresentano i
nostri piccoli, i cuccioli di uomo. Ci incantano sempre, è qualcosa di
istintivo, iscritto nella natura, come sorridere loro appena li vediamo.
Poi occorre trasmettere senza paura il messaggio duro del fatto che il
paese ha bisogno di figli, come è stato fatto in Francia pochi anni fa.
Quindi, attivare misure economiche diffuse.
Sul punto Mazarròn dice cose assai serie
ed equilibrate: “Bisogna compensare alle famiglie una parte
significativa di ciò che costa avere figli. Non tutto, però, poiché
allora ci sarebbe gente che avrà figli solo per denaro. Questo è
capitato ed è stato moralmente un disastro. Gli aiuti devono centrarsi
sulla donna, ma non solo. E bisogna stare attenti a favorire soltanto la
donna che lavora fuori casa, come capita adesso. Se vogliamo
incentivare la natalità, è a tutte le donne che dobbiamo rivolgerci, non
solo ad alcune in funzione di ideologie. “. Noi aggiungiamo,
riprendendo la lezione di Claudio Risé, ed in parte persino di un
Massimo Recalcati, ridare senso, ruolo, prestigio al padre, il grande
espulso, lo sconfitto principale del tempo nostro.
Dobbiamo invertire dal punto di vista
culturale e civile i valori dominanti ostili alla natalità in genere ed
alle famiglie numerose in modo particolare. Ci sono persone che
liberamente decidono di avere molti figli: in un continente che ha
bisogno di bambini dovremmo applaudirli, non solo aiutarli. Interessante
e suggestiva è l’ultima domanda dell’intervistatore, che ha ipotizzato
come lo sviluppo dell’intelligenza artificiale possa indurre a lasciare
in secondo piano il dibattito sulla natalità, per affidare il nostro
futuro ai robot.
La risposta è quella di ogni uomo o
donna di buon senso: oltre l’enorme questione dell’affettività che dà
senso alla vita, è bello riportare per esteso il pensiero dell’ingegnere
asturiano: “Misero panorama, una società invecchiata che confida nei
robot anaffettivi … Una società disseccata. Zavorrata nell’economia e
negli affetti. Gli anziani costano caro ed è pesante aver cura di loro.
Vedremo cose moralmente indesiderabili. La pressione verso l’eutanasia
attiva (cioè la soppressione farmacologica di soggetti non
necessariamente consenzienti n.d.r.) sarà crescente perché le
risorse sono scarse “. Soprattutto, ci permettiamo di aggiungere, perché
il clima è contrario alle nascite, inclina alla morte e ragiona
esclusivamente in termini di partita doppia.
E’ comunque già un successo insperato (a
questo siamo giunti) che tesi normali e correnti sino a una generazione
fa, oggi proscritte ed espulse per indegnità morale (di quale moralità,
di grazia?) vengano diffuse su un grande quotidiano d’opinione.
Aspettiamo che il problema demografico venga finalmente sdoganato anche
in Italia, a partire dalla imminente campagna elettorale.
E’ urgente, è vitale, è imprescindibile
suscitare un nuovo senso comune favorevole alla vita. Il volto il
sorriso, persino il pianto di un neonato figlio nostro è il simbolo
potente di un popolo che non vuole morire ostaggio di un mondo usuraio.
Vide giusto Ezra Pound nel canto XLV: usura soffoca il figlio nel ventre / arresta il giovane amante/ cede il letto a vecchi decrepiti/si frappone tra giovani sposi.
ROBERTO PECCHIOLI
Fonte immagine: google
Nessun commento:
Posta un commento