“Il mio insegnante, il mio maestro, il mio eroe,
il mio ideale, il mio Dio nella vita.”
(Vivekananda)
Molti
ricercatori si augurano di incontrare un maestro che li possa aiutare a
trovare la via della realizzazione. E questo è legittimo, perché il
miglioramento è la massima aspirazione del ricercatore spirituale. Ma
tutto si complica perché i veri maestri sono rari mentre i ciarlatani
sono molto diffusi e più numerosi. La questione si complica anche nel
caso che avvenga l’incontro auspicato così fortemente, poiché nessuno ci
garantisce che il maestro sia adatto alle caratteristiche del
discepolo.
Oppure
accade che il discepolo non riconosca il maestro, come avvenne a
Vivekananda quando incontrò Sri Ramakrishna di cui divenne il discepolo
prediletto. Ramakrishna fu visto come un avatar divino perché aveva una
natura pura, innocente e gioiosa come quella di un bambino. Era nato a
Kamarpukur, nel Bengala, il 18 febbraio 1836 da una famiglia di bramini
ridotti in povertà, perché il padre di Ramakrishna era stato privato di
tutti i beni per non aver reso falsa testimonianza a favore del ricco
signore locale.
Si
narra che suo padre Khudiram era di tale rettitudine che fu visitato
dagli dei. Si disse che mentre era in pellegrinaggio a Gaya dove c’è un
tempio con l’impronta del piede di Vishnù, sognò il Signore che gli
rivelò che stava rinascendo per salvare tutta l’umanità. La stessa
notte, sua moglie Chandramani, sognò che era nel tempio di Shiva e che
il Signore l’abbracciava, poi fu penetrata da una luce accecante che le
fece perdere i sensi.
Al
suo risveglio era incinta, perciò suo marito la ritrovò trasfigurata e
che sentiva le voci, perché portava un dio in grembo. Il bambino si
dimostrò di carattere gioioso e radioso, infatti era incantevole e
sempre pronto a ridere e giocare. La sua natura eccezionale si mostrò
verso i 6 anni quando si trovò a camminare nei campi per portare il
pranzo a suo padre, e vide il volo di un gruppo di gru bianche che
volavano nel cielo.
Il
contrasto tra l’azzurro del cielo e il candore delle gru colpì
profondamente la sua anima e travolse il suo spirito. Perse i sensi e
cadde a terra. Venne soccorso e riportato a casa: era la prima volta che
veniva rapito in estasi. Non sapeva ancora che era destinato a
trascorrere in stato di estasi la metà della sua vita.
Ma,
già dalla sua prima estasi, si rivelò l’impronta divina che permeava la
sua anima. L’emozione della contemplazione della natura risvegliò
l’estasi, perché l’arte e la bellezza lo fecero entrare in contatto con
Dio. Nella sua vita, Ramakrishna sperimentò tutte le vie che potevano
condurre al Divino. Praticò la via dell’amore per il proprio prossimo e
la via della conoscenza, il dominio della mente e la pratica dell’azione
retta e disinteressata, la compassione e la meditazione.
Era
un analfabeta che conobbe e comprese ogni cosa, e la sua prima
esperienza spirituale, avvenne con il rapimento dei sensi prodotto
dall’estetica. I suoi biografi dicono che la sua via fu quella
dell’Amore per Dio che è la via più pericolosa di tutte le vie.
Ramakrishna nasceva dal popolo bengalese che è ricco di artisti e di
poeti musici che traggono aspirazione da Chaitanya, l’Amante estatico
del dio Krishna.
Ramakrishna
era appassionato di musica e poesia, infatti - già a 8 anni - cantava,
modellava immagini sacre con la creta e dirigeva un gruppo d’arte
drammatica. Durante una recita cadde ancora in estasi e da allora le
estasi furono sempre più frequenti. Ma i suoi genitori erano
profondamente devoti e abituati agli dei che interpretarono le estasi
del figlio come la dimostrazione di doti prodigiose.
Ramakrishna
si dimostrò un artista nel modellare con la creta, aveva una voce
armoniosa e cantava in modo divino. Aveva un’intelligenza precoce che
gli permetteva di andare nelle conversazioni più colte, pur essendo un
analfabeta. Era l'adoratore della Grande Madre, la dea Kalì, che fu
l’Amata divina a cui restò fedele per tutta la vita.
All’inizio
fu considerato un folle tanto che, molte volte acconsentì a sottoporsi a
indagini e analisi mediche per far studiare il fenomeno dell’estasi in
cui lui cadeva spesso. La cosa straordinaria era che non cadde in preda
della follia, oppure che diventò il padrone della sua stessa follia.
Al
tempo dell’incontro con il suo discepolo preferito, Sri Ramakrishna era
già considerato un avatar divino. Vivekananda era nato il 12 gennaio
1863 nel giorno della festa di Makarasamkranti durante la quale milioni
di indiani adorano il fiume Gange. Sua madre aveva una particolare
adorazione per Shiva e invocava sempre le sue benedizioni.
Era
una donna dall’aspetto regale che non tollerava nessuna mancanza di
buone maniere. Ma aveva un cuore così generoso che era diventata la
consolazione dei poveri ricevendone il rispetto e la stima di tutti
quelli che la conoscevano. Lei stessa disse che prima di restare incinta
di Vivekananda aveva sognato che il dio degli yogi si era destato dalla
sua meditazione e che aveva accettato di rinascere come suo figlio. Si
era svegliata felice, e quando era nato il suo bambino fu chiamato
Narendra cioè “Signore degli uomini” o più affettuosamente Naren.
La
famiglia Datta faceva parte della nobile casta dei guerrieri ed era
nota per le sue ricchezze, per la filantropia, per l’erudizione e anche
per l’anticonvenzionalismo dei suoi membri. Suo nonno aveva rinunciato a
tutti i suoi beni, aveva preso la veste dei monaci erranti e non era
più tornato. Suo padre era un famoso avvocato dell’Alta Corte di
Calcutta, era appassionato di letteratura orientale e occidentale e,
durante le cene con gli amici, recitava i passi della Bibbia e le poesie
di Hafiz con la stessa disinvoltura.
Era
attratto dalla cultura islamica e aveva familiarità con l’ambiente
musulmano colto con cui aveva rapporti professionali. Era un agnostico,
molto anticonvenzionale ma aveva un cuore così generoso e tollerante che
lo spingeva a superare i suoi mezzi per aiutare i bisognosi. Naren era
un ragazzo allegro e dolce ma anche un ragazzo irrequieto e testardo che
era tenuto d’occhio da due balie a causa della sua esuberanza.
Era
dispettoso perciò la madre gli infilava la testa sotto l’acqua fredda e
invocava il dio Shiva chiedendogli di placarlo. Era tanto simile al
nonno che la famiglia credeva che lui fosse la sua reincarnazione,
infatti aveva una grande simpatia per i monaci erranti. Ebbe la sua
prima formazione dalla madre che era una donna molto colta che gli
insegnò l’alfabeto bengalese e l’inglese. La madre gli narrava le storie
del Ramayana e del Mahabharata di cui conosceva interi brani a memoria.
Naren
divenne devoto di Rama e della sposa Sita che adorò fin da ragazzo. In
seguitò adorò Shiva, il dio della rinuncia e protettore degli yogi, ma
mantenne l’amore per il Ramayana. Fin da ragazzo il futuro Vivekananda
vedeva una luce risplendente al centro della fronte che lo ricompariva
prima di addormentarsi. Lui stesso disse che mentre guardava la luce
riusciva ad addormentarsi, e questo avveniva ogni giorno. Per molto
tempo credette che tutti avessero questa visione prima di dormire.
Molti
anni dopo, fu Ramakrishna che gli rivelò il mistero, poiché gli chiese
se prima di dormire vedesse una luce. Quando Vivekananda rispose
affermativamente, Ramakrishna gli rivelò che quella visione rivelava il
suo grande passato spirituale e il suo talento naturale per la
meditazione. Fin da bambino Vivekananda aveva l’abitudine di meditare e
restare concentrato così da essere incosciente di tutto. Vivekananda
rivelò una grande intelligenza, una prodigiosa memoria e
l’anticonformismo di famiglia.
La
sua personalità fu influenzata dall’intelligenza del padre e dalla
bontà della madre. Venne educato nel modo migliore affinché fossero
evidenziate le sue qualità innate. Una volta lui stesso disse, con
orgoglio, che per qualsiasi conoscenza avesse acquisito era in debito
con sua madre. Fin dalla prima infanzia fu occupato in giochi e in
invenzioni di ogni tipo.
Era
un ragazzo che non tollerava nessuna paura, odiava i pregiudizi e la
superstizione e, inoltre, mostrava l’attitudine naturale a diventare il
leader di ogni gruppo in cui fosse inserito. Nell’adolescenza cambiò
carattere in modo totale e l’esuberanza fisica diventò irrequietezza
mentale e iniziò a interessarsi di questioni intellettuali dicendo di
voler diventare un monaco errante. Leggeva molti libri di storia e di
letteratura e iniziò a frequentare gli ambienti più colti incoraggiato
dal padre.
In
questo periodo rivelò una genialità poliedrica che si espresse anche
nella musica che fu la sua grande passione. Studiò la musica vocale e
strumentale con i migliori maestri. Sapeva suonare molti strumenti e
cantava in indi, in urdu e in persiano soprattutto eseguendo gli inni
sacri con una voce incantevole. Aveva un innato talento di capire un
testo scritto leggendone solo l’inizio e la fine dei vari paragrafi, e
questo gli era sufficiente per conoscerlo in modo profondo.
Crescendo
era diventato un giovane atletico, muscoloso e agile anche se aveva la
tendenza a essere robusto. Al college ebbe una formazione occidentale,
studiò la logica, si specializzò in filosofia e studiò la storia antica e
moderna di molte nazioni europee mostrando la sua memoria prodigiosa.
Fu allora che ebbe l’occasione di incontrare Ramakrishna, e
quell’incontro fu la svolta della sua vita.
Aveva
sentito parlare di Sri Ramakrishna dal suo insegnante di letteratura
inglese che lo aveva citato per le sue estasi religiose. L’insegnante
aveva detto che il fenomeno dell’estasi era molto raro perché dimostrava
una profonda purezza e concentrazione. Quindi aveva citato Ramakrishna
come esempio vivente e inspiegabile razionalmente di quel particolare
modo di comunica con la Divinità.
Questo
lo scosse profondamente perché il giovane Vivekananda era già entrato
in una grande irrequietezza spirituale. Quando avvenne il loro primo
incontro erano in casa di un devoto del maestro dove Vivekananda era
stato invitato per cantare dei canti sacri. Ramakrishna fu colpito dalla
sincera devozione del giovane e dopo avergli rivolto poche parole lo
invitò a Dakshineswar.
Vivekananda
accettò perché voleva capire se Ramakrishna era folle oppure se era
l’uomo che poteva aiutarlo nella sua ricerca spirituale. Il grande
maestro era già considerato una manifestazione divina e attirava uomini e
donne di fede come se fosse un fiore che attira le api. Ma Ramakrishna
non era mai soddisfatto perché paragonava tutti al latte annacquato
senza sapore, e diceva che era stanco di incontrare solo della gente
priva di sapore.
Gia
dal loro primo incontro Ramakrishna lo riconobbe. Dopo averlo sentito
cantare, Ramakrishna lo condusse nel portico della casa per parlargli in
privato. Gli parlò con le lacrime agli occhi dichiarandosi felice
perché finalmente era arrivato. Lo trattò come un vecchio amico
ritrovato e lo rimproverò per aver tardato tanto ad arrivare,
lasciandolo solo ad ascoltare le stupidaggini del mondo. Disse che era
ansioso di vederlo e che finalmente era giunto l’unico essere che
comprendeva le sue parole.
Poi
rivelò che Vivekananda era l’antico Nara cioè l’incarnazione di
Narayana, che era disceso sulla terra per eliminare tutte le miserie
dell’uomo. Il razionale e scettico Vivekananda giudicò quelle parole
come il frutto dei vaneggiamenti di un folle. Ramakrishna gli rese
omaggio mettendogli in bocca dei dolci, perciò non gli permise di
rifiutare l’invito di andarlo a trovare a Dakshineswar.
Quando
rientrarono nel salone, Vivekananda restò ancora più stupefatto vedendo
che Ramakrishna aveva assunto un atteggiamento normale e assennato.
Tornando a casa pensò allo strano personaggio che aveva appena
incontrato, ma sentiva una pace interiore che non conosceva. Il secondo
incontro avvenne in modo ancora più sconcertante. Infatti, dopo pochi
minuti che era entrato a casa del maestro, Ramakrishna gli si avvicinò
con atteggiamento estatico, sussurrò alcune parole, lo fissò negli occhi
e poi toccò il suo corpo con il piede.
Subito
dopo il contatto, il giovane Vivekananda vide che il mondo svaniva, e
si sentì sprofondare nel vuoto. Sentendosi sprofondare fu certo di
essere vicino alla morte e gridò: “Cosa mi state facendo? A casa c’è la
mia famiglia che mi aspetta!” Il maestro rise, lo massaggiò al petto e
gli disse: “Stai tranquillo, va tutto bene. Ogni cosa verrà al momento
giusto!”
Vivekananda
restò sconvolto e fu certo che Ramakrishna gli aveva gettato un
influsso ipnotico perciò si arrabbiò con se stesso per non aver saputo
resistere al potere di un matto. Com’era stato possibile che lo avesse
preso così alla sprovvista? Com’era potuto avvenire a uno come lui che
aveva una volontà di ferro? La terza visita non andò meglio malgrado
Vivekananda fosse sospettoso e rimanesse in guardia nei riguardi dello
strano personaggio. Ramakrishna lo portò in giardino, lo toccò e
Vivekananda cadde in trance e perse la conoscenza.
In
seguito Ramakrishna gli rivelò che lo aveva mandato in trance per
interrogarlo sulle sue vite passate, per conoscere la sua missione sulla
terra e per sapere la durata della sua vita presente. Le sue risposte
gli avevano confermato quello che lui aveva già intuito. Ramakrishna
rivelò agli altri discepoli che Vivekananda aveva raggiunto la
perfezione ancor prima della sua incarnazione attuale e che era un
grande adepto della meditazione.
Disse
pure che, il giorno in cui Vivekananda avrebbe scoperto chi era
realmente avrebbe voluto lasciare la terra. In molte occasioni disse che
Vivekananda era uno dei sette sacri rishi che vivono nel regno
dell’Assoluto e narrò una visione che rivelava la grandezza del suo
discepolo preferito. Rivelò che, un giorno, mentre era immerso nel
samadhi, aveva visto che la sua mente saliva oltre la sfera del sole e
della luna e arrivava nel mondo degli dei.
Poi
continuò a salire e oltrepassò anche il mondo degli dei finché giunse
nel regno del Trascendente. In quel regno, egli vide i sette sacri rishi
immersi in meditazione e pensò che coloro avevano superato anche il
livello degli dei. Mentre ammirava i saggi risplendenti di sublime
spiritualità vide che una parte dell’Assoluto si materializzava e
assumeva l’aspetto di un bambino divino. Il bambino sfiorò il collo di
uno dei sette saggi con le sue tenere mani e gli sussurrò qualcosa
all’orecchio.
Al
tocco gentile del bambino, il saggio si distolse dalla meditazione e lo
fissò. Allora il bambino divino gli chiese con gioia: “Io sto scendendo
sulla terra. Vuoi venire con me?” Il saggio sorrise e acconsentì poi
tornò a immergersi nell’estasi profonda della meditazione. Ramakrishna
vide che una piccola parte del saggio scendeva sulla terra ed entrava
nella casa dei genitori di Vivekananda.
Perciò
quando aveva incontrato Vivekenanda aveva capito che era l’incarnazione
del saggio, e aveva capito che lui stesso, Ramakrishna, era il bambino
divino che aveva risvegliato il sacro rishi e che gli aveva chiesto di
scendere insieme sulla terra. Vivekananda non lo aveva riconosciuto ma,
da quando lo aveva incontrato, non riusciva a stare lontano da
Ramakrishna.
Esteriormente,
il maestro e il discepolo non potevano sembrare più diversi, perché
Ramakrishna non era attratto dalla modernità mentre Vivekananda era il
simbolo della mente moderna. Vivekananda era uno spirito curioso e
vivace, un giovane intellettuale ricco e colto, ma era anche uno
scettico razionalista. La sua mente era aperta, ma si rifiutava di
accogliere quello che non aveva una spiegazione logica. Non aveva
nessuna necessità di avere la guida di un maestro, e non tollerava
nessuna interferenza tra lui e Dio.
Vivekananda
ridicolizzava le divinità di Ramakrishna, compresa la Dea Kalì, la
Grande Madre Divina che il maestro adorava perché le considerava tutte
superstizioni o allucinazioni. Vivekananda osservò per 5 anni il suo
futuro maestro prima di accettarlo come tale e mise sempre alla prova
tutte le sue affermazioni. Accettarlo come maestro e come ideale
spirituale gli costò molta fatica. Ma quando avvenne, Ramakrishna
ottenne il seguace più devoto e fedele che non lo abbandonò fino alla
morte.
Ramakrishna
fu molto felice di aver trovato un discepolo che lo accettava solo dopo
aver riflettuto e accettato le sue parole. Fu felice di essere
osservato con occhio critico dal discepolo, e lo amò perché Vivekananada
non gli obbedì mai per soggezione. Ramakrishna non gli chiese mai di
rinunciare alla sua libertà mentale e affrontò la sfida
dell’intelligenza di Vivekananda con pazienza infinita. Fu così che potè
domare un carattere fiero, nobile e ribelle.
In
cambio, ebbe il migliore seguace che un maestro può augurarsi di
trovare. La presenza di Vivekananda era sufficiente per renderlo felice
e, ai discepoli che cercavano di denigrarlo per gelosia, rispondeva che
non lo dovevano mai criticare perché Vivekananda era perfetto ancora
prima di nascere. Vivekananda ricambiava il suo amore, perché in
Ramakrishna vedeva l’incarnazione dello Spirito Divino che non poteva
essere contaminato dalla sporcizia del mondo.
Inizialmente,
Vivekananda era imbarazzato per l’adorazione che Ramakrishna mostrava
nei suoi riguardi e criticava la sua parzialità. Ramakrishna rispondeva
che non poteva fare a meno di amarlo e Vivekananda ribatteva che non
voleva far parte delle sue fantasie e delle sue allucinazioni. Malgrado
tutto Vivekananda non riusciva a fare a meno di andare a trovare
Ramakrishna ammettendo che “il Vecchio” lo aveva reso prigioniero con il
suo amore. E anche quando ammise la devozione e l’amore infinito che
provava per il maestro, per molto tempo continuò a criticava la
devozione di Ramakrishna per la dea Kalì.
Il
segreto dello strano rapporto tra discepolo e maestro era il fatto che
Ramakrishna non pretese mai che Vivekananda rinunciasse alla sua
libertà. Ogni volta che il discepolo lo metteva alla prova e qualcuno
faceva notare che Vivekananda non aveva un atteggiamento rispettoso, lui
rispondeva che lo amava perché non credeva a nulla di cui non fosse
convinto. Anche il maestro metteva alla prova il suo giovane discepolo
infatti, una volta, lo trascurò volutamente per più di un mese. Poi gli
chiese perché si ostinasse a tornare sebbene non gli rivolgesse più la
parola.
Vivekananda
rispose che non gli interessava che gli parlasse. Lui lo amava, perciò
gli bastava solo di vederlo per essere felice. Ramakrishna lo abbracciò
tutto felice e gli confessò che aveva fatto un grande sacrificio a
ignorarlo e sembrare indifferente, ma voleva metterlo alla prova. Quando
Ramakrishna gli disse che voleva trasmettergli i suoi poteri
spirituali, Vivekananda rispose che non li voleva perché temeva di
usarli per scopi egoistici.
La
mente di Vivekananda era stata forgiata a pensare in maniera nobile
perciò li accettò solo quando vi fu costretto. Ma volle chiarire che
prendeva i poteri del maestro solo per aiutare i deboli, i poveri e gli
ultimi della terra. Vivekananda ebbe l’insegnamento di Ramakrishna solo
per 6 anni, ma andò da lui ogni volta che aveva difficoltà. Quando il
maestro si ammalò di cancro Vivekananda non lo lasciò mai e lo accudì
con affetto insieme agli altri discepoli fino alla morte.
Era
stato il discepolo che lo aveva compreso meglio e che lo aveva seguito
più fedelmente, ma non aveva rinunciato mai al diritto di metterlo alla
prova. Anche mentre lo vedeva morire dubitò che fosse stato un vero
avatar. Ramakrishna era stremato dal cancro alla gola che gli impediva
di mangiare e parlare, ma trovò la forza di dirgli:
“Ancora
non sei persuaso? Colui che visse come Rama e visse come Krishna, ha
vissuto in questo corpo come Ramakrishna, anche se questo non è comodo
per il Vedanta.” Lui non aveva fatto la domanda ma Ramakrishna aveva
risposto al suo pensiero. Una settimana dopo la sua morte, Vivekananda
passeggiava con un condiscepolo quando Ramakrishna gli apparve rivestito
del suo luminoso corpo di gloria. Lo videro e mentre stavano per
chiamare gli altri monaci, la figura luminosa di Ramakrishna scomparve.
Buona erranza
Sharatan
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