Il
presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha presentato, con un
importante discorso, la sua strategia per “degradare e distruggere” lo
Stato Islamico in Iraq e Siria. La strategia non ha un calendario e,
come al solito, gli Stati Uniti mettono musulmani contro musulmani in
una truce guerra tramite lo ‘smart power’, che dovrebbe impedire vittime
statunitensi. Da ogni apparenza, sarà anche una guerra autofinanziata
dai petrodollari degli Stati arabi del Golfo. La strategia si basa su
tre pilastri; fissare limiti ben definiti all’attuale intervento
militare statunitense, risuscitare l’agenda del ‘cambio di regime’ in
Siria e fare a meno di un qualsiasi mandato dalle Nazioni Unite. In
sostanza, è una versione riconfezionata dell’intervento statunitense
crudamente unilaterale in Medio Oriente dell’amministrazione George W.
Bush. Chiaramente, Obama ha ritardato l’avvio della sua strategia fin
quando l’opinione pubblica negli Stati Uniti è ‘maturata’.
I sondaggi di
opinione mostrano un alto gradimento negli USA sul nuovo intervento
militare statunitense in Iraq e la Siria. Il macabro assassinio di due
giornalisti statunitensi da parte dello Stato islamico indubbiamente ha
infiammato la rabbia dell’opinione pubblica. Ma il fattore principale è
la paura instillata nella mente statunitense in settimane e mesi di
campagna mediatica che presentava lo Stato islamico come minaccia
diretta alla ‘sicurezza nazionale’ degli Stati Uniti. Lo stratagemma ha
funzionato, come i sondaggi testimoniano. I tempi di Obama sono
perfetti, avendo abilmente scelto la vigilia dell’11° anniversario degli
attacchi dell’11 settembre per svelare la sua strategia al pubblico
statunitense. Curiosamente, però, con la riuscita ‘maturazione’
dell’opinione pubblica, Obama infligge il doloroso ridimensionamento
della psicosi statunitense, chiarendo che gli Stati Uniti non hanno “rilevato piani specifici contro la nostra patria” dello Stato islamico, anche se i suoi capi “minacciano l’America e i nostri alleati”. Invece, ha interpretato lo Stato islamico come minaccia ai “popoli di Iraq e Siria e del Medio Oriente, compresi cittadini, personale e strutture statunitensi”.
Chiaramente, non solo il senso delle proporzioni è stato introdotto
calmando l’opinione pubblica statunitense, anche se il Paese s’imbarca
virtualmente in un’altra guerra all’estero, ma Obama ha trovato una
spiegazione razionale per il reclutamento di alleati mediorientali degli
Stati Uniti per la prossima guerra. Il messaggio di Obama al popolo
statunitense è semplice: ‘Non c’è bisogno di continuare la vostra vita
con ansia, lasciate che il vostro comandante in capo ci pensi’. In
cambio, Obama ha la certezza che i parametri dell’intervento militare
degli Stati Uniti saranno ben definiti. Ci sarà “una sistematica campagna di attacchi aerei”
proprio mentre le forze irachene attaccano; gli Stati Uniti daranno la
caccia ai terroristi dell’IS aumentando il sostegno alle forze irachene e
curde che lo combattono, compresi addestramento, informazioni ed
attrezzature; il Pentagono implementerà ulteriori 475 militari in Iraq
(portando il totale a quasi 1600). Ma “le forze statunitensi non avranno
missioni di combattimento, non saranno trascinate in un’altra guerra in
Iraq”.
Obama ha sottolineato che la prossima guerra sarà “diversa dalle guerre in Iraq e in Afghanistan. Non comporterà truppe statunitensi combattenti in terra straniera”. Invece, come gli Stati Uniti hanno fatto in Yemen e Somalia “per anni”, questa guerra “sarà condotta tramite un costante, incessante sforzo per colpire il SIIL ove sia, utilizzando la nostra potenza aerea e il nostro sostegno alle forze partner sul terreno”. Obama ha dichiarato che le operazioni militari statunitensi si estenderanno in territorio siriano. Ha precisato la strategia verso la Siria, volta ad ampliare l’assistenza militare all’opposizione siriana. Obama ha fatto appello al Congresso degli Stati Uniti per mettere a sua disposizione “autorità e risorse ulteriori per addestrare ed equipaggiare questi combattenti (siriani)”. In sostanza, una grande escalation dell’intervento statunitense in Siria è in vista.
Obama ha respinto senza mezzi termini ogni idea degli
Stati Uniti di appoggiarsi al regime siriano, chiamandolo regime
illegittimo promettendo di “risolvere la crisi della Siria una volta per tutte”.
In poche parole, gli Stati Uniti accelerano la spinta al cambio di
regime in Siria. Ovviamente, Washington si rende conto che non può mai
avere un mandato dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per
realizzare il ‘cambio di regime’ in Siria, in violazione del diritto
internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Obama, dunque aspetta
semplicemente di presiedere una riunione del Consiglio di Sicurezza
delle Nazioni Unite, a fine mese a New York, “per mobilitare ulteriormente la comunità internazionale” intorno alla sua strategia in Iraq-Siria.
Gli Stati Uniti sostengono di aver finora raccolto un “nucleo di coalizione” di otto Paesi della North Atlantic Treaty Organization [NATO] più l’Australia, per combattere la nuova guerra in Medio Oriente. Ma Obama ha detto che ha bisogno di una “larga coalizione di partner”. Rivelando di conseguenza che il segretario di Stato John Kerry viaggia in Medio Oriente “per arruolare partner in questa lotta, in particolare le nazioni arabe che possono mobilitare le comunità sunnite in Iraq e Siria”. Ha scelto con cura le parole, lasciando intendere che gli Stati Uniti si propongono di accordare ruoli selettivi a sciiti e sunniti nella campagna contro l’IS. La parte più sconcertante, naturalmente, è l’intenzione implicita di arruolare attivamente sul teatro siriano Paesi come Turchia, Arabia Saudita e Qatar. Senza dubbio, l’arruolamento degli Stati dei petrodollari assicura che il denaro non sia un problema per gli Stati Uniti in tale guerra infinita.
Il Nuovo Medio Oriente
Tuttavia, funzionerà la strategia di Obama? Chiaramente, la strategia di Obama di una guerra conveniente e in gran parte auto-finanziata potrebbe, quindi, essere sostenibile per un certo periodo di tempo. A dire il vero, non c’é alcuna carenza di risorse finanziarie, materiali o umane per combattere tale guerra, dato il coinvolgimento degli Stati dei petrodollari che sostengono il cambio di regime in Siria. Il pubblico statunitense potrebbe non agire subito contro tale guerra. La comunità strategica statunitense, in particolare i think tank e i media, sarebbe anche in gran parte favorevole, dato che tale guerra s’incastra esplicitamente con gli interessi israeliani. In realtà, gli Stati Uniti rappattumano lo stesso vecchio asse nel Medio Oriente, da Israele alle oligarchie arabe sunnite del Golfo. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti non saranno responsabili di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. È una “coalizione dei volenterosi” che combatte tale guerra e il dissenso interno nella coalizione è altamente improbabile, assicurando a Washington il comando e il controllo della guerra. Tuttavia, l’imponderabile ci attende. In primo luogo è estremamente significativo che Obama abbia evitato qualsiasi affermazione categorica sull’unità dell’Iraq. È fumosamente vago sulle sue aspettative sul governo “inclusivo” a Baghdad.
Tuttavia, funzionerà la strategia di Obama? Chiaramente, la strategia di Obama di una guerra conveniente e in gran parte auto-finanziata potrebbe, quindi, essere sostenibile per un certo periodo di tempo. A dire il vero, non c’é alcuna carenza di risorse finanziarie, materiali o umane per combattere tale guerra, dato il coinvolgimento degli Stati dei petrodollari che sostengono il cambio di regime in Siria. Il pubblico statunitense potrebbe non agire subito contro tale guerra. La comunità strategica statunitense, in particolare i think tank e i media, sarebbe anche in gran parte favorevole, dato che tale guerra s’incastra esplicitamente con gli interessi israeliani. In realtà, gli Stati Uniti rappattumano lo stesso vecchio asse nel Medio Oriente, da Israele alle oligarchie arabe sunnite del Golfo. Allo stesso tempo, gli Stati Uniti non saranno responsabili di fronte al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. È una “coalizione dei volenterosi” che combatte tale guerra e il dissenso interno nella coalizione è altamente improbabile, assicurando a Washington il comando e il controllo della guerra. Tuttavia, l’imponderabile ci attende. In primo luogo è estremamente significativo che Obama abbia evitato qualsiasi affermazione categorica sull’unità dell’Iraq. È fumosamente vago sulle sue aspettative sul governo “inclusivo” a Baghdad.
Il punto è che, anche se Washington ha
pianificato la sostituzione del primo ministro Nuri al-Maliqi, la
riconciliazione sunnita è tutt’altro che chiara finora. Ciò è importante
perché la strategia degli Stati Uniti può funzionare solo se vi sarà
una chiara mobilitazione sunnita irachena contro l’IS, oppure
peggiorerebbe in un conflitto confessionale continuo lacerando l’unità
dell’Iraq. D’altra parte, ciò comporta anche la questione della
responsabilizzazione sciita in Iraq. Basti dire che gli USA devono
inventarsi una qualche formula magica che affini il concetto dei
principi democratici che permettano il governo della maggioranza in
Iraq. In altre parole, questa è anche una guerra che riguarda la
costituzione dell’Iraq e l’esperienza degli Stati Uniti in tali imprese è
assai triste, per usare un eufemismo. E ciò è un fatto.
La parte più sconcertante di tale guerra è il capitolo siriano. Forse gli Stati Uniti credono che ora che le scorte di armi chimiche della Siria sono state distrutte, sia una scommessa sicura attaccare il Paese. Anche ammesso sia così, l’opposizione siriana resta aperta ai gruppi estremisti, come la saga dello Stato islamico dimostra. Gli Stati Uniti non hanno imparato niente e sperano ancora di utilizzare gli estremisti come strumenti delle politiche regionali. Infatti, il fallimento avrà un costo gravissimo, con l’Iraq e la Siria che potrebbero cessare di esistere alla fine. Naturalmente, la parte davvero interessante è che un tale epilogo potrebbe essere l’obiettivo geopolitico degli Stati Uniti. In una recente intervista al New York Times, Obama ha sottolineato lo scioglimento dell’accordo Sykes-Picot del 1916 come questione centrale della politica mediorientale. Allo stesso modo, con l’intenzione di Obama di assumere come alleati “le nazioni arabe che possono mobilitare le comunità sunnite”, si riconosce praticamente la dimensione settaria dei conflitti in Iraq e Siria. Ora, c’è un contesto complicato nella politica regionale, coinvolgendo queste stesse nazioni arabe sunnite da protagoniste assolute.
Obama avrebbe una qualche ricetta per eliminare tali tensioni
regionali? Non ha detto nulla. È interessante notare che mai Obama ha
fatto riferimento all’Iran. La sua strategia ignora completamente le
Nazioni Unite e, in realtà, mina la Carta delle Nazioni Unite. Non è
riuscito a spiegare in modo convincente la ragion d’essere di tale
particolare variante dell’intervento militare statunitense nel mondo
musulmano, l’unilateralismo senza rischi e a basso costo, in quanto la
sicurezza nazionale degli Stati Uniti non è in pericolo imminente e
nemmeno concepibile. Quindi, l’impressione inevitabile è che gli Stati
Uniti continuino ad arrogarsi la prerogativa di violare l’integrità
territoriale e la sovranità degli Stati nazionali, per i propri
interessi. In effetti, tale idra della guerra assume molte forme
diverse, cosa praticamente garantita anche con il passare del tempo,
molto dopo che Obama sarà scomparso dai libri di storia.
La presidenza Obama ha chiuso il cerchio reinventando i dogmi neoconservatori che una volta diceva di respingere. Con il pretesto di combattere l’IS, Stati Uniti ed alleati riprendono ed attuano l’enorme piano neocon per rimodellare il Medio Oriente musulmano pur di raggiungere gli obiettivi geopolitici degli Stati Uniti. Chiamatela come volete, ma è una guerra imperiale, anche se con un Nobel come comandante in capo.
Melkulangara Bhadrakumar Strategic Culture Foundation
La ripubblicazione è gradita in riferimento al giornale on-line dello Strategic Culture Foundation.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
http://aurorasito.wordpress.com/2014/09/12/obama-lancia-la-sua-guerra-infine/
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