Nel leggere dei mantra ci si imbatte in concetti confusi - tra buddismo, induismo e new age - che
suggeriscono che la conoscenza dei mantra sia talmente esoterica da non
potersi spiegare sensatamente mediante linguaggio. Solitamente tale
convinzione si traduce in un insegnamento puramente pragmatico: "ora
recitate questo mantra in questo modo ..."
Spesso nulla viene detto sui motivi per cui si reciti un mantra o sul come un mantra raggiungerebbe il suo obiettivo. Basta dare un'occhiata alle sezioni dedicate alla meditazione nelle decine di testi scritti sui temi attinenti nel corso di migliaia di anni per realizzare che la pratica del mantra suoni ormai come una sorta di superstizione.
Da parte mia condivido il concetto secondo cui in linea di massima l'esperienza del 'risveglio' sfidi l'intelletto e il linguaggio, ma non accetto l'idea che la pratica buddhista sia incompatibile con qualsiasi considerazione di ordine razionale.
Perciò dopo una breve introduzione, illustrerò una triplice
classificazione dei mantra, stilata in base all'utilizzo e al contesto.
Etimologia.
Il termine Mantra è molto antico. Ricorre nel RgVeda in riferimento agli inni poetici dedicati alle selvagge divinità naturali ctonie che oggi definiamo 'divinità vediche.' I sanscritisti ci informano che il termine si riferisce alla strumentalità (TRA), della mente (MAN). Una successiva etimologia facente capo al tantrismo suggerisce che si tratti di qualcosa in grado di proteggere la mente. Chiaramente in questo caso non esiste una vera e propria corrispondenza etimologica. Frits
Staal - eminente sanscritista - si spinge a suggerire che semplicemente
non esiste etimologia, dato che tutto quanto espresso con il mantra non
farebbe parte di alcun linguaggio. Le ragioni per cui i buddisti hanno
iniziato a riconoscere un qualche significato a fonemi come il famoso OM o ronzio, ad oggi rimane oscuro.
Mantra Buddhista.
Il Canone Pali (l'insieme dei testi che racchiudono gli insegnamenti del Buddha e l'interpretazione della sua dottrina - n.d.t.), vieta ai
monaci di recitare i mantra o di raffigurare il Dharma con versi in
stile vedico, e il Buddha prende in giro ripetutamente coloro i quali
ricorrano al canto dei mantra bramini. Ma allo stesso tempo esiste una serie di canti canonici (paritta) finalizzati ad allontanare la sfortuna,
e nei primi anni della letteratura post-canonica si celebravano
cerimonie in cui la pratica fu formalizzata. Di frequente i testi
paritta sono citati come precursori del mantra buddista, sebbene
esistano molte differenze (sia formalmente che dottrinalmente). (...)
La fase finale dello sviluppo nel mantra 'moderno' inizia verso
la metà del 7° secolo, quando nei nuovi testi i mantra diventano
improvvisamente elemento principale. Tali testi descrivono elaborati
rituali di iniziazione e di propiziazione il cui obiettivo è quello di
trasformare il praticante in un Buddha. Testi che non furono introdotti da Sakyamuni (Buddha storico - n.d.t.), ma provengono direttamente dal Buddha Dharmakaya.
Il Dharmakāya nel Trikāya (dottrina
dei Tre Corpi del Buddha) corrisponde al 'Corpo del Dharma', cioè il
piano degli insegnamenti o della realtà ultima: immateriale, priva di
forma, inconcepibile. Esso corrisponde alla vacuità della illuminazione. Riassume in se gli altri due corpi ed è indicato anche mediante il termine dharmatākāya (Corpo della Realtà). (n.d.t.)
Nel buddhismo tantrico ogni attività è contrassegnata, o addirittura potenziata, da un mantra. Il
rituale fondamentale è la abhiseka o iniziazione. E' mediante la
abhiseka che il Buddha Dharmakaya ha comunicato il proprio status di
Risvegliato attraverso il triplice mezzo del mudra, mantra e mandala.
Il Tantra incorpora molti principi di tradizione vedica concernenti il suono, le parole e la lingua parlata. Tuttavia in
questo contesto l'importanza è data solo dall'atto pratico. Una persona
'comprende' un mantra solo attraverso la pratica, cioè recitandolo
100.000 o un milione di volte, senza pensare al suo significato. In
questo contesto la questione di cosa significhi un mantra è molto meno
importante dei suoi effetti pratici, i quali possono essere scoperti
solo sperimentandolo in prima persona.
Ci sono tre ambiti principali in cui i mantra vengono utilizzati nel
Buddhismo Tantrico: rituali, riti devozionali e uso personale e non
rituale.
Mantra Tantrico Rituale.
Fondamentale per il mantra tantrico è la vecchia idea vedica della
compenetrazione dei fenomeni tramite il Sutra. Come asserì Michel
Foucault, gli antichi non concepivano la
conoscenza in termini di identità e differenza, ma in termini di
relazione e somiglianza. I sacerdoti vedici sarebbero stati in grado di
controllare la natura selvaggia (in particolare i monsoni e il sole),
manipolando qualcosa di esistente sulla terra. Intorno a questo
concetto si sviluppò la tradizione rituale dei bramini in cui il fuoco
(personificato come Agni) era il mezzo di comunicazione tra cielo e
terra, in quanto capace di tramutare le cose da uno stato ad un altro:
Agni ricopriva il ruolo di Hermes, o degli Angeli. Poi
la tradizione andò mutando fino a quando tale facoltà fu descritta in
maniera sempre più astratta, al punto da considerare la possibilità di
manipolare il mondo solo mediante la immaginazione. Si consideri che in
termini buddisti è sufficiente pensare al Buddha, per trovarsi al
cospetto del Buddha in senso letterale. L'idea del rituale era
implicito nel sadhana, ed esplicita nei rituali del fuoco (Homa)
importati direttamente dalla tradizione vedica.
Questa non è una spiegazione mistica, ma si basa semplicemente su un episteme (un
modo di conoscere), poco noto in Occidente. Un'eccezione potrebbe
essere qualcosa come l'omeopatia, la quale opera sulla base degli stessi
principi, e funziona solo a condizione che chi se ne giovi creda nel
suo funzionamento.
Kukai (monaco fondatore della scuola tantrica Shingon, intorno all'anno 1000 - n.d.t.) soleva dire che: "tutti i suoni della voce del Dharmakaya predicano il Dharma".
In parole più semplici, significa che la natura di tutta la realtà è esplicita in tutte le esperienze. L'esperienza è contraddistinta da precarietà e inconsistenza.
I suoni sono particolarmente adatti per contemplare tale verità, in
quanto la precarietà della loro nascita e scomparsa è ancora più
evidente di quella dei pensieri o delle forme. Il suono è per propria
natura non permanente e inconsistente. Dunque
il mantra qui costituisce un punto di riferimento per la contemplazione
della visione buddhista in merito alla natura inconsistente e precaria
dell'esperienza.
Le regole di tale tipologia di mantra sono molto specifiche e correlate a fattori logistici.
E' necessario ricevere una iniziazione da parte di un maestro
qualificato, altrimenti anche recitando i suoni giusti non si sta
comunque recitando un un mantra. Il mantra va inoltre recitato nel luogo
appropriato, all'interno di un rituale specifico tramandato dal
Dharmakaya tramite generazioni di maestri, e deve essere accompagnato
dal mudra appropriati, altrimenti il mantra non ha alcun potere.
Mantra Devozionali.
Nei rituali devozionali i mantra sono utilizzati per evocare un Buddha ed esprimere sentimenti devozionali e fede verso il Buddha per salvare gli esseri umani. Il Buddha Amitabha è spesso fatto oggetto di devozione, anche con il mantra di Avalokitesvara (noto come OM o HUM)
nato per essere utilizzato in questo modo, sebbene in molti casi sia
finito per diventare un mantra completamente tantrico. La finalità
assolta dai Mantra in questo contesto è essenzialmente una
forma di ricordo del nome di Buddha (nāmanusmṛti smrti nāma), il quale
fa si che qualsiasi persona che tenga a mente il suo nome potrà
rinascere nella Terra Pura. Vi è anche una ulteriore finalità di
questa pratica, ancora più antica: portando il Buddha alla mente
mediante la immaginazione l'iniziato può migliorare i propri sentimenti
di ispirazione.
Aspetto peculiare di questo tipo di
pratica è che essa implica l'esistenza di un 'potere esteriore' che ci
può aiutare, ossia Amitabha o Buddha. Tale aspetto può apparire in
contrasto con le dottrine buddiste secondo le quali ognuno sia
responsabile delle conseguenze delle proprie azioni, e raccolga i frutti del proprio karma. Sangharakshita incoraggia a considerare questa pratica figuratamente, come trovare un Rifugio.
Il canto ritmico è noto per stimolare il
rilascio di endorfine che motivano la sensazione di benessere, e persino
l'estasi, che accompagna il canto di gruppo.
Mantra Informali.
Infine, molti buddisti usano il mantra in contesti non-rituali come
espressioni di devozione e fede, e sotto forma di preghiera rivolta al
Buddha. Si è spesso notato che il ronzio Om è quello più utilizzato dai
tibetani ordinari. Non esiste alcuna regola per questo tipo di utilizzo.
Gli effetti dipendono dalla volontà della persona che lo canti o lo
reciti, il quale si ritrova spesso ad essere ispirato da nuove idee e
'potenti vibrazioni.' Alcuni fruitori del mantra giurano di essere
riusciti attraverso di esso a scongiurare particolari sventure, e
numerosi altri semplicemente asseriscono di sentire un senso di conforto
nell'atto di praticare il mantra.
Al di là del contesto rituale, tuttavia, l'uso dei mantra mi sembra una pratica attigua alla superstizione:
se io canto un mantra per chiedere aiuto ad un essere soprannaturale,
allora la mia pratica comincia ad assomigliare al teismo, dunque molto
simile alla pratica della preghiera nei confronti di un santo o della
Vergine Maria. La differenza fondamentale è che il buddista è sempre
l'unico responsabile delle proprie azioni, e non può incolpare forze o
esseri superiori. Nulla può sostituire la pratica individuale dell'etica
e della meditazione.
Conclusioni.
Il significato di ogni mantra dipende dal contesto. Ogni contesto
richiede una propria spiegazione, e le regole di un contesto non possono
applicarsi in un altro contesto. Nella
gran parte dei casi il mantra viene praticato solo nell'ambito del
contesto tantrico, tuttavia, dato che la pratica di quest'ultimo
richiede specifiche condizioni - abhiseka, accompagnamento dei mudra ecc - è raramente applicabile al di fuori del rituale tantrico. In questo caso possiamo considerare il mantra come una
forma di pratica devozionale, un ricordo del Buddha, al fine di
rafforzare la nostra determinazione a fare ciò che deve essere fatto.
Sintesi di un articolo in lingua inglese pubblicato sul sito Visible Mantra
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