lunedì 2 settembre 2013

Il rifiuto britannico ed il gasdotto egiziano

Il voto del Parlamento britannico, contrario all’intervento in Siria, è stato per certi versi storico e inaspettato. Quello che balza immediatamente all’occhio è la rottura con lo storico alleato statunitense, ma allargando il quadro la bocciatura della mozione di David Cameron offre molti altri spunti di riflessione, sia per quanto riguarda la società inglese che in relazione ad una sfera più propriamente geopolitica.

 I 285 voti contrari all’intervento della Gran Bretagna contro il regime di Bashar Hafez al-Assad rappresentano una svolta nella politica estera inglese, tanto che il cancelliere dello scacchiere, George Osborne, ha subito dichiarato che è in pericolo il ruolo del Regno Unito nel mondo, affrettandosi inoltre a dichiarare la fedeltà di Londra agli Stati Uniti; per contro il Primo Ministro Cameron ha dichiarato che gli inglesi “non devono chiedere scusa”. Gran Bretagna e Stati Uniti sembravano essere uniti da un vincolo indissolubile, sempre insieme in ogni campagna militare, al punto che da più parti si accusavano i britannici di essere “i cani da guardia” degli Stati Uniti in Europa, ma ora le cose sembrano essere cambiate.

 
Gli USA sono un paese lacerato da profondi contrasti interni nelle sue sfere dirigenti, con un Presidente costretto ad un intervento che non vuole e che cerca di minimizzare il più possibile. Gli Stati Uniti si trovano di fronte alla scelta se abdicare dal loro ruolo di potenza egemone o svenarsi economicamente nel tentativo di restare aggrappati a quello che furono nel dopoguerra e, forse, non sono più. Le spese militari sono limitate da budget strettissimi e le decisioni in politica estera, ad esempio nel rapporto con la Cina o con Israele, sono prive di una linea guida, oscillando pericolosamente. Ma anche la Gran Bretagna è alle prese con importanti questioni interne, che rischiano di minare la compattezza del suo tessuto sociale.

La Scozia terrà presto un referendum per decidere della sua indipendenza da Londra, il che ha aperto grandi discussioni sull’unità del Regno Unito. Il Galles gode di forti concessioni autonomistiche, in Irlanda del Nord vige una vera e propria devolution, ma in Inghilterra il potere resta fortemente accentrato a Londra. Tuttavia con gli anni di Margaret Thatcher il nord industriale è andato in crisi, facendo precipitare sempre più la popolazione in condizioni di povertà, ed oggi l’Inghilterra è di fatto divisa tra una parte settentrionale ed una meridionale (gravitante su Londra) dove il dislivello sociale è enorme e non affrontato, senza contare poi la crisi culturale di generazioni sempre più americanizzate e un’immigrazione, spesso musulmana, che ha di fatto cambiato il volto della capitale. Il governo di Cameron rischia di non avere le forze, e nemmeno un base sociale, per gestire problemi di tale importanza.

Ma in Gran Bretagna, e questo potrebbe avere inciso molto sul voto contro l’intervento in Siria, è anche presente una fortissima crisi energetica. Londra ha sempre esaltato la sua autonomia nel settore, estraniandosi dalle questioni europee, ma nel 2012 la capacità del regno di produrre gas e petrolio ha avuto un calo addirittura del 14,5%, con un inverno caratterizzato da aumenti dei prezzi e blocco delle forniture per via di un guasto all’impianto più importante. Ad aggravare le cose le accuse fatte al governo, da parte di alcuni settori dell’opinione pubblica, di non avere una chiara politica relativa proprio al settore energetico. Su giornali come il Guardian, storicamente laburista, sono addirittura usciti articoli contro le proteste per nuove trivellazioni, dichiarando che il paese ha bisogno di energia, meglio se prodotta in proprio.

Ed il voto di Westminster sembra avere un certo carattere isolazionista, assumendo toni antieuropei proprio mentre abbandona l’alleato di sempre. In UK i sentimenti euroscettici sono forti, al punto che la proposta di un referendum sul tema è spesso oggetto di campagna elettorale, e cosa importante sarà capire come il voto contro la guerra in Siria influirà sui rapporti con l’Unione Europea, che proprio recentemente ha duramente criticato il governo inglese per avere di fatto obbligato proprio il Guardian a distruggere dei documenti relativi al caso Snowden. La presa di posizione di Bruxelles è arrivata addirittura a parlare di violazione della libertà di espressione dei giornalisti, garantita dall’art.10 della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Tuttavia, anche vista la sua carenza energetica, Londra dovrà presto o tardi accettare di entrare nel sistema europeo, magari cercando anche di renderlo meno incerto. E questo potrebbe avere fortissime ripercussioni interne.


Dietro il voto incriminato c’è quindi un gioco di schieramenti sulla scena internazionale. Con la Francia dichiaratasi, lancia in resta, favorevole all’intervento, mentre la tradizionale avversaria tedesca che si avvicina proprio a Londra, e da segnalare la posizione italiana contraria, sembrerebbe, alla concessione delle basi militari da dove decollerebbero i veivoli destinati ad attaccare la Siria. Sullo sfondo c’è la Russia, energeticamente legatissima alla Germania, e tramite TAP (Trans Adriatic Pipeline) sempre più all’Italia, che sta facendo importanti investimenti nel settore energetico inglese, basti citare Rosneft, la quale ha recentemente annunciato di volere espandere il suo raggio d’azione, incoraggiata dai buoni risultati ottenuti. Capitali russi che, giova ricordarlo, sono sempre più presenti nell’economia inglese. In gioco, in sostanza, come la posizione francese (dettata dalla sua storica linea di condotta in politica estera) dimostra, c’è il controllo futuro del mediterraneo e delle sue riserve energetiche.

Da questo punto di vista possiamo registrare come ogni paese stia facendo le sue mosse geopolitiche: Iran e Russia tessono relazioni sempre più strette, il Pakistan ha rifiutato di partecipare ad una serie di incontri promossi dagli USA e relativi al futuro del TAPI (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India Pipeline), e Pechino ha annunciato che l’IP (Iran-Pakiatan Pipeline) potrebbe arrivare fino in Cina. Andando più in prossimità della Siria possiamo vedere come ci sia apprensione del coinvolgimento del Libano, dove compagnie petrolifere hanno fatto importanti investimenti per lo sfruttamento dei giacimenti prossimi a quelli israeliani, e notare come una delle prime dichiarazioni del governo egiziano, appena costituitosi, sia stata che le forniture di gas verso Giordania ed Israele sono riprese rgolarmente. L’Arab Pipeline è stata infatti recentemente oggetto di numerosi attentati e di una forte protesta popolare in quanto diretta verso Israele.

In conclusione il voto del Parlamento britannico nasconde diverse questioni aperte, nonostante la più evidente sia quella diplomatica con gli Stati Uniti, e le sue conseguenze saranno note solo con il passare del tempo.


http://www.euractiv.com/uk-europe/council-europe-asks-uk-explain-i-news-529915
http://www.theguardian.com/business/2013/aug/25/anger-fracking-cant-manage-without-gas
http://temi.repubblica.it/limes/disunited-kingdom-se-anche-linghilterra-vuole-la-devolution/51186
http://www.bbc.co.uk/news/uk-politics-23892783
http://www.naturalgaseurope.com/uk-offshore-oil-gas-production-decline
http://www.naturalgasasia.com/egypt-will-continue-gas-supply-to-jordan

http://farfalleetrincee.wordpress.com/2013/09/02/il-rifiuto-britannico-ed-il-gasdotto-egiziano/

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