Il Tempio Malatestiano di Rimini è la chiesa maggiore della città e, per questo motivo, è usualmente indicato dai cittadini come il Duomo; rinnovato completamente a partire dal 1447 con il contributo di artisti come Leon Battista Alberti, Matteo de' Pasti, Agostino di Duccio e Piero della Francesca, è, sebbene incompleta, l'opera chiave del Rinascimento riminese ed una delle architetture più significative del Quattrocento italiano in generale.
Sotto la signoria di Sigismondo Pandolfo Malatesta, venne da subito deciso di sistemarvi una cappella dedicata a San Sigismondo, santo omonimo nonché patrono del committente, affidando il progetto inizialmente al veronese Matteo de' Pasti, salvo poi affidare il restante restauro al più quotato Leon Battista Alberti.
Non è qui mia intenzione fare una analisi del Tempio; voglio invece portare l’attenzione su qualcosa di molto significativo, in ordine a definire, o meglio dovremmo dire ri-definire, gran parte della nostra storia e degli accadimenti che l’hanno caratterizzata; mi riferisco a un dipinto di Piero della Francesca presente nell’ultima parte del Tempio, quella appunto caratterizzata dagli interventi di Pandolfo Sigismondo Malatesta.
Qui si colloca l'affresco di Piero della Francesca del 1451 che, secondo il parere di biografi e gli accademici ritrae Sigismondo Pandolfo Malatesta in preghiera davanti a san Sigismondo; in questo dipinto “la glorificazione del committente ha il culmine, il tema religioso si intreccia con aspetti politici e dinastici, come nelle fattezze di san Sigismondo che celano quelle dell'imperatore Sigismondo del Lussemburgo, che nel 1433 investì il Malatesta come cavaliere e ne legittimò la successione dinastica, ratificandone la presa di potere” (De Vecchi-Cerchiari)...
Nel corso dei miei studi in relazione al Rinascimento italiano, innescato dal tentativo esperito da Cosimo de’ Medici di riunificare la Chiesa d’Oriente e quella d’Occidente attraverso il concilio tenutosi nel 1438-1439 a Firenze, documentato da Benozzo Gozzoli nei dipinti di Palazzo Medici-Ricciardi a Firenze, ho potuto riscontrare diverse anomalie rispetto alle ricostruzioni ufficialmente riconosciute ad oggi, al punto da cambiare completamente la mappatura delle opere e di alcuni accadimenti che, storicamente e politicamente, avranno poi assunto un ruolo di rilevanza assoluta, come ad esempio la scoperta dell’America; ufficialmente la si fa risalire, come tutti sanno, al 12 ottobre 1492, data che casualmente coincide con la data in cui l’autore di questo dipinto, Piero della Francesca, muore a Borgo San Sepolcro.
Per quanto attiene a tutte le anomalie da me riscontrate, di cui all’accenno precedente, rimando alle tre pubblicazioni che sto finendo di editare. Nel caso puntuale di questo mio articolo, invece, voglio porre l’attenzione su ciò che questo dipinto di Piero della Francesca stia a rappresentare, ovvero una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale del nuovo continente attribuita a Cristoforo Colombo (sulla cui identità ho già avuto modo pubblicamente di dibattere a lungo, motivo per il quale non ritengo opportuno soffermarmi oltre, anche per la totale ininfluenza della circostanza dopo quanto andrò a motivare in questa sede).
L’affermazione di poc’anzi, ovvero che questo dipinto “stia a rappresentare una raffigurazione dell’America del Nord esattamente 41 anni prima della scoperta ufficiale attribuita a Cristoforo Colombo” è facilmente riscontrabile dall’osservazione e dal raffronto con quanto oggi sono le terre emerse sul nostro pianeta in corrispondenza del territorio nordamericano, come mostrato in figura:
E’ inutile tediarvi con una narrazione puntuale delle singole località ravvisabili nel dipinto riminese; mi limiterò a sottolineare come esista un solo territorio circoscritto alle coste del Golfo del Messico a sud e alle isole dell’Arcipelago Artico canadese a Nord, e si chiama America del Nord.
Ufficialmente scoperta il 12 ottobre 1492 da Cristoforo Colombo, così almeno recitano i testi di storia, come si dimostra in questa circostanza l’America era conosciuta già sin dai tempi in cui, nel 1451, Piero della Francesca viene chiamato a decorare le pareti del Tempio Malatestiano di Rimini.
Analizzando il dipinto, alla sinistra di un deferente Pandolfo Sigismondo Malatesta, non troviamo Sigismondo d’Ungheria bensì Gemisto Pletone, ovvero colui il quale, nel 1438, guidò il seguito di filosofi, matematici e astronomi che accompagnarono Giovanni VII il Paleologo al Concilio di Firenze, portando con sé, a questo punto con certezza pressoché incontrovertibile, mappe astronomiche e geografiche di assoluto rilievo, rimandanti a quel mondo pre-cristiano bizantino di cui la Biblioteca Alessandrina era la massima testimonianza, più volte ferocemente e gravemente minacciata e definitivamente distrutta nei primi secoli dopo Cristo, grazie anche agli editti di costantino conseguenti al Concilio di Nicea del 325 d. C.
Non tratterò in questa sede il ruolo di Gemisto Pletone e il suo venir
spesso confuso nelle interpretazioni degli studiosi con altri
personaggi, a volte immaginari, come nel caso di quell’Ermete
Trismegisto raffigurato in Duomo a Siena e talvolta con personaggi
reali, quale addirittura Leonardo da Vinci (la mia peculiarità di studio
preminente) nel dipinto di Raffaello nei Musei Vaticani, La Scuola di
Atene; quello che universalmente viene ritenuto essere Leonardo da
Vinci, rappresentato da Raffaello nei panni di Platone con il
Timeo sottobraccio, in realtà è nuovamente Gemisto Pletone che discute
Basilio Bessarione, anch’egli al seguito di Giovanni VII il Paleologo
durante il Concilio fiorentino.
Nel 1439, infatti, Pletone scrisse sulla differenza tra la filosofia
platonica e quella aristotelica, da cui nacque una forte polemica tra i
platonici, sostenuti anche da Basilio Bessarione, e gli aristotelici. Il
contrasto verteva sull'idea che fosse possibile, seguendo la concezione
platonica, una possibile unificazione delle diverse religioni.
Secondo Platone nella filosofia platonica,
erede di quella zoroastriana, era tratteggiato il modello di una
società ideale teocentrica fondata sul culto del dio Sole, e chiaramente
Raffaello pone l’accento su questo episodio.
Mi tocca fare una precisazione, necessaria per meglio comprendere la sintesi di cui si compone questo scritto: gran parte degli artisti rinascimentali, oltre ad essere stati ottimi pittori, erano a loro volta dei cronisti del tempo che vivevano; attraverso le proprie opere, dunque, testimoniavano la vita di tutti i giorni, a maggior ragione laddove vi erano conflitti di natura politica e ideologica come quelli fortemente caratterizzanti questo periodo storico di importanza assoluta, non fosse altro che per il fatto che è in questo periodo che è stato gettato coltivato il seme che ha filiato l’attuale situazione economico-politica attuale (naturalmente inserisco il potere spirituale rappresentato dalle religioni tutte nella caratterizzazione politica, per ovvie ragioni). Per questo motivo, e proprio in virtù di altre rappresentazioni di Gemisto Pletone da parte di artisti terzi rispetto a quelli citati, mi permetto di fare una simile affermazione.
Proprio in virtù di ciò, è Sandro Botticelli, attraverso il suo dipinto più famoso, ovvero la nascita di Venere, a darci nuovamente una rappresentazione dell’America anteriore allo sbarco di Cristoforo Colombo del 1492. Anzi, a differenza di quanto fa Piero della Francesca, e decisamente con minor accuratezza e precisione, attraverso l’uso dei personaggi raffigurati e delle loro vesti Botticelli inserisce nell’opera l’intera rappresentazione del globo terrestre, in una sorta di planisfero molto semplificato, ma inequivocabile nel soggetto raffigurato, come si può notare dai particolari portati alla vostra attenzione qui di seguito, in raffronto alla prima rappresentazione dell’America unanimemente riconosciuta, ovvero quel planisfero di Waldseemuller del 1507, a sua volta anacronistico relativamente alle date delle scoperte ufficiali delle scoperte geografiche del nuovo continente, con le coste occidentali dell’America del Sud troppo preciserispetto alla circumnavigazione di magellano del 1522.
Nel dipinto di Botticelli richiamato, il velo rosso della donna a destra raffigura l’America del Nord nella parte verso la Venere, mentre raffigura l’Asia nella parte a destra del dipinto; a sua volta la Venere raffigura l’America del Sud, e la Sigizie a sinistra, l’androgino, il Rebis che insuffla lo Spirito Vitale rappresenta, capovolto, la Terra Australis, presente in tutte le carte dei primi anni dopo la scoperta del nuovo continente. Lo spirito insufflato assume così la giusta direzione con cui gli Alisei soffiarono risultando fondamentali ad acconsentire ai primi navigatori di raggiungere le coste dell’Oceano Atlantico opposte alle coste spagnole e portoghesi.
Mi tocca fare una precisazione, necessaria per meglio comprendere la sintesi di cui si compone questo scritto: gran parte degli artisti rinascimentali, oltre ad essere stati ottimi pittori, erano a loro volta dei cronisti del tempo che vivevano; attraverso le proprie opere, dunque, testimoniavano la vita di tutti i giorni, a maggior ragione laddove vi erano conflitti di natura politica e ideologica come quelli fortemente caratterizzanti questo periodo storico di importanza assoluta, non fosse altro che per il fatto che è in questo periodo che è stato gettato coltivato il seme che ha filiato l’attuale situazione economico-politica attuale (naturalmente inserisco il potere spirituale rappresentato dalle religioni tutte nella caratterizzazione politica, per ovvie ragioni). Per questo motivo, e proprio in virtù di altre rappresentazioni di Gemisto Pletone da parte di artisti terzi rispetto a quelli citati, mi permetto di fare una simile affermazione.
Proprio in virtù di ciò, è Sandro Botticelli, attraverso il suo dipinto più famoso, ovvero la nascita di Venere, a darci nuovamente una rappresentazione dell’America anteriore allo sbarco di Cristoforo Colombo del 1492. Anzi, a differenza di quanto fa Piero della Francesca, e decisamente con minor accuratezza e precisione, attraverso l’uso dei personaggi raffigurati e delle loro vesti Botticelli inserisce nell’opera l’intera rappresentazione del globo terrestre, in una sorta di planisfero molto semplificato, ma inequivocabile nel soggetto raffigurato, come si può notare dai particolari portati alla vostra attenzione qui di seguito, in raffronto alla prima rappresentazione dell’America unanimemente riconosciuta, ovvero quel planisfero di Waldseemuller del 1507, a sua volta anacronistico relativamente alle date delle scoperte ufficiali delle scoperte geografiche del nuovo continente, con le coste occidentali dell’America del Sud troppo preciserispetto alla circumnavigazione di magellano del 1522.
Nel dipinto di Botticelli richiamato, il velo rosso della donna a destra raffigura l’America del Nord nella parte verso la Venere, mentre raffigura l’Asia nella parte a destra del dipinto; a sua volta la Venere raffigura l’America del Sud, e la Sigizie a sinistra, l’androgino, il Rebis che insuffla lo Spirito Vitale rappresenta, capovolto, la Terra Australis, presente in tutte le carte dei primi anni dopo la scoperta del nuovo continente. Lo spirito insufflato assume così la giusta direzione con cui gli Alisei soffiarono risultando fondamentali ad acconsentire ai primi navigatori di raggiungere le coste dell’Oceano Atlantico opposte alle coste spagnole e portoghesi.
Non sarà complicato, dopo quanto appena
prospettatovi, comprendere come lo stesso Leonardo da Vinci fosse a
conoscenza di questi aspetti cartografici, essendo egli stato cresciuto
sotto l’ala protettrice di Gemisto Pletone, Marsilio Ficino e
l’Accademia neoplatonica tutta, sin da ragazzino; né sarà azzardato
pensare a delle conoscenze geografiche in materia di cartografia laddove
lo stesso espressamente lamenta al padre di Ginevra Benci, ritratta tra
il 1474 e il 1480, la restituzione di un suo mappamondo. Dopotutto, lo
stesso Bramante, in un famoso dipinto del 1477 (Eraclito e Democrito),
si ritrae con Leonardo da Vinci e un mappamondo che li separa.
Per questo motivo, e in conseguenza delle risultanze dei miei studi che per ovvii motivi qui tralascerò, ma che riconducono all’identificazione di una intera sala dipinta da Leonardo tra il 1459 e il 1469, voglio rimandarvi all’osservazione del planisfero descritto da Botticelli nella sua opera in raffronto con il planisfero di Leonardo da Vinci, conservato a Palazzo Besta in Teglio, Valtellina, qui di seguito riproposto, in cui poter apprezzare anche l’accostamento con la Terra Australis, disegnata in calce al planisfero e recante la scritta incisa “Terra Australis anno 1459 sed nondum plena cognita”.
Una ulteriore curiosità in merito a queste vicende, deriva dal fatto che il padre di Ginevra Benci si chiamasse Giovanni di Amerigo, e il fratello Amerigo; divenuto rapidamente direttore della filiale ginevrina del Banco Mediceo, divenendone socio in sostituzione del padre, Amerigo ebbe l’opportunità qui di lavorare a stretto contatto con Francesco Sassetti, colui il quale, unitamente a Poggio Bracciolini, accompagnò nel 1459 a Milano (e presumibilmente poi a Teglio in Valtellina) un giovanissimo Leonardo da Vinci.
Questa circostanza è confermata da tre dipinti: il primo è un dipinto in cui un giovane Leonardo è raffigurato nell’unico affresco restante della sede del palazzo del Banco Mediceo di Milano mentre legge Cicerone, mentre nei restanti due, entrambi del Ghirlandaio, il giovane Leonardo è ritratto una volta a fianco di Francesco Sassetti e l’altra al fianco di Poggio Bracciolini, e sempre con la città di Lecco alle spalle.
Non andrò ulteriormente in profondità alle vicende ricostruite, sebbene
il materiale in tal senso non mi difetti ma anzi abbondi; questa
circostanza, unita alla passione sfrenata che mi ha letteralmente
rapito, mi spingerebbe ogni volta a scriverne dei poemi, motivo per cui
ho deciso di affidare il compito a delle pubblicazioni esaustive in tal
senso; voglio però aggiungere a chiosa di questo breve articolo un ulteriore elemento in cui si palesa
in forma del tutto non incidentale il fatto che a metà del XV° secolo,
in capo agli esponenti che parteciparono al Concilio che si tenne a
Firenze nel 1438, erano disponibili informazioni molto dettagliate
sull’esistenza e la dislocazione del continente americano al centro
dell’Oceano Pacifico.
Non bastasse ciò a costituire una notizia straordinaria, che da sola scardinerebbe la fragilità dell’impalcatura su cui si è costruita la mendace ricostruzione della scoperta dell’America da parte dell’inesistente Cristoforo Colombo, si aggiunga la meticolosità rappresentativa con cui Piero della
Francesca ritrae le coste nordamericane, quasi avesse avuto a disposizione mappe estremamente precise da consultare e riprodurre, al punto tale da ipotizzare delle vedute addirittura satellitari, tanta è la precisione del tratto espresso.
Quando nel 2010 per la prima volta, attraverso una mia pubblicazione dal titolo Anamorphosis, ipotizzai la paternità leonardesca in capo al planisfero di Palazzo Besta a Teglio riportatovi in visione precedentemente, ebbi a sottolineare la sua precisione affermando una cosa che ai più poteva sembrare totalmente fuori luogo: “Questa è una rappresentazione fotografica satellitare della terra come emerse dopo il diluvio universale”.
Non bastasse ciò a costituire una notizia straordinaria, che da sola scardinerebbe la fragilità dell’impalcatura su cui si è costruita la mendace ricostruzione della scoperta dell’America da parte dell’inesistente Cristoforo Colombo, si aggiunga la meticolosità rappresentativa con cui Piero della
Francesca ritrae le coste nordamericane, quasi avesse avuto a disposizione mappe estremamente precise da consultare e riprodurre, al punto tale da ipotizzare delle vedute addirittura satellitari, tanta è la precisione del tratto espresso.
Quando nel 2010 per la prima volta, attraverso una mia pubblicazione dal titolo Anamorphosis, ipotizzai la paternità leonardesca in capo al planisfero di Palazzo Besta a Teglio riportatovi in visione precedentemente, ebbi a sottolineare la sua precisione affermando una cosa che ai più poteva sembrare totalmente fuori luogo: “Questa è una rappresentazione fotografica satellitare della terra come emerse dopo il diluvio universale”.
Mi ha colpito non poco tempo fa trovare un disegno di Athanasius Kircher che ritraeva un planisfero,
sul quale capeggiava una scritta: “GEOGRAPHIA CONJECTURALIS DE ORBIS TERRESTRIS POST DILUVIUM”, in cui sembra che il Gesuita volesse mettere in confronto grafico le terre emerse dopo il diluvio e quelle che invece lo erano prima del diluvio.
sul quale capeggiava una scritta: “GEOGRAPHIA CONJECTURALIS DE ORBIS TERRESTRIS POST DILUVIUM”, in cui sembra che il Gesuita volesse mettere in confronto grafico le terre emerse dopo il diluvio e quelle che invece lo erano prima del diluvio.
Ed ecco allora quanto può apparire ancora più strano osservando
la rappresentazione dell’America offertaci da Piero della Francesca
rispetto al fatto già di per sé straordinario che egli rappresenti il
continente nordamericano nel 1451.
Se osserviamo bene l’immagine dell’affresco, notiamo che la Florida è raffigurata decisamente più rigonfia rispetto alla stessa così come la si può osservare utilizzando le immagini di Google Earth; addirittura, nella rappresentazione offerta da Piero della Francesca, nel versante orientale della Florida, quello che si affaccia sul Mar dei Caraibi per intenderci, appaiono due speroni che non corrispondono a quanto si può osservare dalla visione reale della Florida ad oggi.
A questo punto, com’è nel mio stile (ovvero proprio di colui che vuole
stimolare un approfondimento attraverso una provocazione seppur
documentale e per nulla fantasiosa), vorrei anticipare allora
qualcos’altro in merito a queste vicende, in attesa di svilupparlo
compiutamente in un lavoro letterario; nel dipinto di Piero della
Francesca, Pandolfo Sigismondo Malatesta è accompagnato da due levrieri,
uno bianco e uno nero; non mi è dato, al momento, di appurare se
fossero i suoi cani o alludessero ad altro tipo di rimando simbologico.
C’è però una cosa curiosa e interessante che lega nuovamente l’America, Piero della Francesca e Botticelli: Nastagio degli Onesti.
C’è però una cosa curiosa e interessante che lega nuovamente l’America, Piero della Francesca e Botticelli: Nastagio degli Onesti.
Nastagio degli Onesti è il protagonista di una novella della Quinta giornata del Decameron di Giovanni Boccaccio, dedicata agli amori dapprima contrastati e poi conclusi felicemente. La storia di Nastagio degli Onesti è stata illustrata da Sandro Botticelli nel 1483 su commissione di Lorenzo il Magnifico per fare un dono nuziale a Giannozzo Pucci e Lucrezia Bini: le quattro tavolette sono oggi disperse tra Madrid e Firenze.
- La Venere è la stessa della rappresentazione della nascita della
Venere di Botticelli, ovvero Simonetta Cattaneo, figlia di banchieri
genovesi, sposata con Marco Vespucci.
- La Venere viene inseguita da un cavaliere (Giuliano de’ Medici) mentre
viene addentata e quindi acciuffata da due cani, levrieri, uno bianco e
uno nero, proprio come quelli di Pandolfo Sigismondo Malatesta;
- La Venere viene Accoltellata alle spalle, mentre Giuliano de’ Medici
le sfila il coltello dalla schiena e Lorenzo de’ Medici sfugge;
sembrerebbe tanto la rappresentazione di una cosa tanto anelata,
sottratta con l’inganno, in conseguenza della quale l’immagine di
Giuliano richiama un accoltellamento alle spalle e Lorenzo si salva
scappando: sembrerebbe la Congiura de’ Pazzi, curioso davvero, come
conseguenza di un viaggio con tre caravelle, le stesse che si vedono
alle spalle della prima e della terza rappresentazione.
Ma non abbiamo finito qui con le curiosità: provate a indovinare come si chiamava il padre di Amerigo Vespucci?
Ma non abbiamo finito qui con le curiosità: provate a indovinare come si chiamava il padre di Amerigo Vespucci?
Nastagio!
E sapete come si chiamavano le tre sorelle di Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico?
Nannina, detta Nina; Bianca,
semplicemente detta Pinta, per via del privilegio di un paio di dipinti
in cui Botticelli la ritrasse e Maria, madre di Luigi de’ Rossi,
cardinale fedelissimo di Papa Leone X (e per questo detta la Santa).
Non pensiate sia finita qui.
Non pensiate sia finita qui.
Dicevamo di Bianca, detta la Pinta; sapete chi sposò? Guglielmo de’ Pazzi, nel 1459, che in virtù della sua parentela coi Medici permise al resto della famiglia di avvicinare Giuliano e Lorenzo de’ Medici e colpirli a tradimento.
Un’ultima indicazione, derivante dall’osservazione di questi quattro dipinti, è relativa al porto da dove vengono fatte partire le caravelle nel primo dipinto, che precede l’attentato a Giuliano, e dunque descrive un viaggio anteriore al 1476: Portovenere. Ricordo che Simonetta Cattaneo, sposata con Marco Vespucci per volere del padre Piero, ma corteggiata profondamente da Giuliano de’ Medici per la sua avvenenza assoluta, era originaria proprio di Fezzano di Portovenere.
Del planisfero di Leonardo da Vinci ho già ampiamente trattato in altre sedi, e vi tornerò prestissimo.
Per quanto invece attiene a Botticelli, posso affermare che non solo ci consegna, attraverso la nascita di Venere, una mappa del mondo anteriore alla sua presunta scoperta da parte di Cristoforo Colombo, ma attraverso la rappresentazione pittorica di una novella del Decameron di Boccaccio ci svela anche i retroscena alla base del tradimento nei confronti della famiglia de’ Medici, con buona probabilità da parte delle famiglie Vespucci, Cattaneo e de’ Pazzi.
E questa, è solo una piccolissima anticipazione di tutto quanto sono riuscito a ricostruire e che, si badi bene, non attiene solo a delle curiosità della storia passata, ma hanno rappresentto momenti fondamentali nella costruzione di quell’assetto politico-economico-religioso che oggi governa, o meglio dovrei dire sta mandando a rotoli, il mondo intero.
Si dice che il buon storico non può cambiare il corso della storia, e questo è verissimo, ma solo conoscendo il nostro passato possiamo interpretare il presente.
“Vi prenderà per pazzo chi, non udendo alcuna musica, vi vedrà danzare”.
Lago di Lecco, 10 settembre 2013
Riccardo Magnani a Palazzo Besta tra i dipinti di Leonardo da lui scoperti
A cura di Riccardo Magnani
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