Non si è ancora capito se Obama attaccherà la Siria, ma intanto Putin ha rafforzato lo schieramento navale nel Mediterraneo – Non è solo un segnale per ribadire che la Russia è al fianco di Assad, ma è un problema strategico in più per Usa, Gran Bretagna e Francia: i movimenti sono limitati…
VLADIMIR PUTIN E BARACK OBAMA
Vladimir Putin rafforza lo schieramento navale nel Mediterraneo
Orientale per ostacolare i piani dell’attacco americano al regime di
Bashar Assad. Dall’inizio dell’escalation siriana il leader del Cremlino
ha scelto il silenzio, lasciando ai diplomatici il compito di smentire
le accuse ad Assad di aver usato i gas, ma ora compie una mossa
militare: l’invio dei lanciamissili «Moskva» e «Varyag» assieme ad una
«grande unità anti-sommergibili».
PUTIN OBAMA
Attraverso l’agenzia Interfax lo stato maggiore russo spiega che sono
«correzioni necessarie allo schieramento navale in ragione dei noti
sviluppi in corso». Poiché Mosca ha già nell’area 16 navi da guerra e
tre portaelicotteri l’intenzione è di aggiungere unità che rendano più
visibile il primo dispiegamento permanente di navi nel Mediterraneo
dalla dissoluzione dell’Urss. «È una manifestazione di diplomazia delle
cannoniere da parte di Mosca – commenta Lee Willett, direttore di Jane’s
Navy International – nel deliberato tentativo di interferire in
qualsiasi tipo di attacco».
Navi Usa
Per comprendere l’entità dell’ostacolo navale che Putin sta costruendo
davanti alla Siria – e in particolare al porto di Tartus, ultimo approdo
amico rimasto alla flotta russa nel Mediterraneo – bisogna tener
presente due elementi.
Il primo è politico, perché evidenzia l’impegno di Putin a difesa di
Assad, ma il secondo è tattico perché la presenza di oltre venti navi
russe complica i movimenti della flotta che Washington, Londra e Parigi
stanno posizionando per l’attacco.
ESERCITAZIONE MILITARE RUSSA
Ed è un grattacapo per il Pentagono in quanto i piani di intervento si
basano in grande parte sulle unità navali per via della necessità di
affidarsi al lancio di missili Tomahawk in ragione dell’impossibilità di
usare i cacciabombardieri F-22 e F-15 sui cieli siriani, nel timore di
vederli bersagliati dalle difese antiaeree fornite da Mosca ad Assad: le
batterie di vecchi S-200 e i più recenti SA-22 e SA-17.
Gli unici aerei che il Pentagono può impiegare evitando tali rischi sono
i droni, i bombardieri strategici o i caccia capaci di lanciare bombe
guidate a centinaia di chilometri di distanza ma ciò non basta a
garantire il successo del bombardamento.
Ad avvalorare lo scenario di un’operazione alleata soprattutto navale –
unità di superficie e sottomarini – ci sono le mosse del capo del
Pentagono Chuck Hagel che ha ordinato ieri alla quinta unità
lanciamissili di schierarsi davanti alla Siria. È lo «Stout» che
aggiunge ai «Mahan», «Ramage», «Barry» e «Gravely» ognuno dei quali può
lanciare un massimo di 45 Tomahawk: toccherà a queste navi, affiancate
da unità simili britanniche e francesi, guidare l’attacco potendo
contare anche sul sostegno dei sottomarini e delle squadre navali delle
portaerei «Nimitz» e «Truman» in navigazione fra Golfo Persico e Oceano
Indiano.
ESERCITAZIONE MILITARE RUSSA
Il regime di Assad nell’ultimo anno si è preparato a questo scenario,
accumulando scorte di missili antinave cinesi e in particolare russi: i
supersonici «Yakhont», capaci di colpire a 300 chilometri di distanza
con una testata di 200 chili. «Gli Yakhont sono difficili da individuare
e ancor più da abbattere o ingannare» assicura Nick Brown, direttore di
«Jane’s International Defense Review».
Obama Siria
Non è un caso che il 5 luglio, secondo fonti Usa, Israele colpì con
missili sottomarini proprio un deposito di «Yakhont» vicino Latakia.
Armi in dotazione ad Assad e mosse di Putin sono tasselli di un unico
mosaico: i missili antinave obbligano le navi alleate ad operare a
grande distanza spingendole verso il Mediterraneo orientale dove la
presenza di unità russe ne ostacola i movimenti. Ciò non impedisce a
Washington di lanciare il blitz ma ne complica la gestione, mettendo a
rischio i risultati.
SIRIA VOLONTARIE SUNNITE
Ma le mosse di Putin non finiscono qui: la telefonata al presidente iraniano Hassan Rohani suggerisce che altro è in arrivo.
Maurizio Molinari per “La Stampa”
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