Via Zero Hedge: i campanelli d'allarme dell'Eurozona sono tutti accesi, con i debiti sovrani su un percorso insostenibile a causa della mancata crescita e il sistema bancario europeo - ma soprattutto le banche tedesche e francesi - in pieno Minsky Moment.
I
campanelli d'allarme del sistema bancario europeo stanno suonando da
un bel po', ma nessuno sembra essere in ascolto. I ruggenti mercati
dei capitali fanno semplicemente troppo rumore.
Ma teniamo presenti un paio di cose.
I Prestiti al settore privato nella zona euro sono in brusco calo. Gli ultimi dati sono stati appena pubblicati e il quadro non è affatto incoraggiante. Lo scorso giugno il credito totale al settore privato da parte delle istituzioni finanziarie monetarie della zona euro ha accentuato la sua traiettoria negativa, con i prestiti alle famiglie che vedono il maggior calo mensile dal culmine della grande crisi finanziaria alla fine del 2008. Uh-oh.
La
periferia di nuovo in gioco? Molto di recente la seconda
più grande banca privata in Portogallo è stata coinvolta nel
fallimento del gruppo Espirito Santo, riportando proprio lo scorso
mercoledì la più grande perdita societaria mai vista nella storia
del paese, e alimentando il sospetto che non tutto potrebbe essere a
posto nella periferia dell'Eurozona. Ora il governo portoghese può
essere costretto a intervenire, eventualmente utilizzando una gran
parte dei fondi di stabilizzazione del settore finanziario
accantonati durante il recente piano di salvataggio del paese.
La
BRI lancia un (altro) monito.
Non dovrebbe essere una sorpresa. Nel suo rapporto annuale 2014,
pubblicato a fine giugno, la Banca dei Regolamenti Internazionali("BRI") ha lanciato l'allarme su "le banche che non
sono riuscite a regolare la persistente debolezza di bilancio
post-crisi derivante dall'esposizione diretta a mutuatari
sovraindebitati e dalle conseguenze di un eccesso di debito sulla
ripresa economica", con questa situazione che è la più critica
in Europa. Ha inoltre dichiarato che gli aumenti nei rapporti di
debito pubblico in diversi casi sembrano essere avviati su un percorso
insostenibile.
Sofferenze
in aumento. Prima abbiamo avuto Fitch, l'agenzia di rating, la
quale ha affermato lo scorso maggio che su un campione di 124 banche
della zona euro che hanno partecipato ai recenti stress test i
crediti in sofferenza sono aumentati in media dell'8% nel 2013, con
almeno 30 banche che hanno riportato un aumento del 20%. Questo
potrebbe certamente aver contribuito alla contrazione massiccia del
credito al settore privato a cui ora stiamo assistendo. Ma c'è di
più.
Minacce
incombenti. Altre migliaia di miliardi, in effetti. Nel
febbraio Reuters ha riferito che le banche europee hanno prestato
3.000 miliardi di dollari in eccesso ai mercati emergenti - un po'
meno dell'intero PIL della Germania, e più di quattro volte
l'esposizione degli istituti di credito degli Stati Uniti verso quei
paesi. Fitch è intervenuto dicendo che "alcune grandi banche
europee sono sostanzialmente esposte verso i mercati emergenti più
fragili." Mentre per queste banche i rischi diretti potrebbero
essere gestibili, il contagio potrebbe essere un'altra storia. Un
default argentino può essere davvero contenuto? I problemi della
Turchia sono risolti? Cosa succede se le ultime sanzioni UE/USA
colpiscono duramente le banche o le società russe?
Dov'è il capitale? Un'altra rivelazione è arrivata più di un anno fa. Nell'aprile 2013, Jakob Vestergaard e María Retana presso l'Istituto Danese di Studi Internazionali hanno pubblicato "Specchietti per le Allodole: sulla Presunta Ricapitalizzazione delle Banche Europee", una relazione in parte finanziata dalla Banca Mondiale. Il titolo dice tutto. Secondo gli autori, utilizzando misurazioni di capitale basate su attività di rischio ponderate i regolatori bancari europei hanno sovrastimato la solidità e la resilienza delle banche nelle loro valutazioni di stress. Di conseguenza, "i recenti aumenti dei coefficienti patrimoniali ponderati al rischio sono stati poco più che una cortina di fumo".
Focalizzando
l'attenzione sui rapporti di leva, invece, gli autori sono giunti ad
alcune interessanti conclusioni. Il settore bancario meno
capitalizzato, almeno tra i maggiori paesi dell'Eurozona, non è
quello spagnolo o italiano ... ma quello tedesco, seguito a ruota dai
francesi! Secondo le loro stime, è necessario un aumento di cinque
volte nel capitale azionario al fine di raggiungere livelli
"adeguati" di solidità. Vale la pena di leggere l'intero
report, compresa la discussione sul perché le autorità di
regolamentazione sembrano essere sempre indietro nella
ricapitalizzazione delle banche.
Figura
1: debito pubblico-PIL dell'Eurozona (Maastricht Definition)
Fonte:
Banca Centrale Europea
Le
impennate del debito sovrano. Ma i campanelli d'allarme
avrebbero dovuto suonare anche prima. Nel terzo trimestre del 2012,
il rapporto debito pubblico-PIL complessivo della zona euro ha
superato il 90% per la prima volta, come mostrato nel grafico sopra.
Perché questo numero è importante? In "Growth in a Time of
Debt", dopo aver analizzato 3.700 dati annuali per paese andando
indietro di secoli nelle più svariate condizioni macroeconomiche (e
con l'occasionale errore di calcolo ;), Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff hanno
scoperto che nei paesi che sono al di sopra della soglia del 90% la crescita
del PIL è generalmente debole (su questo è bene ricordare la critica di Panizza e Presbitero alla teoria di Reinhardt e Rogoff). In altre parole, da quel
momento in poi le probabilità sono fermamente contro di
noi, dati i tassi di crescita necessari per ridurre i carichi di debito che anche secondo la BRI sono assai problematici. E
ora diversi paesi della zona euro hanno superato quel livello.
E
chi erano gli acquirenti delle obbligazioni di alcuni dei paesi
periferici più indebitati? Nell'aprile 2012 Bloomberg ha riferito che
le banche spagnole, italiane e portoghesi hanno aumentato le loro
partecipazioni sul debito sovrano interno a una molto significativa
doppia cifra, per lo più finanziate dalla BCE. Con grande dispiacere
dei bond vigilantes, il conseguente calo dei rendimenti dei titoli di
questi paesi non sarebbe un segno di forza e stabilità - ma
piuttosto un'impressionante impresa di ingegneria finanziaria.
Quel
Minsky Moment. Più di
due decenni fa, Hyman Minsky ha descritto nel suo "Ipotesi di
Instabilità Finanziaria" l'interazione tra i mercati finanziari
e l'economia in generale, che secondo lui è al centro del ciclo
economico in un'economia capitalista con un sistema finanziario
sofisticato. Durante le fasi positive gli aumenti di valore delle
attività spesso portano a investimenti e ad eccessi speculativi
finanziati attraverso il debito. Ad un certo punto i flussi di cassa
che ne derivano non possono più coprire quei debiti, con i prestiti
che vanno in sofferenza e le banche che vanno a stringere la
disponibilità di credito, anche nei confronti delle imprese con un
buon rating. Questo a sua volta porta ad una contrazione del valore
delle attività e dell'attività economica in generale.
E
dove siamo ora nella zona euro? Abbiamo già visto il generale
aumento del valore delle attività. E ora possiamo anche vedere le
sofferenze in aumento e la contrazione del credito al settore
privato. Se Minsky aveva ragione, quel che ne segue non è bello.
Se i governi e le banche centrali hanno il potere di respingere o evitare quel momento fatidico, resta da vedere. Ma i mercati azionari in Europa sentono già puzza di bruciato.
Figura 2: Ratio of Developed Europe Financial Services Stocks
to FTSE Developed Europe Stock Index (Monthly)
I
prezzi delle azioni delle società di servizi finanziari nei paesi
europei sviluppati da qualche mese sono rimasti indietro rispetto
all'indice generale per l'Europa sviluppata, al di sotto della media
mobile a 10 mesi di maggio scorso - generalmente un cattivo presagio
per il settore e per i mercati in generale.
Con
così tanti segnali preoccupanti dall'ultima fiammata finanziaria
nell'Eurozona, possiamo anche dire che le banche europee avrebbero
dovuto fare molti più passi avanti nella ricapitalizzazione dei loro
bilanci, in particolare con mercati azionari così robusti. Ma sembra
che a nessuno piace rovinare una bella festa.
I campanelli d'allarme non dovrebbero essere sottovalutati così facilmente. Sono lì per un motivo. Regolatori, politici, direttori di banca e investitori dovrebbero tutti prestare attenzione.
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