La
Russia ha appena compiuto passi significativi rompendo l’attuale
monopolio di Wall Street sul prezzo del petrolio, almeno per una parte
enorme del mercato mondiale del petrolio. La mossa è parte di una
strategia a lungo termine per dissociare l’economia russa, e soprattutto
la notevole esportazione di petrolio, dal dollaro, tallone d’Achille
dell’economia russa. A novembre il Ministero dell’Energia russo
annunciava la negoziazione di un nuovo punto di riferimento del petrolio
russo.
Anche se questo potrebbe sembrare poca cosa a molti, è enorme.
In caso di successo, e non vi è alcuna ragione che non accada, i futuri
contratti di riferimento del greggio russo negoziati in borsa russa
saranno in rubli e non più in dollari USA. Rientra nella
de-dollarizzazione che Russia, Cina e un numero crescente di altri Paesi
hanno iniziato.
L’imposizione del prezzo di riferimento del petrolio è
al centro del metodo utilizzato dalle grandi banche di Wall Street per
controllare i prezzi mondiali del petrolio. Il petrolio è il più grande
dei prodotti del mondo in dollari. Oggi, il prezzo del greggio russo fa
riferimento a ciò che viene chiamato prezzo del Brent. Il
problema è che il Brent, insieme ad altri importanti giacimenti di
petrolio del Mare del Nord, è in grave declino, il che significa che
Wall Street può usare un punto di riferimento evanescente controllando
quantità di petrolio di gran lunga superiori. L’altro problema è che il
contratto Brent è controllato essenzialmente da Wall Street i cui derivati sono manipolati da banche come Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase e Citibank.
La scomparsa del ‘petrodollaro’
La vendita del petrolio in dollari è essenziale per sostenere il dollaro USA. A sua volta, il mantenimento della domanda di dollari delle banche centrali mondiali per le riserve valutarie, necessari al commercio estero di Paesi come Cina, Giappone o Germania, è essenziale affinché il dollaro degli Stati Uniti resti la principale valuta di riserva mondiale. Questo status di valuta di riserva principale del mondo è uno dei due pilastri dell’egemonia statunitense dalla fine della seconda guerra mondiale. Il secondo pilastro è la supremazia militare mondiale.
La vendita del petrolio in dollari è essenziale per sostenere il dollaro USA. A sua volta, il mantenimento della domanda di dollari delle banche centrali mondiali per le riserve valutarie, necessari al commercio estero di Paesi come Cina, Giappone o Germania, è essenziale affinché il dollaro degli Stati Uniti resti la principale valuta di riserva mondiale. Questo status di valuta di riserva principale del mondo è uno dei due pilastri dell’egemonia statunitense dalla fine della seconda guerra mondiale. Il secondo pilastro è la supremazia militare mondiale.
Le guerre degli Stati Uniti finanziate dai dollari degli altri
Poiché tutte le altre nazioni devono acquisire dollari per l’importazione di petrolio e della maggior parte delle altre materie prime, Paesi come Russia o Cina investono in genere il surplus commerciale delle aziende che guadagnano dollari, sotto forma di titoli di Stato degli Stati Uniti o simili. L’unico altro candidato abbastanza grande, l’euro, dalla crisi greca del 2010 è visto più rischioso. Il ruolo di riserva principale del dollaro USA, dall’agosto 1971, quando si staccò dall’oro, ha sostanzialmente consentito al governo degli Stati Uniti di avere deficit di bilancio apparentemente senza fine e senza doversi preoccupare dell’aumento dei tassi di interesse, avendo un credito scoperto permanente nella vostra banca, permettendo a Washington di creare un debito federale da 18600 miliardi di dollari senza grande preoccupazione. Oggi il rapporto tra debito pubblico e PIL degli Stati Uniti è del 111%.
Poiché tutte le altre nazioni devono acquisire dollari per l’importazione di petrolio e della maggior parte delle altre materie prime, Paesi come Russia o Cina investono in genere il surplus commerciale delle aziende che guadagnano dollari, sotto forma di titoli di Stato degli Stati Uniti o simili. L’unico altro candidato abbastanza grande, l’euro, dalla crisi greca del 2010 è visto più rischioso. Il ruolo di riserva principale del dollaro USA, dall’agosto 1971, quando si staccò dall’oro, ha sostanzialmente consentito al governo degli Stati Uniti di avere deficit di bilancio apparentemente senza fine e senza doversi preoccupare dell’aumento dei tassi di interesse, avendo un credito scoperto permanente nella vostra banca, permettendo a Washington di creare un debito federale da 18600 miliardi di dollari senza grande preoccupazione. Oggi il rapporto tra debito pubblico e PIL degli Stati Uniti è del 111%.
Nel 2001, quando George W. Bush salì al potere e prima
che migliaia di miliardi fossero spesi per la “Guerra al Terrore”
afghana e irachena, il rapporto debito e PIL era solo la metà, il 55%.
L’espressione tipica di Washington è che “il debito non ha importanza”,
per il presupposto che il mondo, Russia, Cina, Giappone, India,
Germania, ne comprerà sempre il debito con i loro dollari del surplus
commerciale. La capacità di Washington di detenere la valuta di riserva
principale, priorità strategica di Washington e Wall Street, è vitale
essendo legata alla determinazione dei prezzi mondiali del petrolio.
Fino alla fine degli anni ’80 i prezzi mondiali del petrolio erano
decisi soprattutto da domanda e offerta quotidiane reali.
Dipendeva da
acquirenti e venditori di petrolio. Allora Goldman Sachs decise
di acquistare la piccola intermediaria in materie prime di Wall Street
J. Aron, guardando al traffico di petrolio scambiato sui mercati
mondiali. Fu l’avvento del “petrolio di carta”, negoziati dei contratti
futures di petrolio, indipendentemente dal commercio del greggio fisico,
più facile per le grandi banche da manipolare secondo voci e derivati
ingannevoli sul mercato, essendo una manciata di banche di Wall Street a
dominare i futures sul petrolio, e sapendo chi deteneva quali
posizioni, un conveniente ruolo da insider raramente menzionato dalle
società educate. Iniziò la trasformazione del commercio del petrolio in
un casinò dove Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP MorganChase
e poche altre banche giganti di Wall Street mandarono in rovina i
corsi.
All’indomani dell’aumento del prezzo del petrolio OPEC, nel 1973,
di circa il 400% nei primi mesi successivi alla guerra del Kippur
dell’ottobre 1973, il Tesoro degli Stati Uniti inviò un alto emissario a
Riyadh, in Arabia Saudita. Nel 1975, l’assistente del segretario al
Tesoro statunitense, Jack F. Bennett, fu inviato in Arabia Saudita per
garantire l’accordo con la monarchia saudita a che il petrolio dell’OPEC
venisse negoziate solo in dollari statunitensi, non in yen giapponesi o
marchi tedeschi o altro.
Bennett divenne poi alto dirigente dell’Exxon.
I sauditi ebbero maggiori garanzie ed equipaggiamenti militari in
cambio e da allora, nonostante i grandi sforzi dei Paesi importatori di
petrolio, il petrolio viene venduto sui mercati mondiali in dollari ed
il prezzo è fissato da Wall Street tramite il controllo delle borse dei
derivati futures, come Intercontinental Exchange o ICE di Londra, la borsa sullo scambio delle merci NYMEX di New York, o il Dubai Mercantile Exchange, punti di riferimento dei prezzi del greggio arabo e tutti di proprietà di un gruppo affiatato di banche di Wall Street, Goldman Sachs, JP MorganChase, Citigroup e altre. L’allora segretario di Stato Henry Kissinger avrebbe dichiarato: “Se si controlla il petrolio, è possibile controllare intere nazioni“. Il petrolio era al centro del sistema del dollaro dal 1945.
L’importanza del punto di riferimento russo
Oggi i prezzi delle esportazioni di petrolio russo sono decisi dal prezzo del Brent quotato a Londra e New York. Con il lancio della borsa della Russia, si avrà un cambiamento probabilmente molto drammatico. I nuovi contratti sul greggio russo in rubli, e non dollari, saranno negoziati dalla International Mercantile Exchange di San Pietroburgo (SPIMEX). Il contratto di riferimento Brent sono utilizzati attualmente per il prezzo non solo del greggio russo, ma anche per decidere il prezzo di oltre due terzi del petrolio sul mercato internazionale. Il problema è che la produzione del Mare del Nord della miscela Brent è calata oggi a soli 1 milione di barili, fissando il prezzo del 67% del petrolio internazionalmente scambiato. I contratti sul petrolio in rubli russi potrebbero intaccare notevolmente la domanda di dollari, una volta accettati.
Oggi i prezzi delle esportazioni di petrolio russo sono decisi dal prezzo del Brent quotato a Londra e New York. Con il lancio della borsa della Russia, si avrà un cambiamento probabilmente molto drammatico. I nuovi contratti sul greggio russo in rubli, e non dollari, saranno negoziati dalla International Mercantile Exchange di San Pietroburgo (SPIMEX). Il contratto di riferimento Brent sono utilizzati attualmente per il prezzo non solo del greggio russo, ma anche per decidere il prezzo di oltre due terzi del petrolio sul mercato internazionale. Il problema è che la produzione del Mare del Nord della miscela Brent è calata oggi a soli 1 milione di barili, fissando il prezzo del 67% del petrolio internazionalmente scambiato. I contratti sul petrolio in rubli russi potrebbero intaccare notevolmente la domanda di dollari, una volta accettati.
La Russia è il maggiore produttore di
petrolio del mondo, quindi la creazione di una borsa del petrolio russo,
indipendente dal dollaro, è significativa, per usare un eufemismo. Nel
2013 la Russia ha prodotto 10,5 milioni di barili al giorno, un po’ più
dell’Arabia Saudita. Poiché il gas naturale è utilizzato principalmente
in Russia, il 75% del petrolio può essere esportato. L’Europa è di gran
lunga il principale cliente del petrolio della Russia, acquistando 3,5
milioni di barili al giorno o l’80% del totale delle esportazioni
petrolifere russe.
La miscela degli Urali, una miscela di varietà di
petrolio russo, è il principale tipo di petrolio esportato dalla Russia.
I principali clienti europei sono Germania, Paesi Bassi e Polonia.
Mettendo in prospettiva la mossa della Russia, gli altri grandi
fornitori di greggio dell’Europa, Arabia Saudita (890000 barili al
giorno), Nigeria (810000 barili al giorno), Kazakistan (580000 barili al
giorno) e Libia (560000 barili al giorno), sono molto indietro rispetto
alla Russia. Inoltre, la produzione nazionale di greggio in Europa è in
rapido declino. La produzione di petrolio dell’Europa è scesa appena
sotto i 3 Mb/g nel 2013, a seguito del costante calo nel Mare del Nord,
base del parametro di riferimento del Brent.
La fine dell’egemonia del dollaro è un bene per gli Stati Uniti
La mossa russa sul prezzo in rubli delle grandi esportazioni di petrolio sui mercati mondiali, in particolare l’Europa occidentale, e sempre più verso Cina e Asia attraverso l’oleodotto ESPO e altre vie, con la nuova borsa del petrolio russo International Mercantile Exchange di San Pietroburgo, non è l’unica grande mossa per ridurre la dipendenza dei Paesi dal dollaro sul petrolio. All’inizio del prossimo anno, la Cina, secondo maggiore importatore di petrolio al mondo, prevede di lanciare il proprio contratto di riferimento petrolifero. Come i russi, il punto di riferimento della Cina sarà denominato in yuan cinesi, e non in dollari, e sarà negoziata dall’International Energy Exchange di Shanghai. Passo dopo passo, Russia, Cina e altre economie emergenti adottano misure per ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense, la “de-dollarizzazione”.
La mossa russa sul prezzo in rubli delle grandi esportazioni di petrolio sui mercati mondiali, in particolare l’Europa occidentale, e sempre più verso Cina e Asia attraverso l’oleodotto ESPO e altre vie, con la nuova borsa del petrolio russo International Mercantile Exchange di San Pietroburgo, non è l’unica grande mossa per ridurre la dipendenza dei Paesi dal dollaro sul petrolio. All’inizio del prossimo anno, la Cina, secondo maggiore importatore di petrolio al mondo, prevede di lanciare il proprio contratto di riferimento petrolifero. Come i russi, il punto di riferimento della Cina sarà denominato in yuan cinesi, e non in dollari, e sarà negoziata dall’International Energy Exchange di Shanghai. Passo dopo passo, Russia, Cina e altre economie emergenti adottano misure per ridurre la dipendenza dal dollaro statunitense, la “de-dollarizzazione”.
Il petrolio è il maggiore prodotto commerciato al
mondo e quasi interamente in dollari. Se alla fine sarà così, la
capacità del complesso militare-industriale degli Stati Uniti di
finanziare guerre infinite sarà nei guai. Forse aprirà alcune porte a
idee più tranquille, come spendere i dollari dei contribuenti per la
ricostruzione delle terribilmente deteriorate infrastrutture economiche
basilari degli USA. L’American Society of Civil Engineers nel
2013 stimava in 3600 miliardi di dollari di investimenti necessari per
le infrastrutture degli Stati Uniti nei prossimi cinque anni. Indicava
che un ponte su 9 negli USA, più di 70000, è deficitario.
Quasi un terzo
delle strade principali degli Stati Uniti sono in cattive condizioni.
Solo 2 dei 14 principali porti della costa orientale possono accogliere
le supernavi da carico che presto attraverseranno il Canale di Panama
recentemente ampliato. Vi sono oltre 14000 miglia di ferrovie ad alta
velocità nel mondo, ma alcuna negli Stati Uniti. Questo tipo di spesa
per le infrastrutture sarebbe fonte economica di gran lunga più
vantaggiosa in posti di lavoro e gettito fiscale reale negli Stati
Uniti, delle guerre infinite di John McCain. Gli investimenti in
infrastrutture, come visto nei precedenti articoli, hanno effetto
moltiplicatore creando nuovi mercati.
Le infrastrutture creano
efficienza economica ed entrate fiscali pari a 11 per ogni dollaro
investito per rendere più efficiente l’economia. Un drammatico declino
del ruolo del dollaro come valuta di riserva mondiale, assieme a una
ridefinizione nazionale di tipo russo, della ricostruzione economica
interna statunitense, piuttosto che l’esternalizzazione, sarebbe un modo
notevole di riequilibrare un mondo impazzito con la guerra.
Paradossalmente, la de-dollarizzazione, negando a Washington la capacità
di finanziare guerre future con l’investimento nel debito del Tesoro
USA da parte di acquirenti di obbligazioni cinesi, russi e altri,
sarebbe un prezioso contributo alla pace mondiale. Non sarebbe un bel
cambiamento?
F. William Engdahl New Eastern Outlook 9/01/2016
F. William Engdahl
è consulente di rischio strategico e docente, laureato in Scienze
Politiche all’Università di Princeton, è autore di best-seller su
petrolio e geopolitica, in esclusiva per la rivista online “New Eastern Outlook“.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
https://aurorasito.wordpress.com/2016/01/10/la-russia-spezza-il-monopolio-di-wall-street-sul-prezzo-del-petrolio/
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