I composti
perfluoroalchilici (PFAS) sono molecole artificiali che non esistono in natura e
sono un sottogruppo dei composti fluorurati.
Appartengono a una più vasta categoria che comprende un numero enorme di molecole accomunate dalla proprietà di contenere almeno un atomo di fluoro ma dotate di numerose proprietà chimico-fisiche, spesso diverse fra di loro.
Nei PFAS tutti gli atomi d’idrogeno legati agli atomi di carbonio sono stati sostituiti da atomi di fluoro. I membri più noti della famiglia dei PFAS sono il PFOS e il PFOA.
Le principali caratteristiche chimico-fisiche di queste sostanze fluorurate sono la oleo e idrorepellenza, cioè non assorbono acqua, olio o grassi, e sono queste proprietà che li rendono ideali per impermeabilizzare qualsiasi materiale, dai tessuti ai contenitori per alimenti.
I PFAS possiedono dei
legami Carbonio-Fluoro molto forti e stabili tali
da renderli particolarmente resistenti all’idrolisi, alla fotolisi e alla
degradazione microbica.
Questa resistenza spiega alcune delle principali proprietà dei PFAS, tra le quali la tendenza ad accumularsi, a persistere nell’ambiente e la loro capacità di bioaccumularsi. Per questo motivo che non è prevedibile una riduzione dell’entità dell’esposizione umana ai PFAS nel prossimo futuro.
Ho chiesto lumi al dottor Vincenzo Cordiano, medico responsabile della sezione di Oncoematologia dell’Ospedale di Valdagno (VI). Uno dei primi medici a segnalare il gravissimo problema di queste sostanze, e oggi gestisce il portale www.nopops.it dedicato a tale argomento.
Dove si trovano i PFAS
nei prodotti di largo consumo?
I PFAS - assieme ai surfactanti, agli emulsionanti e ai polimeri per la cui sintesi chimica sono essenziali - sono stati ampiamente utilizzati dagli anni ’50 in numerosi prodotti e applicazioni industriali e commerciali: prodotti per la pulizia di tappeti, pavimenti e detersivi in genere; trattamenti impermeabilizzanti e/o coloranti di pelli e tessuti; come componenti inerti nei pesticidi e insetticidi.
Ulteriori impieghi sono la produzione di contenitori di alimenti (ad esempio nei fast food), pellicole fotografiche, shampoo, dentifrici, schiume antincendio, scioline, ritardanti di fiamma in vernici e solventi, cromatura dei metalli e come antidetonante nei carburanti.
I PFAS sono quindi utilizzati per la produzione di un numero imprecisato di prodotti di largo consumo, in virtù della stabilità chimica e termica, stabilità che, associata alla sua duplice natura idrofobica e lipofolica, li rende molto utili per la produzione di manufatti e merci particolarmente resistenti. In particolare il PFOA è utilizzato come composto intermedio per la produzione di politetrafluoroetilene (PTFE) o Teflon®, molto noto per le sue proprietà antiaderenti e per la sua inerzia chimica.
Un’altra
famosa applicazione è rappresentata dal Gore-Tex®, materiale resistente,
impermeabile, caratterizzato da elevata traspirabilità e biocompatibilità,
impiegato nella realizzazione di abbigliamento tecnico-sportivo e di articoli
medicali e sanitari, come protesi vascolari, valvole cardiache, fili di sutura e
in chirurgia estetica.
Il Gore-Tex® ha trovato ulteriori applicazioni nell’industria aerospaziale (rivestimento delle tute degli astronauti), nella filtrazione industriale (impianti di depurazione) come materiale isolante nella componentistica elettronica, nelle otturazioni dentali e nel filo interdentale.
I PFAS possono contaminare le falde acquifere o le acque superficiali utilizzate per l'alimentazione umana provenendo da fonti diverse. Oltre che dai siti di produzione (nel Nord Est è la sola Miteni di Trissino a produrli) e di utilizzo (principalmente industrie tessili e conciarie), altre fonti di inquinamento ambientale sono: gli impianti di trattamento dei rifiuti (domestici, urbani, industriali) o quelli smaltimento delle acque di scolo stradali e piovane; le schiume antincendio che rimangono nell’ambiente dopo l’uso; l'applicazione sul suolo agricolo di ammendanti ricavati dal trattamento di reflui fognari urbani, dal biodigestato delle centrali a biomasse o da rifiuti industriali contaminati.
Dove si trovano i PFAS
nel sangue e nei tessuti animali e umani?
I PFAS sono ormai onnipresenti nell’ambiente, nella flora e nella fauna selvatica e anche negli esseri umani. Sono stati trovati in tutte le specie animali studiate, anche negli orsi polari e nel sangue degli eschimesi.
I PFAS sono ormai onnipresenti nell’ambiente, nella flora e nella fauna selvatica e anche negli esseri umani. Sono stati trovati in tutte le specie animali studiate, anche negli orsi polari e nel sangue degli eschimesi.
I risultati pubblicati dimostrano l’assorbimento dei PFAS mediante una o più vie (orale, respiratoria e dermica) sia nell’uomo che negli animali.
L’assorbimento richiede il trasporto attraverso l’intestino, i polmoni e la cute. Negli esseri umani i PFAS si distribuiscono principalmente nel fegato e nel sangue, ma sono stati anche identificati nel sangue del cordone ombelicale e nel latte materno.
Pertanto i neonati nascono già con la loro dotazione di PFAS (e molte altre sostanze chimiche cancerogene e tossiche), alle quali sono stati esposti fin dal concepimento e prima di nascere.
Come siamo messi in
Veneto?
L’Istituto Superiore di Sanità, con la nota 7 giugno 2013 n. 0022264 ("Ritrovamento di sostanze perfluorate nelle acque superficiali e potrabili della provincia di Vicenza. Nota del 7 giugno 2013 dell'ISS,” n.d.), pur affermando che allo stato non si configura un rischio immediato per la popolazione esposta, in virtù del principio di precauzione, ravvisò l’opportunità e l’urgenza di adottare misure di mitigazione dei rischi per la salute umana, tra le quali:
L’Istituto Superiore di Sanità, con la nota 7 giugno 2013 n. 0022264 ("Ritrovamento di sostanze perfluorate nelle acque superficiali e potrabili della provincia di Vicenza. Nota del 7 giugno 2013 dell'ISS,” n.d.), pur affermando che allo stato non si configura un rischio immediato per la popolazione esposta, in virtù del principio di precauzione, ravvisò l’opportunità e l’urgenza di adottare misure di mitigazione dei rischi per la salute umana, tra le quali:
a) nel breve periodo,
l’adozione di approvvigionamenti alternativi o l’abbattimento delle
concentrazioni degli analiti presenti;
b) nel medio-lungo
periodo, la rimozione delle fonti di pressione e dell’origine della
contaminazione.
Il 18 luglio 2013, la
Regione Veneto, protocollo 308045
(“Istituzione
Commissione per valutazione PFAS nelle acque potabili e nelle acque superficiali
della provincia di Vicenza e comuni limitrofi. DGR Veneto n.1490 12/8/2013,”
n.d.) comunicò di
aver avviato una serie di azioni concordate con altre istituzioni “..al fine di
garantire la riduzione nell’immediato del potenziale rischio per la
popolazione”, fra le quali l’applicazione di filtri a carbone attivo, la
chiusura dei pozzi maggiormente contaminati in numerosi comuni della provincia
di Vicenza, il ricorso a fonti di approvvigionamento idrico alternativo.
Le soluzioni finora attuate hanno consentito di ridurre, in qualche comune anche significativamente, le concentrazioni di PFAS nelle acque fornite dagli acquedotti, ma si sono dimostrate sostanzialmente inefficaci. Le rilevazioni ARPAV dimostrano come, soprattutto nel caso dei PFAS a corta catena, le concentrazioni stanno progressivamente aumentando sia perché queste piccole molecole sono scarsamente trattenute dai filtri, sia perché la loro produzione e immissione nell’ambiente è in continuo aumento. Infatti l’industria non ha trovato finora alternative altrettanto valide ed economiche ai PFAS a lunga catena che non siano PFAS di minori dimensioni che, tuttavia, sono dotati delle stesse proprietà di persistenza nell’ambiente, della stessa capacità di bioaccumulo nei tessuti animali e umani e nella flora e fauna selvatica nonché, molto probabilmente della sessa tossicità.
Le autorità regionali non
hanno comunque adottato le stesse misure precauzionali attuate per esempio in
Germania in un caso di contaminazione delle falde acquifere e della catena
alimentare, per esempio il divieto di somministrare acqua potabile contenente
più di 500 nanogrammi per litro alle donne in età fertile e ai bambini sotto i
tre anni. Il nanogrammo corrisponde al milionesimo di grammo, ad attestare
l’estrema pericolosità di queste sostanze che sono tossiche anche in
concentrazioni infinitesimali.
Recentemente è stata documentata la presenza dei PFAS in pesci pescati a Creazzo (VI) e in altri campioni di alimenti (carni animali) ortaggi prodotti nelle zone venete contaminate, a dimostrazione dell’avvenuta contaminazione della catena alimentare veneta. Il 15% circa dei campioni esaminati è risultato positivo per i PFAS. Nei pesci e nelle uova di gallina esaminate sono state riscontrate quantità elevatissime, di gran lunga superiori alla media europea.
I dati ARPAV evidenziano
come i PFAS siano presenti nelle falde acquifere di gran parte del territorio
Veneto, in tutte le tranne quella di Belluno. Vedi la mappa che ho preparato
https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zhoc9nMR20HE.krBRIw4nOq-c
https://www.google.com/maps/d/viewer?mid=zhoc9nMR20HE.krBRIw4nOq-c
Cosa provocano alla
salute di uomini e bambini?
Queste sostanze sono classificate come cancerogene di classe 2b e hanno attività di interferenti endocrini. Cancerogeni di classe 2b significa che sono sicuramente cancerogeni per gli animali e possibilmente per gli uomini. Possibilmente perché i dati disponibili non sono sufficienti per i pochi studi condotti. Servono urgengemente studi.
Queste sostanze sono classificate come cancerogene di classe 2b e hanno attività di interferenti endocrini. Cancerogeni di classe 2b significa che sono sicuramente cancerogeni per gli animali e possibilmente per gli uomini. Possibilmente perché i dati disponibili non sono sufficienti per i pochi studi condotti. Servono urgengemente studi.
La regione veneto potrebbe condurre uno studio con scarso utilizzo di risorse umane ed economiche, semplicemente pubblicando i dati relativi alla mortalità per le malattie tumorali e per quelle non tumorali che si sospetta siano causate dai PFAS e i dati sull’incidenza di tumori posseduti dal registro tumori del veneto. Ma non cìè la volontà politica di pubblicare questi dati evidentemente.
Uno studio del genere è
stato compiuto dalla sezione ISDE di Vicenza in collaborazione con esperti
dell’istituto tumori di Milano e dell’ENEA. Semplicemente incrociando i dati
relativi alla dichiarazione di morte secondo le schede ISTAT (che ogni medico
deve compilare al momento del decesso di ogni suo assistito) con quelli
dell’ARAPV relativi alle concentrazioni dei PFAS nelle acque potabili di 21
comuni del Veneto. Lo studio ha evidenziato un eccesso di mortalità negli anni
1980-2010 per diabete, infarto, linfomi ed altre malattie nei comuni con livelli
di PFAS superiori a 500 ng/L (Montagnana, Bagnolo di Po, Bonavigo, Bevilacqua,
Albaredo D'Adige, Cologna Veneta, Minerbe, Agugliaro, Sarego, Lonigo, Pojana
Maggiore, Cartigliano, Casale sul Sile) rispetto a quelli con PFAS uguali a
zero. Casualmente, ma non troppo, quasi tutti questi comuni sono compresi nella
lista, recentemente pubblicata con delibera 1517 del 29 ottobre dalla regione
veneto, dei comuni nelle cui acque potabili le concentrazioni di PFAS permangono
oltre i limiti permessi nonostante i provvedimenti adottati.
Per quanto riguarda le
conseguenze sulla salute gli effetti tossici più frequentemente osservati sono:
la restrizione della crescita fetale (o basso peso alla nascita) che è stata
concordemente dimostrata sia negli animali che nell’uomo; alcuni tumori (cancro
del rene, della prostata, della mammella, della vescica, linfomi e leucemie);
diabete; aumento del colesterolo e sue conseguenze (ictus cerebrale, infarto
cardiaco), ipertensione arteriosa, aumento dell’acido urico, colite ulcerosa,
malattie della tiroide; riduzione degli spermatozoi nel maschio, infertilità
maschile e femminile Per altre malattie come demenza di Alzheimer, morbo di
Parkinson i dati sono molto scarsi, ma nello studio di ISDE Vicenza di cui sopra
è stato osservato un aumento anche di tali malattie. Un dato molto interessante
(e preoccupante se fosse confermato) è il notevole aumento dell’incidenza del
cancro della mammella nei maschi, a conferma dell’attività di interferenza
endocrina dei pFAS. Il cancro mammario maschile è molto raro ma i tre casi
osservati nei comuni ad alta contaminazione di pfas contro nessuno dei comuni
non contaminati induce a riflettere sulle possibili disastrose conseguenze
derivanti dall’esposizione continua ai PFAS.
Anche per questo invito
tutti a partecipare all’indagine epidemiologica on line e a rispondere alle
domande del sondaggio
http://www.nopops.it/indagine-epidemiologica-on-line-sulle-malattia-da-inquinanti-ambientali-persistenti/
http://www.nopops.it/indagine-epidemiologica-on-line-sulle-malattia-da-inquinanti-ambientali-persistenti/
Per farsi un’idea delle
domande che vengono poste si può visionare il video
https://youtu.be/aomAD8eUHvM
Sarebbe molto
gradito anche un contributo finanziario vedi
http://buonacausa.org/cause/indagine-epidemiologica-sulle-malattie-da-inquinantin
Marcello Pamio
Nessun commento:
Posta un commento