Spesso le persone che incontro mi domandano: “Quali
libri mi consigli? Cosa posso leggere per capire la realtà che mi
circonda, per crescere e formarmi, per non cadere negli inganni
quotidiani?”.
La
domanda è importante, perché i libri creano: valori, ideologie,
pregiudizi, stereotipi, aiutano a crescere o fanatizzano. Proprio per
questa loro fondamentale funzione il settore è, da sempre, tra i più
“controllati” e “manipolati”.
Ad esempio, come ho evidenziato nel mio libro Psyops, in Italia ed Europa, sin dalla fine della seconda guerra mondiale, era attiva l’Education Board for Europa of Uno:
un’organizzazione americana per la “rieducazione” dei popoli d’Europa
che, attraverso sussidi a società culturali, Università, Accademie,
scambi di studenti e distribuzione di borse di studio, puntava a
modificare l’insegnamento e i testi scolastici (unificazione
dell’insegnamento della storia, unificazione dei libri scolastici in
Europa).[1]
Obiettivi
non erano, però, solo la scuola e le Università, ma ogni settore della
cultura del paese: libri, giornali, programmi teatrali, pellicole
cinematografiche, mostre, programmi radiofonici, televisivi, ecc. Tutto
veniva controllato, selezionato e approvato dagli operatori di guerra
psicologica prima di giungere sulla nostra penisola con il preciso scopo
di condizionare le idee e le emozioni del popolo italiano ed europeo.[2]
Braccio armato di questa manipolazione della cultura sono gli intellettuali (professori, scrittori, giornalisti, docenti universitari, artisti, uomini di Chiesa, ecc.) che, in alcuni casi, come veri e propri “cattivi maestri” accompagnano la mente di molti in una “discesa verso l’inferno”. La storia ci insegna, infatti, come le più grandi tragedie abbiano avuto come substrato proprio quella che possiamo definire “cattiva letteratura”.
La modalità con cui hanno operato, ed operano, questi “cattivi maestri”
- uomini disposti a tutto pur di servire, consapevolmente o
inconsapevolmente, per interesse personale il Principe - sono
state, e sono, diverse: in alcuni casi possono esaltare una ideologia
per creare una visione condivisa; in altri possono operare per
diffondere e adattare un’ideologia estranea a un paese “innestandola”
sul contesto culturale che gli è proprio utilizzando la storia, i miti
ed i simboli che appartengono alla nazione da condizionare; in altri
ancora possono addirittura arrivare a reinterpretare o fabbricazione i
miti caratteristici della storia di quel paese[3].
Uomini
di Chiesa ed intellettuali furono, ad esempio, fondamentali nello
sviluppo della persecuzione nel Medioevo fornendo una dotta definizione
di chi erano i nemici (a seconda del momento: gli eretici, gli ebrei i
lebbrosi, streghe, i catari, ecc.).
“Attraverso questi diversi periodi di esclusione, di messa al bando, di torture di condanne a morte, il sapere e la fede vengono utilizzati per insediare diverse forme di potere politico o religioso sull’insieme della popolazione”[4].
Ma se questi sono i disastri che causa la cattiva letteratura, vi è
anche, seppur poco o nulla pubblicizzata ed in alcuni casi reperibile
solo in lingua straniera, anche una buona letteratura, libri in grado di
formare ed informare correttamente, di accrescere la consapevolezza, di
aiutarci ad essere migliori.
Ecco perché inizio oggi una sorta di rubrica in cui, di volta in
volta, presenterò dei libri che, per me, sono stati fondamentali per
capire e crescere.
Il libro che desidero consigliare oggi è quello di Jacques Sèmelin:
Libro
fondamentale per capire gli usi politici della violenza, che
costituisce un’indispensabile strumento di conoscenza e, insieme,
l’invocazione di una esigenza etica di vigilanza, di comprensione, di
azione.
Un libro nel quale ho trovato l’immagine più efficace della propaganda
- rappresentata come un albero velenoso, i cui i rami e le fronde sono
come i principali operatori - e che qui riporto:
«Il primo di questi operatori – potremmo dire quello cui attraverso cui tutto accade – è la strumentalizzazione di un passato di comune sofferenza, di un trauma collettivo: quello della Prima guerra mondiale per i nazisti, della Seconda guerra mondiale per i nazionalisti serbi, del dominio della monarchia tutsi per gli estremisti Hutu. Si tratta di uno dei procedimenti più efficaci per risvegliare il risentimento e la paura di un popolo manipolando la sua memoria. E su questo terreno della sventura trascorsa che cresce l’albero velenoso della propaganda.
Da esso si sviluppano due rami principali che ne determinano l’ampiezza. Il primo è costituito da un principio pressoché eterno, quello della grandezza e della purezza del nostro popolo che, sia ben chiaro, non è disposto a sopportare mai più umiliazioni di tal genere. “Non gli consentiremo che questo accada ancora una volta, non è vero?” Ad esso si aggiunge, parallelamente, il ramo della demonizzazione di quell’«Altro» che genera tutte le sventure del nostro popolo: “È da LORO che provengono tutti i nostri mali. Non possiamo fidarci di LORO. Questa gente non è come NOI”.
Da questi due rami principali ne spuntano altri molto minacciosi. Uno sostiene l’accusa di tradimento verso quelli che, tra di noi, rifiutano di seguirci. Si tratta di antipatrioti, di potenziali traditori. Attenzione traditori di questo tipo possono nascondersi tra i nostri vicini. L’altro ramo regge la terribile accusa di “complotto” rivolta contro questo «Altro» così diverso da noi. Infatti, “questa gente prepara la nostra rovina. Non ce ne si rende conto abbastanza ma, come sapete, sono molto potenti. Che siano fra noi, oppure che si trovino all’estero, il loro scopo è, in tutto e per tutto, quello di distruggerci”.
Vengono poi le fronde che rivestono i rami, diversi atteggiamenti emozionali che mirano a rendere un po’ più credibile questa minaccia. Una di queste fronde, particolarmente fitta, procede dalla manipolazione delle dicerie: “Sapete che in Kosovo gli albanesi non esitano a violentare le nostre donne e profanare i nostri cimiteri”. Voce che circola in tutte le società contro un gruppo che viene percepito come minaccioso. Ma la caratteristica specifica della propaganda è quella di attingere a tale serbatoio di voci (o di inventarle) per trasformarle in “notizie”.
Così dall’oggi al domani queste voci si ritrovano in prima pagina o al telegiornale della sera. Come per caso esse vertono sulla sessualità, sul sacro, sulla filiazione, insomma quello che c’è di più intimo. Un altra fronda, terribilmente efficace per far aumentare l’angoscia, è quella dell’accusa di atrocità che potrebbe sicuramente annunciare una risposta speculare: “Sapete che sono veri e propri assassini, che non esitano a commettere i più atroci delitti; vale a dire: bruciare i nostri bambini”. Quali sono infatti i crimini più odiosi, se non quelli che hanno per vittime degli innocenti? “Presto o tardi, ci vendicheremo!”
Da qualche parte in questo albero, forse sulla cima, troveremo anche la fronda della riduzione allo stato animale: coloro che vengono accusati di tali crimini non sono più esseri umani. Si tratta di animali che non meritano più il nostro rispetto. E un po’ dappertutto, quasi ad inglobare l’albero intero, si staglia la fronda della grossolanità delle parole e delle immagini con cui i nemici sono dipinti. Questo albero produce si frutti, ma velenosi.
Questi frutti dell’odio, tutti ripugnanti, sono le diverse figure del nemico. Lo sviluppo di tale propaganda, coniugato con l’allestimento dell’apparato politico che lo sostiene, esercita inevitabilmente una influenza notevole sia nella vita pubblica che in quella quotidiana del paese. Per mezzo di questa propaganda, il potere legittima la propria azione e giustifica le misure contro i suoi nemici interni»[5].
Solange Manfredi
[1] Aldo Sabino Giannuli, CTU Archivio Campari, Gli Alleati e l’evoluzione politica del primo dopoguerra: le origini del servizio parallelo, pg. 22. Nel mio libro Psyops, pg. 147.
[2] Nel mio libro Psyops, pg. 148.
[3] Cfr. Jacques Semelin, Purificare e distruggere
[4] Ibidem
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