La conoscenza iniziatica, misterica, allude ad una realizzazione
interiore e non ad un sapere teorico. E’ il risultato di un lavoro e non
il frutto di letture. Per usare un’immagine, è il viaggio e non la
mappa del territorio. “Post Laborem Scientia” ripetevano gli alchimisti.
Non accade lo stesso oggi. La maggior parte dello scenario ermetico attuale, infatti, appare sempre più frammentato in gruppi, conventicole e “parrocchie” di ogni tipo. Fa sorridere come ogni novello praticante si elegga subito a maestro, allestendo così sistematicamente una nuova, ennesima struttura.
Questa Conoscenza dunque, per sua stessa intrinseca natura non può in
alcun modo essere profanata, perché si tutela da se stessa. Parlarne la
copre di un nuovo velo, che richiede uno sforzo intuitivo per essere
sollevato.
È necessario, però, che la parola risuoni in chi l’ascolta, che trovi una corrispondenza, affinché il processo possa mettersi in moto senza rimanere una mera astrazione concettuale. La verità iniziatica, così come la pratica operativa, si rivela a chi può intuirla; come per i simboli, ciascuno ne comprende solo ciò che il proprio grado di risveglio interiore gli permette di intuire.
Ecco cosa rispondeva Evola a Guido de Giorgio (Havismat), che voleva far cessare la pubblicazione dei fascicoli, nelle glosse varie (“Il maestro, la magia ed il canto”) del quarto capitolo del secondo volume di Ur:
È necessario, però, che la parola risuoni in chi l’ascolta, che trovi una corrispondenza, affinché il processo possa mettersi in moto senza rimanere una mera astrazione concettuale. La verità iniziatica, così come la pratica operativa, si rivela a chi può intuirla; come per i simboli, ciascuno ne comprende solo ciò che il proprio grado di risveglio interiore gli permette di intuire.
La Conoscenza è sempre una conquista personale: questo vuol dire che la
verità si “difende” da sé, poiché non ha bisogno di paladini. Va bene
inteso, però, che parlare di certi temi non ha niente a che vedere con
il chiacchiericcio fine a sé stesso. Certe conoscenze, riferendosi a ben
precise esperienze interiori, non possono essere rese altrimenti che
attraverso “immagini”, mancando la parole adatte per esprimerle.
Come diceva un vecchio Ermetista, “Colui che invoca il segreto è il più
sicuro custode di esso, poiché in realtà non ne sa nulla” ...
Ecco cosa rispondeva Evola a Guido de Giorgio (Havismat), che voleva far cessare la pubblicazione dei fascicoli, nelle glosse varie (“Il maestro, la magia ed il canto”) del quarto capitolo del secondo volume di Ur:
“Quanto all’assurdo relativo al parlare di magia, o iniziazione, in scritti alla portata di tutti, esso, in fondo, è relativo perché, anche con la migliore volontà, scritti del genere non saranno mai alla portata di tutti. Se mai, quando è della divulgazione dei metodi di una magia applicata che si tratta, la questione, posta da alcuni concerne l’opportunità e la pericolosità in ordine ai pochi – anche in questo campo si tratta sempre di pochi – che possono metterli davvero in azione, non avendone saputo prima. Ma ciò rientra in un campo di semplice responsabilità personale né più né meno che ognuno può fare già di un’arma da fuoco o di un tossico”.
Invocare il “segreto”, dal nostro punto di vista è, nella maggior parte
dei casi, solo un alibi per non entrare nello specifico delle
questioni, trincerandosi nel tentativo di difendere la propria
“parrocchia”.
Dove sono, oggi, i collegi sacerdotali? Dove le sedi dei Misteri? Dove le regolarità iniziatiche? Attraverso questa via si entra solo nel campo dell’autoreferenzialità, delle bolle e dei “testamenti”, che nulla hanno a che vedere con la trasmissione iniziatica, e si finisce con l’impelagarsi nelle sterili ed infinite discussioni che appassionano i borghesi dell’esoterismo.
Dove sono, oggi, i collegi sacerdotali? Dove le sedi dei Misteri? Dove le regolarità iniziatiche? Attraverso questa via si entra solo nel campo dell’autoreferenzialità, delle bolle e dei “testamenti”, che nulla hanno a che vedere con la trasmissione iniziatica, e si finisce con l’impelagarsi nelle sterili ed infinite discussioni che appassionano i borghesi dell’esoterismo.
Chi il profano? Chi l’Iniziato? Chi può oggi
arrogarsi il diritto di stabilire chi sia l’uno o l’altro? Con chi
parlare e con chi non farlo? I tempi ultimi sono quelli in cui tutto si
confonde, in cui le “caste” si mescolano, in cui l’oro si nasconde nel
piombo e la perla preziosa nel fango; sono i tempi in cui, se non si fa
attenzione, è forte il rischio di scartare tra le pietre comuni anche la
testata d’angolo. Non possiamo mai conoscere la reale natura interiore
di chi abbiamo di fronte. Come nel romanzo di Malory, la stirpe regale
di Artù non era a tutti nota. Bisogna che si comprenda come fare i conti
col proprio tempo poiché, che ci piaccia o no, siamo oggi nell’epoca
dell’individuo, nella quale ciascuno deve imparare ad essere giudice di
se stesso.
Chi segue un cammino iniziatico, d’altra parte, sa che nei momenti di
crisi, quando sale la marea, è necessario che le porte del santuario
segreto si aprano: a cosa serve arroccarsi nel proprio sapere mentre la
nave affonda?
Se un tempo la Conoscenza iniziatica veniva tutelata attraverso la
riservatezza, oggi, con l’informazione massiva che attraverso la rete
permette l’accesso ad ogni tipo di conoscenza, bisogna fare esattamente
il contrario. Diventa quindi necessario indicare un filo d’Arianna che
permetta al cercatore sincero di non smarrirsi nel labirinto e di non
cadere vittima del sensazionalismo mistico della new age.
Questo “filo” consiste nella conoscenza di
sé. Niente a che vedere però con la moderna psicologia; intendiamo
alludere piuttosto al processo “scientifico” che porta ciascuno di noi a
sperimentare, impersonalmente, la natura, le facoltà e per così dire la
chimica della nostra Anima. Come ci suggerisce l’immagine del serpente
che si morde la coda, si tratta di volgere completamente la propria
attenzione dentro di sé, di penetrare nelle profondità del proprio io
per sollevare il velo che ci nasconde il mistero della nostra origine.
Julius Evola introduce le monografie di Ur con queste parole:
Julius Evola introduce le monografie di Ur con queste parole:
“Nella vita di alcuni uomini vi sono momenti, in cui essi sentono vacillare tutte le loro certezze, venir meno tutte le loro luci, tacere le voci delle passioni e degli affetti e di quanto altro animava e muoveva la loro esistenza. Ricondotto al proprio centro, l’individuo avverte allora a nudo il problema di ogni problema: chi sono io? Sorge allora, quasi sempre, anche il senso che tutto ciò che si fa non solo nella vita ordinaria, ma altresì nel campo della cultura, in fondo serve solo per distrarsi, per crearsi la parvenza di uno scopo, per avere qualcosa che permetta di non pensare profondamente, per velare a se stessi l’oscurità centrale e per sottrarsi all’angoscia esistenziale. In alcuni casi una crisi del genere può avere un esito catastrofico (…) Altri, però, tengono fermo. Qualcosa di nuovo e di irrevocabile si è determinato nella loro vita. Intendono spezzare il circolo chiusosi attorno a loro. Essi si staccano dalle fedi, si staccano dalle speranze. Vogliono dissipare la nebbia, aprirsi una via. Conoscenza di sé, ed in sé, dell’Essere – ciò, essi cercano”.
A chi guarda con attenzione non sfuggirà che i tempi in cui ci troviamo a
vivere, caratterizzati dalla perdita di ogni superiore punto di
riferimento, sono particolarmente propizi per sperimentare questa crisi
interiore e prendere coscienza di sé; l’umanità sta affrontando la
propria “opera al nero”, e non bisogna dimenticare che QUANDO CRESCE IL
PERICOLO CRESCE ANCHE CIO’ CHE SALVA. Può perciò accadere proprio in
questi tempi che nell’Uomo, che magari non ha mai letto Evola o Kremmerz
e che non sa nulla della Tradizione, si affacci prepotente l’esigenza
di destarsi dal torpore del vivere quotidiano.
Viviamo costantemente sul
“filo del rasoio”: da una parte il cieco materialismo e dall’altra
l’astratto spiritualismo; ma il pericolo di precipitare desta per alcuni
attimi la nostra coscienza. La condizione che un tempo si costruiva
attraverso un lungo processo iniziatico, e che conduceva il discepolo a
sperimentare l’oscurità della morte, viene oggi esperita dall’Uomo nella
sua vita quotidiana.
Si tratta di lampi, di squarci fugaci, che bisogna avere il coraggio di
afferrare al volo per poi usarli come punti di partenza del proprio
cammino.
Si deve comprendere che CIO’ CHE UCCIDE E’ LO STESSO DI CIO’ CHE SALVA;
perciò, invece di cercarsi dei supporti esistenziali per sfuggire alla
crisi interiore, bisogna trovare la fermezza necessaria per attraversare
il deserto e trasmutare il veleno in farmaco. Una Via eroica,
indubbiamente, ma la sola che si addica ai tempi ultimi. Dietro
l’angoscia, la depressione, il mal di vivere, che caratterizzano la
nostra epoca più di ogni altra, si nasconde sempre la stessa domanda:
chi sono io? Ecco l’interrogativo pressante a cui occorre trovare una
risposta senza intellettualismi, quanto, piuttosto, con la pratica. Per
questo invece di volgere l’attenzione al passato, è indispensabile una
più profonda comprensione dei tempi in cui viviamo. Ecco perché è
necessario parlare, oggi più che mai. Conoscere se stessi, significa
trasmutarsi.
In un film che nulla ha a che fare con i nostri studi, il protagonista ad un certo punto della vicenda afferma: “Mi sono reso conto che cercare dio era solo un’altra scusa per non cercare me stesso”. Senza voler urtare la sensibilità religiosa di alcuno, questa ci sembra una questione estremamente importante. La mentalità scientifica, infatti, fa sì che all’Uomo non basti più credere. Cosa possiamo saperne noi del “di là”, se prima non conosciamo il mistero della nostra stessa anima? Quale certezza possiamo avere della conoscenza umana, se prima non conosciamo questa conoscenza stessa e la natura profonda dello strumento attraverso cui questa si compie?
In tutti i nostri interventi, così come negli incontri pubblici, abbiamo sempre messo al centro il “mistero dell’Uomo”, ed abbiamo parlato dell’Iniziazione come di una vera e propria scienza dell’io, una disciplina interiore assolutamente impersonale che deve condurre l’individuo a prendere coscienza delle facoltà latenti del suo essere, indagando le radici profonde delle strutture che compongono il nostro pensiero, il nostro sentire, la nostra volontà. L’ermetismo non ha niente a che vedere con il dogmatismo religioso; questi due aspetti un tempo camminavano insieme, ma oggi non più, non essendo più necessario. “La nostra è una scuola di materialismo psicologico” afferma il Kremmerz, un atteggiamento rigorosamente scientifico e sperimentale, che nulla ha a che vedere con la legittima sensibilità religiosa di ciascuno. L’ultimo grande esempio di questo iter magico – sperimentale è stato, in Italia, il gruppo di Ur che, nel nome della Ricerca, riuniva praticanti provenienti da ogni percorso.
In un film che nulla ha a che fare con i nostri studi, il protagonista ad un certo punto della vicenda afferma: “Mi sono reso conto che cercare dio era solo un’altra scusa per non cercare me stesso”. Senza voler urtare la sensibilità religiosa di alcuno, questa ci sembra una questione estremamente importante. La mentalità scientifica, infatti, fa sì che all’Uomo non basti più credere. Cosa possiamo saperne noi del “di là”, se prima non conosciamo il mistero della nostra stessa anima? Quale certezza possiamo avere della conoscenza umana, se prima non conosciamo questa conoscenza stessa e la natura profonda dello strumento attraverso cui questa si compie?
In tutti i nostri interventi, così come negli incontri pubblici, abbiamo sempre messo al centro il “mistero dell’Uomo”, ed abbiamo parlato dell’Iniziazione come di una vera e propria scienza dell’io, una disciplina interiore assolutamente impersonale che deve condurre l’individuo a prendere coscienza delle facoltà latenti del suo essere, indagando le radici profonde delle strutture che compongono il nostro pensiero, il nostro sentire, la nostra volontà. L’ermetismo non ha niente a che vedere con il dogmatismo religioso; questi due aspetti un tempo camminavano insieme, ma oggi non più, non essendo più necessario. “La nostra è una scuola di materialismo psicologico” afferma il Kremmerz, un atteggiamento rigorosamente scientifico e sperimentale, che nulla ha a che vedere con la legittima sensibilità religiosa di ciascuno. L’ultimo grande esempio di questo iter magico – sperimentale è stato, in Italia, il gruppo di Ur che, nel nome della Ricerca, riuniva praticanti provenienti da ogni percorso.
Non accade lo stesso oggi. La maggior parte dello scenario ermetico attuale, infatti, appare sempre più frammentato in gruppi, conventicole e “parrocchie” di ogni tipo. Fa sorridere come ogni novello praticante si elegga subito a maestro, allestendo così sistematicamente una nuova, ennesima struttura.
Ciò rivela il dogmatismo come il “demone” più pericoloso del pensiero umano, generato dalla non conoscenza di sé.
La mancanza di un centro impone, così, la necessità di appoggiarsi ad
una forma esterna. Il primo compito del cercatore, come abbiamo più
volte sottolineato, si rivela quello di volgersi alla conquista
dell’assoluta indipendenza dello Spirito, assimilabile al vento, soffio
che anima tutte le cose. La via dell’Io non ha niente a che vedere con
il superomismo, con l’esaltazione dell’ego che aspira a possedere
l’universo dentro di sé. Novalis scrive del discepolo che, sollevato il
velo di Iside, con grande meraviglia non scopre che sé stesso,
realizzando così l’esperienza cosmica dell’Io. E’ questa la grande
intuizione dell’idealismo, apice del pensiero occidentale, che non si è
avuto il coraggio di tramutare in pratica.
“Ti apparirò come uccello, ti apparirò come sinuosa danzatrice e come ascia insanguinata. Ti apparirò come ruota, come fiamma, come dio. Ma tu non riconoscerai te stesso reso perfetto”.
Il mondo è la manifestazione del nostro Io, e per attraversare l’opera al
nero, impresa che questi tempi ci chiamano a compiere, bisogna essere
consapevoli che non ci verrà a salvare nessuno: dovremo salvarci da
soli.
Postilla: Abbiamo voluto, con queste poche righe, ribadire l’importanza
primaria che per noi riveste la pratica operativa, in quanto i social
network sono e restano esclusivamente luoghi di confronto.
fonte: www.ilcervobianco.it
Belle e profonde parole, sopratutto quelle sulla scusa di non volersi studiare, quindi, affidarsi al dogma.
RispondiEliminaJan Quarius