L’analista politico Dmitrij Drobnitzkij su come “la rete di amici” degli Stati Uniti viene gradualmente distrutta
La
politica statunitense in Medio Oriente è in grave declino. E’ argomento
comune non solo sui media mondiali, ma anche per la maggior parte degli
esperti di affari internazionali statunitensi e per i candidati alle
presidenziali degli Stati Uniti del 2016. Non è solo l’effetto delle due
grandi guerre in Afghanistan e Iraq da biasimare, ma anche la
distruzione dello Stato libico, il caos in Siria, l’incredibilmente
veloce diffusione del SIIL (le cui propaggini sono già in Pakistan e
Xinjiang in Cina) e il completo stallo del piano di pace
israelo-palestinese.
I vecchi alleati regionali degli Stati Uniti,
Israele, Turchia e Arabia Saudita sono parte del problema. Da un lato,
Washington non può togliere all’improvviso l’ombrello protettivo che
copre i suoi compari. Perché “la rete di amicizie” è la porta per
lobbisti, interscambio economico ed interessi del complesso
militare-industriale statunitense, ecc. Non può essere smontata
facilmente in uno o due anni. D’altra parte, la solida fiducia negli
Stati Uniti non c’è più, anzi è paralizzata. Non c’è fiducia solo nel
protettorato statunitense, ma neanche nei rapporti tra Washington,
Ankara, Tel Aviv e Riad.
Ciò che fu la macchina unificatasi nella realtà
della guerra fredda, oggi è un costoso, ma inutile, meccanismo della
moderna geopolitica. Ecco perché Turchia, Israele e Arabia Saudita oggi
spesso mettono gli USA davanti a una specie di fatto compiuto, fiduciosi
che la cinghia di trasmissione alleati-USA funzioni ancora. Nei suoi
anni di presidenza, Barack Obama ha fatto molto per limitare l’influenza
degli “amici” sulla sua politica estera. Quindi ecco la distensione
iraniana che, chiunque vinca le elezioni presidenziali a novembre, sarà
difficile da annullare. O almeno, non sarà come certi candidati credono.
Già nell’estate 2014 apparve che pietra miliare della campagna
elettorale repubblicana sarebbero state le posizioni anti-iraniane.
Tuttavia, alla fine dell’anno era chiaro che tutti gli sforzi dei
lobbisti sauditi ed israeliani erano inconseguenti.
Parlarono contro
l’Iran solo Jeb Bush e Marco Rubio, ancora molto distanti nella loro
corsa a candidati. Altri menzionavano l’Iran solo per criticare come
inadeguati i negoziati del presidente Obama e del segretario di Stato
John Kerry. Inoltre, almeno tre candidati repubblicani, Donald Trump,
Ted Cruz e Rand Paul dicono oggi che, ovviamente l’eliminazione dei
dittatori laici in Medio Oriente (Libia, Iraq, Egitto) ha creato
rapidamente un vuoto occupato dai radicali dell’autoproclamato
califfato. Perciò i candidati non chiedono l’immediata partenza di
Bashar al-Assad, e persino temono le terribili conseguenze della sua
rimozione dal potere. Ma la valutazione sintetica di tali candidati non
basta per una vittoria incondizionata alle primarie.
Obama e Hillary Clinton continuano il mantra “Assad deve andarsene”, ma con veemenza i loro rivali politici rispondono: “Avete creato lo SIIL”. Un accusa che può essere molto difficile da scrollarsi di dosso. Non è ancora chiaro come affrontare il califfato in Siria, Iraq e altri Paesi, soprattutto considerando il ruolo altamente discutibile di Turchia e Arabia Saudita. Tutte le polemiche sulle nazioni musulmane della regione, che dovrebbero affrontare i terroristi per conto proprio, contando solo sul supporto aereo di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia rimangono solo parole al vento. Ogni fantoccio mediorientale degli Stati Uniti invoca grandi aiuti politici e militari.
A complicare
ulteriormente la situazione è l’intensa guerra ibrida tra Iran e Arabia
Saudita in Iraq, Siria e Yemen. E dopo l’esecuzione del religioso sciita
e attivista dei diritti umani Nimr al-Nimr in Arabia Saudita, che ha
suscitato severe critiche dalla leadership politica e religiosa
dell’Iran, un conflitto militare anche diretto fra Riyadh e Teheran non
può essere del tutto escluso. Va detto che l’esecuzione di al-Nimr ha
scatenato le critiche degli Stati Uniti. Diversi articoli di
rispettabili giornali statunitensi condannavano tale dura sanzione, così
come l’estremamente nervosa e aggressiva politica estera saudita, ed
anche l’assenza di democrazia e libertà religiose, l’oppressione delle
donne, i tribunali medievali, ecc.
Nonostante l’Iran sia, al di là di
ogni dubbio, il centro spirituale dell’islam sciita e modello
alternativo (ai regni del Golfo) di Stato islamico, l’attivista sciita
per i diritti umani al-Nimr non era un agente di Teheran. Essendo molto
più dell’ayatollah della “primavera araba” dell’Iran, era ciò che è
estremamente raro e difficile trovare oggi in Siria, dell’opposizione
islamica moderata. La sua esecuzione ha innescato non solo l’escalation
del conflitto tra Arabia Saudita e Iran, ma anche l’appello “a temperare i falchi di Riyadh adottando un’impostazione più intransigente con i sauditi” o “allontanare i Paesi nervosi” dei media degli USA.
Quanto più la sensazione della ritirata degli USA prevale nella regione, più nervosa sarà Riyadh, scatenando nuova sfiducia come partner affidabile. Tuttavia, come già detto, la diffidenza è reciproca. La peggiore paura dell’Arabia Saudita (che già contempla l’arma nucleare) è cessare di essere “uno dei ragazzi” di Washington, lasciandola sola con l’Iran, ora pienamente legittimato e privo delle sanzioni internazionali. Recentemente si è verificato un evento storico. Secondo l’accordo sul bilancio, il Congresso ha revocato il divieto di esportazione del greggio dagli Stati Uniti. Forse non è la migliore notizia per la Russia, ma sicuramente colpisce la casa regnante dei Saud. Sicuramente non riguarda solo il petrolio.
Il Medio Oriente è il
luogo dove i grandi attori non progettano nulla a lungo termine, come la
base aerea di Humaymim in Siria, creazione che Putin descriveva alla
conferenza stampa: “Raccolti in due giorni, caricati sugli “Antej” e bam! E’ fatta“.
Non in due giorni, naturalmente, e neanche in due anni, ma viene
abbandonata rapidamente la storica configurazione del Medio Oriente che,
se una volta sembrava incrollabile, da ora sarà passato. E chiaramente
le elezioni statunitensi del 2016 saranno il punto di svolta.
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
Nessun commento:
Posta un commento