Pietre lunari fasulle
Nell’agosto 2009, i curatori del Rijksmuseum di Amsterdam scoprivano che
la “roccia lunare”, del valore stimato in 308.000 sterline, regalata al
primo ministro olandese Willem Drees dall’ambasciatore statunitense J.
William Middendorf II, durante la visita degli astronauti dell’Apollo 11
nel 1969, si rivelava un falso, ovvero carbone pietrificato.
Xandra van
Gelder, che supervisionò le indagini, affermò “È una bella storia, con
alcune domande ancora senza risposta. Possiamo riderne”. “È proprio una
pietra piuttosto inutile”, disse invece Frank Beunk, geologo coinvolto
nelle indagini.
La roccia era stata assicurata per circa mezzo milione
di dollari, ma il suo valore reale non supera i 70 dollari. I
ricercatori della Libera Università di Amsterdam avevano messo in dubbio
che la roccia provenisse dalla Luna iniziando numerosi test, che
conclusero che la roccia era legno pietrificato. I funzionari
dell’ambasciata statunitense non seppero spiegarlo.
La
NASA avrebbe raccolto 270 rocce lunari, di cui una parte non sa ora
dove sia; “La NASA ha consegnato i campioni al dipartimento di Stato per
distribuirli”, affermava Jennifer Ross-Nazzal, storica della NASA, “Non
abbiamo alcuna registrazione su quando e a chi sono state date le
rocce”.
“L’ufficio dello storico non tiene traccia di ciò che è stato
delle rocce lunari e, per quanto ne so, non esiste un’ente che lo
faccia”, scriveva Tiffany Hamelin, storica del dipartimento di Stato
degli USA.
La NASA conserverebbe 382 chilogrammi di pietre raccolte
dalle missioni Apollo, avendo ceduto solo piccoli campioni ai
ricercatori e prestando le rocce più grandi per le mostre. Gutheinz,
investigatore statunitense, che lavorò per l’Ispettore Generale della
NASA, affermava che diverse rocce lunari regalate sono scomparse, come
le rocce raccolte dall’Apollo 17 e regalate a Malta, Spagna, Romania,
Pakistan, Nicaragua e Afghanistan.
Filmati scomparsi
Le
registrazioni originali dei primi umani sulla Luna furono cancellate e
riutilizzate. Delle registrazioni video della missione dell’Apollo 11,
che sarebbe allunato il 16 luglio 1969 con a bordo gli astronauti Neil
Armstrong, comandante della missione e primo a scendere sulla Luna, e
Buzz Aldrin, la NASA rilasciò nel 2009 dei video completamente
digitalizzati del filmato originale dell’atterraggio, migliorandone le
immagini sfocate e sgranate.
Ma nel 2006 la NASA ammise che non poteva
ritrovare le registrazioni video originali dello sbarco del 20 luglio
1969. Richard Nafzger, ingegnere del Goddard Space Flight Center della
NASA, che supervisionava l’elaborazione televisiva della missione Apollo
11 nel 1969, li cercò scoprendo che i nastri furono smagnetizzati,
cancellandone i filmati, e riutilizzati.
“L’obiettivo era la diretta
TV”, disse Nafzger in una conferenza stampa, “Avremmo dovuto avere uno
storico che dicesse ‘non m’importa se li userete mai, li terremo’”.
Trovò solo delle copie negli archivi della CBS e alcune registrazioni,
chiamate kinescopi, nei caveau del Johnson Space Center.
Il 20 luglio 1969, i filmati dell’Apollo 11 non furono trasmessi
elettronicamente, nel formato televisivo standard statunitense NTSC;
l’Apollo 11 non trasmetteva immagini televisive. I filmati furono girati
su pellicola SSTV, e trasmessi ai centri di rilevamento della NASA in
Australia e California, e quindi ritrasmessi via telemetria a Houston,
dove venivano convertiti in video da trasmettere sui televisori degli
USA. Sono i filmati su pellicola ad essere scomparsi.
Originariamente,
la NASA disse che i nastri erano al Goddard Space Flight Center, da cui
fu tratta una breve sequenza su pellicola da due pollici, ma quando
venne riprodotta, lo schermo ronzava e non riproduceva immagini. Nel
2009 fu ammesso pubblicamente che i nastri originali erano stati
cancellati, “per risparmiare denaro”, tra gli anni ’70 e ’80.
Nel
2015, in una casa di Pittsburgh furono trovati dei vecchi computer
della NASA contenenti 325 nastri magnetici, datati dal 1967 al 1974,
simili a quelli utilizzati durante la missione dell’Apollo 11.
Tuttavia,
la NASA distrusse subito tali computer e parte dei nastri poiché “erano
troppo difficili da convertire e recuperare”. I computer IBM erano di
un ingegnere che aveva lavorato per la NASA negli anni ’60 e ’70 e che
quando morì, li lasciò in eredità a un commerciante di rottami, a fine
2015.
Gli IBM recavano i contrassegni del Centro del volo spaziale
Goddard della NASA e del Jet Propulsion Laboratory. Poco prima del
Natale 2015, il commerciante di rottami contattò la NASA per restituire
il materiale, una volta appartenente all’IBM Allegheny Center di
Pittsburgh. Lo staff della NASA che ispezionò i computer, disse alla
famiglia dell’ingegnere deceduto che doveva rimuovere i computer perché
“non avevano alcuna utilità”.
Uno dei computer, così pesante da
richiedere l’impiego di una gru per spostarlo dal seminterrato, recava
l’etichetta col numero di contratto NAS 5-2154, di cui non esiste alcuna
registrazione presso gli uffici del governo degli Stati Uniti.
Il programma ALSEP
Il geofisico della Texas Tech University Niichi Nagihara, studiava gli
archivi del geologo Marcus Langseth, deceduto nel 1997. Tra la fine
degli anni ’60 e la metà degli anni ’70, Langseth fu incaricato di un
programma per studiare il calore della Luna, nell’ambito dell’Apoll
Lunar Surface Experiments Package (ALSEP).
Nagihara sperava di
riutilizzare i dati raccolti da Langseth, ma scoprì che almeno metà dei
dati del programma ALSEP erano scomparsi dal 1977, quando il programma
fu ufficialmente abbandonato.
Nagihara affermava che i dati geosifici
della Luna raccolti nell’ambito di quel programma, “Finora sono l’unico
set di dati che abbiamo”. Le 14 apparecchiature che monitoravano
l’atmosfera e la geofisica della Luna, operavano dai cinque siti di
allunaggio, ma già nel 1974 la NASA iniziò a smantellare la rete di
scienziati e ingegneri dell’ALSEP, e nel 1977 chiuse le stazioni radio
che ricevevano i dati raccolti dagli strumenti lunari.
Dopo la
conclusione del programma, la gran parte dei dati andò persa. La maggior
parte dei dati ALSEP sopravvissuti proviene da singoli ricercatori che
elaborarono i dati grezzi per la NASA.
Tuttavia, la documentazione fino
al 1974 è quasi introvabile. Inoltre, le copie di backup dei dati,
raccolte dalla NASA, non riescono ad essere trovate dagli scienziati. La
NASA dice di averle inviate agli Archivi Nazionali, ma poi se li
riprese nel 1980, e da allora sono scomparse. Yosio Nakamura, geofisico
dell’Università del Texas che lavorò agli esperimenti dell’ALSEP e che
salvò i dati raccolti nel 1974, sospettava che la NASA avesse cancellato
i nastri. “Durante la missione, tutto ciò che avevamo era un grande
computer con 24 kilobyte di memoria, una frazione di quello che avete
sul vostro cellulare”, disse Nakamura.
Renee Weber, scienziato
planetario del Marshall Space Flight Center della NASA, riteneva i dati
dell’ALSEP “inestimabili”. Degli altri esperimenti dell’ALSEP nessuno sa
cosa successe, e gli sforzi di Nagihara e di un’altra ventina di
scienziati che formarono l’ALSEP Data Recovery Focus Group nel 2010,
portarono al recupero di 450 nastri relativi ai dati raccolti nella
primavera 1975, ma per almeno altri 4550 nastri archiviati si sono perse
le tracce.
Alessandro Lattanzio, 26 novembre 2018
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