mercoledì 29 gennaio 2014

Al di Sopra del Sospetto

 
E’ netta la percezione dell’esistenza di una schiatta di individui a cui tutto è permesso mentre alla stragrande maggioranza dei cittadini tutto viene impedito in nome delle leggi, dei regolamenti e del consueto (e direi congenito) sadismo delle istituzioni.
 
Al proposito, il lavoro di ricerca di Paolo Franceschetti mi convince sempre più. Non so se esista solo una setta di individui al di sopra di ogni sospetto oppure che di tali congreghe ne esistano invece parecchie, è chiaro però che gli eventi siano appannaggio esclusivo di una sottile fetta della popolazione, ubica e trasversale, ben dissimulata ed imperiosa quanto oscena e ributtante.
 

Le categorie e le istituzioni con le quali un semplice cittadino ha a che fare (giustizia, sanità, istruzione, burocrazia in generale) per gli ‘eletti non eletti’ scompaiono, private di forza e senso. Ai vertici dell’impunità si veleggia ben al di sopra di quelle istituzioni che sembrano davvero messe e create a bella posta per esaudire un desiderio perenne di controllo esaustivo del resto della popolazione.
 
Alle elite di impuniti tutto è permesso. Trasgredire norme e leggi non porta loro conseguenze. Si curano in istituti scelti in ogni dove, si muovono indifferenti ai limiti imposti da confini degli stati, possiedono un lasciapassare quasi illimitato, una specie di immunità diplomatica, che li rende estranei ed inarrivabili ai cavilli altrimenti micidiali della burocràzia. La loro ‘elezione’ si svolge in contesti oscuri ai più, per meriti e demeriti che non è lecito conoscere né divulgare.  
 
Ciò premesso, com’è possibile districarsi in questa melassa nauseante? Prendere atto dell’oscenità al potere non rischia di annichilire le nostre energie canalizzate dalla comprensibile indignazione? Mi sembra palese come si stia tentando di esasperare gli animi con tutti i mezzi possibili. La tassazione disumana a cui siamo sottoposti si sposa infatti con l’impoverimento generalizzato della società degli umili e la riduzione sistematica di quei già esigui e miserevoli sostegni statali verso l’individuo. Le miserrime elargizioni di servizi al cittadino da parte del potere si stanno assottigliando ed impoverendo di senso e spinta civile, soprattutto in un contesto come questo di disperazione e rassegnazione.
 
Se poi alziamo lo sguardo al cielo o lo abbassiamo verso la terra, possiamo renderci conto che ad essere minato non è solo un contesto artificioso come quello delle istituzioni (che avremmo potuto ignorare in un onirico desiderio di fuga verso lidi intonsi ormai estinti) ma è anche il preziosissimo substrato che sorregge la nostra esistenza biologica ad essere inficiato ed oggetto di attacchi tanto insidiosi quanto impressionanti per mole e conseguenze.
 
All’individuo non appartenente alla cerchia dell’impunità quindi tutto è precluso? Non gli resta che osservare la dissoluzione e soccombere? Osservare intanto è un dovere imperioso. Non si tratta di bearsi masochisticamente dei mali che si estraggono a piene mani dai fatti, ma di tenerne il conto, per così dire, senza nascondersene l’esistenza perché il cosiddetto ‘quieto vivere’ è una trappola spirituale davvero mortifera.
 
Se meditiamo poi sui fini delle operazioni di dissoluzione in atto, possiamo provare a delinearne il contenuto. Non si tratta di sola e mera distruzione ma di esigenza di controllo su tutti gli aspetti del vivere. Se tutta la tecnologia d’accatto che ci viene data in prestito (telefonia, informatica, ‘intrattenimento’) ha il risvolto onnivoro del controllo intimo delle nostre azioni e dei nostri pensieri, allora forse l’oggetto del contendere, la finalità del potere del vertice, non è solo quella dell’annichilimento tout court, ma di un impoverimento delle facoltà intellettive generali per impedire di riconoscere le pressioni a cui siamo sottoposti.
 
Se tale impostazione è corretta, qual è allora l’oggetto del contendere? Di cosa hanno bisogno gli impuniti, a cosa anelano? Alla nostra anima? A qualcosa che non possiedono? Siamo le vacche da mungere come afferma Malanga?
 
Se così fosse, potremmo allora reagire attivamente in un contesto dove ci possiamo immaginare vincitori, felici di quella spinta incommensurabile che suscita le invidie degli impuniti. La strada per reagire la nascondiamo ognuno dentro noi stessi. Siamo noi il potere, noi i censori, noi quelli che decidono i fatti. Noi dirigiamo gli eventi e creiamo le nostre realtà in barba ai recinti elettronici che ci stanno stringendo addosso. Noi eludiamo le maglie della contraffazione e le ribaltiamo a pancia all’aria come tartarughe impazzite. Noi a dettare l’agenda del futuro prossimo del nostro pianeta. Di questo potere divino siamo stati ‘fatti persuasi’ della sua non esistenza, eppure evidentemente c’è. In questi momenti deleteri, è il momento di tirare fuori le nostre bandiere e sventolarle al vento con orgoglio e serena soddisfazione. Che siano di esempio ai tanti individui come noi ‘normali’ … in cerca di autore.


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