martedì 27 agosto 2013

Effetto Lucifero: la scienza ha trovato l’Inferno

Non so voi, ma personalmente sono stanco. 
Sono stanco del razzismo tanto quanto del buonismo. Sono stanco di ascoltare le infinite paternali politiche, scientifiche e religiose in merito a ciò che è “bene” e ciò che è “male”. Sono stanco di sentir condannare da tutti la guerra, le ingiustizie sociali, e di constatare come sembrino comunque non aver mai fine. 
Sono stanco di veder esplodere ciclicamente qualche scandalo dovuto alla bestialità umana, e sono stanco di veder intorno a me l’opinione pubblica sdegnata, come se quel male e quella cattiveria fossero qualcosa di molto molto lontano da ciò che si annida dentro di noi.

Sono stanco di sentir predicare in un modo e razzolare in un altro. Sono stanco di essere deluso dal genere umano, e sono ancor più stanco di essere deluso da me stesso. Sono stanco, insomma, di credere alle superficiali favole mediatiche e sono stanco di alimentarle con le mie assurde opinioni mentre mi trovo sul lavoro, con gli amici o in famiglia. 
Ora voglio vederci più chiaro, voglio vedere più in profondità, voglio smascherare le apparenze e capire ciò che si muove al di sotto. Ma come? ...

 
Non molto tempo fa mi è capitato di vedere il film The Experiment di Oliver Hirschbiegel, liberamente ispirato da un noto studio simulato sulla psicologia della vita in prigione condotto nel 1971 presso la Stanford University dal dottor Philip Zimbardo. In estrema sintesi, attraverso un annuncio sul giornale furono reclutati e selezionati 24 studenti (intelligenti, coscienziosi, psicologicamente e fisicamente sani, in altre parole, la crema più rappresentativa della nostra società) per prendere parte ad un esperimento sulle dinamiche interpersonali che insorgono all’interno di un ambiente carcerario....

La metà di questi studenti furono sorteggiati per assumere le vesti di carcerieri, mentre i restanti personificarono i carcerati.

L’esperimento fu ovviamente condotto attraverso una metodologia scientifica strettamente monitorata, con una previsione di durata di due settimane. Il fatto sconcertante è che l’esperimento venne interrotto dopo soli cinque giorni perché le dinamiche emerse sfuggirono completamente di mano: i 12 carcerieri si erano trasformati in un branco di spietati aguzzini, mentre i 12 carcerati mostravano segni evidenti di traumi psichici, depressione, degenerazioni psicosomatiche. Ripeto, in soli 5 giorni! Consiglio vivamente a tutti, oltre la visione del film sopracitato, anche di leggere i dettagli dell’esperimento magistralmente presentati sul sito http://www.prisonexp.org/italian/indexi.htm. È inoltre possibile approfondire ulteriormente l’argomento nel libro L’effetto Lucifero di Zimbardo.

Ma torniamo a noi. L’evidenza di questo esperimento ha permesso di constatare principalmente due fattori. Per prima cosa, ciascuno di noi porta in serbo aspetti cosiddetti bestiali che in certe condizioni “favorevoli” prendono il sopravvento facendosi beffe di ogni moralità (nella storia si possono rintracciare miriadi di esempi del genere, dalle grandi guerre fino alle piccole dinamiche familiari). In secondo luogo, quando una finzione o un gioco – anche razionalmente programmati a priori dai partecipanti – diviene una convenzione intimamente e profondamente accettata e condivisa da tutti, si tramuta a tutti gli effetti nell’unica realtà possibile.

Meditando su questo esperimento, osservando in me stesso e intorno a me, non sono riuscito a frenare una moltitudine di riflessioni, alcune delle quali vorrei qui condividerle con voi. Nel nostro mondo, nel sociale, nella quotidianità, dove si situa il limite tra realtà e finzione? E non poniamoci questa domanda da un punto di vista misticheggiante o filosofico, ma in concreto, terra a terra, quanto ci identifichiamo con le nostre certezze e concezioni esistenziali date per scontate? Quanto improntiamo le nostre scelte vitali sulla base di moralismi stabiliti chissà da chi e chissà quando nel tempo? Quanto ci prendiamo sul serio o prendiamo sul serio ciò che ci capita al punto da soffrire terribilmente (o far soffrire) ogni qual volta le cose non vanno secondo le proprie idee o aspettative?

E ancora, quanto nascondiamo nei recessi di noi stessi impulsi bestiali di chissà quale genere? Fino a che punto si spinge la nostra onestà interiore nel riconoscerli, nell’osservarli senza per questo giudicarli? Quanto desideriamo conoscerli e comprenderli per arginare il rischio di esserne sommersi alla prima condizione facilitante?

Se non ci poniamo una volta per tutte queste domande, se non le sperimentiamo nel quotidiano per metterci in gioco in prima persona, allora stiamo forse ancora – scusate il termine tecnico – “cazzeggiando” con le nostre belle e pompose illusioni, un po’ vittime e un po’ carnefici, un po’ lamentandoci e un po’ lodandoci, ma sempre noiosamente inconsapevoli. 
 
L’esperimento di Stanford ha avuto infatti anche il grande pregio di mettere a nudo tutte le possibili classificazioni qualitative sociali; in altre parole, nessun titolo accademico può porre minimamente riparo da una piena identificazione e da un conseguente abbandono agli impulsi bestiali. Come a dire che la coscienza non si può misurare attraverso le informazioni apprese, la cultura acquisita o gli studi conseguiti. Siamo dunque tutti in gioco faccia a faccia con la nostra umanità, a quanto pare ancor mal compresa.

Già, una bella batosta all’ego di chi noi pensa di poter giudicare l’erba del vicino, quando dietro casa non si accorge di dover ancora provvedere ad un campo fitto di rovi e sterpaglia. Chissà, forse, un giorno, potremmo anche trovarci delle rose…?
 
Luca Bertolotti

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