In molti
video musicali e nei film d’azione americani la velocità con cui si susseguono
le immagini raggiunge talvolta il parossismo. Spesso, nei video come nei film,
non si capisce nemmeno cosa è successo in una determinata scena.
Basti paragonare
un Rambo (1982) o un Commando (1985) – considerati grandi
film d’azione, che all’epoca lasciavano noi ragazzi con il fiato sospeso – con
un Mission Impossible di Tom Cruise o
con uno 007 di oggi: le scene e i dialoghi si succedono a velocità doppia.
Anche
sul posto di lavoro... vi sarete accorti che si viaggia a velocità molto
maggiore, a meno che non lavoriate nell’amministrazione pubblica, dove tutti i
dipendenti pare abbiano frequentato un corso di aggiornamento tenuto da Eckhart
Tolle e siano rimasti congelati nell’Adesso.
Cercate su youtube un telegiornale
degli anni ’70 e osservate la differenza di velocità rispetto ai tg di oggi. Lavoravamo
più lentamente e parlavamo più lentamente, perché ascoltavamo più lentamente e
pensavamo più lentamente.
Questo
è
già di per sé un problema, non perché il fenomeno sia sbagliato, bensì
perché
il cambiamento si sta rivelando più veloce della nostra capacità di
adattamento
ad esso. Pensare più veloce e lavorare più veloce, non implica pensare
meglio e lavorare meglio, tutt'altro.
Ma dove tale accelerazione si sta
davvero mostrando dannosa è l’ambito
spirituale: il volersi illuminare o il voler espandere la propria
coscienza e
il proprio cuore... alla velocità massima consentita, come se dipendesse
esclusivamente dalla forza di volontà.
“Più mi
alleno, più divento forte e prima posso diventare campione olimpico”. In realtà
questo principio non vale nemmeno nello sport, altrimenti, per l’appunto,
sarebbe solo una questione di volontà e di tempo a disposizione.
Ma non è così,
perché influiscono sia la predisposizione genetica che molteplici fattori
psicologici; inoltre bisogna rispettare i tempi della fisiologia umana, che non
possono essere alterati. La prima cosa che s’impara quando si fa sport
agonistico è infatti la pazienza, non la volontà; perché di volontà un atleta
ne ha già da vendere.
Ciò che
vale sul piano fisico vale anche sui piani superiori: diamo per scontato che
possediate la giusta volontà che serve per liberarsi dallo psico-penitenziario,
dopodiché è necessario che usciate dallo schema mentale “più lo voglio, prima
lo ottengo”, se non volete che il vostro percorso sfoci in una delusione o in un
“repartino” psichiatrico con le pareti imbottite, perché magari i vostri centri
sottili non hanno retto il vostro “desiderio di vincere” anche nel mondo dello
spirito.
Per esempio,
per quanto concerne gli esercizi di »ricordo di sé«, vi sarete accorti che a un
certo punto vi è impossibile andare oltre; qualunque sforzo supplementare
facciate per restare presenti a voi stessi, ricadete sempre nell’addormentamento.
Come se incontraste una barriera.
Lo stesso si dica per gli agonisti della
meditazione: rilassamento, visioni, esperienze di “unità col tutto”... ma non riuscite
ad andare oltre. Allora pensate che il problema sia nell’impegno insufficiente,
quindi meditate per più ore, più giorni, più anni. Ma non funziona lo stesso...
perché si tratta della coscienza, non di uno sport, e inoltre, come ho già
detto, questo approccio non funzionerebbe nemmeno nello sport.
Se prima non
sciogliete le cariche emotive che vi portate dietro da tutta la vita, non
potete andare oltre. Non potete – in occidente, nel 2018 – intraprendere un
percorso di risveglio che non tenga conto delle istanze psicologiche irrisolte,
perché rischiate di rimanere delusi o fare disastri. E tali nodi psicologici
hanno dei tempi di soluzione ben precisi,
diversi per ciascuno, che non dipendono dalla “volontà di vincere”, in quanto,
come già detto, che ci sia una ferma volontà di mettersi in gioco e svegliarsi,
lo diamo per scontato.
Una carica
emotiva irrisolta è come un blocco dove non fluisce l’energia, per cui, se
forzate il passaggio di questa energia usando la volontà, rischiate dapprima di
creare situazioni che andranno a corrispondere a tale forzatura (non ho risolto
il rapporto con mio padre, ma mi voglio illuminare a tutti i costi, allora improvvisamente
scopro che il mio partner mi tradisce!), poi dei danni sui piani sottili.
Non sto
affermando che sia indispensabile andare dallo psicologo – in quanto ognuno può
scegliere se e da chi farsi aiutare lungo il percorso – bensì che sia indispensabile
affrontare i propri demoni.
L’auto-osservazione, condotta in maniera costante e
prolungata, sortisce gli stessi effetti d’una terapia; il punto è che quasi
nessuno è in grado di auto-osservare le sfumature del proprio carattere, in maniera
sincera e prolungata, fino a fare emergere e poi portare a scioglimento dei
nodi che risalgono all’infanzia. Un terapeuta – di qualunque genere, deve semplicemente
essere quello giusto per voi – in questo percorso psico-spirituale, può dare
una valida mano. Buon lavoro.
Salvatore
Brizzi
[Il mondo
è bello, siamo noi ad esser ciechi]
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