Anche in Occidente i diritti dell’essere umano sono sempre più carta straccia. Alzi la mano chi ha mai sentito parlare del Trattato di Prüm,
sottoscritto da sette Stati membri il 27 luglio 2005, e ratificato dal
Parlamento italiano, con la Legge n. 85 del 30 giugno 2009. In ossequio
alle dottrine autoritarie Usa, nonché ai Trattati di Velsen e di Lisbona - approvati in tutta fretta dai parlamentari di stanza a Bruxelles e Strasburgo (compresa Sonia Alfano che tiene conferenze pubbliche con Forza Nuova, sponsorizzata in campagna elettorale dal comico eterodiretto Beppe Grillo)
senza uno straccio di coinvolgimento popolare, almeno nel belpaese - la
libertà risulta sempre più vigilata nel vecchio continente.
Oltre Orwell -
il codice ereditario umano è balìa di alcuni Stati europei. Il pretesto
è apparentemente nobile: la lotta contro «il terrorismo internazionale,
la criminalità transfrontaliera e la migrazione illegale» mediante la
cooperazione. In sostanza: il Dna (acido desossiribonucleico), viene
immagazzinato per 40 anni in una banca dati istituzionale.
Lo
standard europeo Issol (Interpol Standard Set Of Loci) “aveva
inizialmente solo 7 marcatori più amelogenina” spiega l’avvocato Giorgio
Ponti “Nell’aprile 2005 è stata decisa l’introduzione di 3 nuovi
marcatori ritenuti molto sensibili. Non tutte utilizzano il medesimo
standard di archiviazione, anche se la risoluzione del Consiglio E del 9
giugno 1997 ‘invita’ gli Stati membri alla realizzazione di uno
standard comune. La più affollata banca dati europea è quella inglese
con 3 milioni di profili”.
La legge numero 85,
promulgata il 30 giugno 2009, a firma del Presidente Giorgio Napolitano,
nonché del premier Silvio Berlusconi e dei Ministri Franco Frattini,
Roberto Maroni e Angelino Alfano, nel disinteresse generale si intitola
appunto «Adesione della Repubblica italiana al Trattato concluso il 27
maggio 2005 tra il Regno del Belgio, la Repubblica federale di Germania,
il Regno di Spagna, la Repubblica francese, il Granducato di
Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi e la Repubblica d’Austria,
relativo all’approfondimento della cooperazione transfrontaliera, in
particolare allo scopo di contrastare il terrorismo, la criminalità
transfrontaliera e la migrazione illegale (Trattato di Prum).
Istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio
centrale per la banca dati nazionale del DNA. Delega al governo per
l’istituzione dei ruoli tecnici del Corpo di Polizia penitenziaria.
Modifiche al codice di procedura penale in materia di accertamenti
tecnici idonei ad incidere sulla libertà personale».
Genesi -
Il primo progetto di legge per la regolamentazione del prelievo
coattivo risale al 1998: l’allora Ministro della Giustizia Giovanni
Maria Flick (del Governo di centro-sinistra guidato da Romano Prodi)
presentò al Senato, il 20 gennaio, un disegno di legge (disegno di legge
n° 3009 rubricato sotto il nome di «Disciplina dei prelievi di campioni
biologici e degli accertamenti medici coattivi nel procedimento penale»
) che non è mai arrivato a divenire Legge dello Stato. L’Italia, che
non era tra gli Stati promotori dell’accordo di Prum, il 4 luglio 2006, a
Berlino, nella persona dell’allora Ministro degli Interni, Giuliano
Amato, ha sottoscritto, insieme al collega tedesco, Wolfgang Schaueble,
una dichiarazione congiunta sull’ingresso dell’Italia nel Trattato di
Prüm.
L’articolo 5 recita una garanzia al di sopra
di ogni sospetto: «presso il Ministero dell’interno, Dipartimento della
pubblica sicurezza, è istituita la banca dati nazionale del DNA. Presso
il Ministero della giustizia, Dipartimento dell’amministrazione
penitenziaria, è istituito il laboratorio centrale per la banca dati
nazionale del DNA».
Ad ogni
buon conto i danni sono a responsabilità limitata, infatti, l’artico 4
dispone inequivocabilmente: «quando agenti di una Parte contraente
operano nel territorio nazionale, lo Stato italiano provvede al
risarcimento dei danni causati dal personale straniero limitatamente a
quelli derivanti dallo svolgimento delle attività svolte conformemente
al medesimo Trattato».
Compresi i minori -
Chi sono le prime cavie oggetto della normativa? L’articolo 9
stabilisce: «i soggetti ai quali sia applicata la misura della custodia
cautelare in carcere o quella degli arresti domiciliari; i soggetti
arrestati in flagranza di reato o sottoposti a fermo di indiziato di
delitto; i soggetti detenuti o internati a seguito di sentenza
irrevocabile, per un delitto non colposo; i soggetti nei confronti dei
quali sia applicata una misura alternativa alla detenzione a seguito di
sentenza irrevocabile, per un delitto non colposo; i soggetti ai quali
sia applicata, in via provvisoria o definitiva, una misura di sicurezza
detentiva».
La legge non risparmia i bambini.
L’articolo 29 dispone il «Prelievo di campioni biologici e accertamenti
medici su minori e su persone incapaci o interdette». Un abominio?
L’ennesimo abuso di potere? Oppure ordinaria amministrazione?
«Il
prelievo coattivo è vincolato oggettivamente nel senso che può aver ad
oggetto solo il materiale indicato in via alternativa dal legislatore:
saliva o capelli; la soglia massima dell’intervento fisico sull’indagato
che non consente è un prelievo di saliva o capelli autorizzato dal pm –
puntualizza l’esperta Paola Felicioni, autrice del saggio Accertamenti
sulla persona e processo penale (Ipsoa 2007) – Occorre chiedersi qual è
la disposizione che trova applicazione in un’ipotesi di tal fatta in cui
non sussiste l’urgenza dell’intervento della polizia giudiziaria sulle
persone, diversi dalle ispezioni personali, possa essere compiuto un
rilievo-prelievo di “materiale biologico”».
La Corte Costituzionale con
la sentenza numero 238, risalente al 9 luglio 1996, aveva già chiarito
la «genericità del potere conferito al Giudice di emettere un
provvedimento coattivo per assicurare il compimento della perizia: non
sono infatti indicati i “casi” e i “modi” del prelievo coattivo da
persona vivente: carenza di precisazione circa la natura e la
possibilità di estensione della coazione; incompatibilità di tale
“genericità” con i principi dell’articolo 13 della Costituzione, che
richiede, per tutti gli atti di restrizione della libertà personale, una
duplice garanzia: la riserva di legge “nei soli casi e modi previsti
dalla legge”, e la riserva di Giurisdizione “atto motivato dall’autorità
Giudiziaria”».
L’articolo 1
(comma 4) del Trattato di Prüm prevede addirittura che «Entro e non
oltre tre anni dall’entrata in vigore sarà presentata una iniziativa in
previsione della trascrizione delle disposizioni del presente trattato
nell’ambito giuridico dell’Unione europea».
Fedele nei secoli -
Ma a chi? Senza voler scomodare le rivelazioni del generale in pensione
Nicolò Bozzo, braccio destro del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa
- “cercare di spiegare perché l’anima nera, presente nell’Arma come del
resto altrove, abbia potuto affermarsi a scapito dei valori più
autentici” - dopo i 70 milioni e passa di fascicoli custoditi
illegalmente dall’Arma dei carabinieri su italiane e
italiani, vicenda emersa qualche tempo fa grazie alla coraggiosa
denuncia di un sottufficiale, subito messo a tacere, siamo infine, ai
prelievi biologici sul corpo umano. In altri termini, siamo tutti un po’
meno liberi per ragioni di ‘sicurezza’.
Esiste già
da un bel pezzo l’archivio delle tracce biologiche raccolte attraverso
le perizie delle forze dell’ordine e nei prelievi su indagati. In un
unico data-base, affidato alla gestione di un apposito organismo (Ris
dell’Arma, in seguito Eurogendfor, la super polizia militare europea),
vengono catalogati con un sistema di codici a barre tutti i campioni
raccolti. L’enorme mole di informazioni è custodita all’interno di un
sistema informatico controllato a più livelli e accessibile solo dai
diversi gradi dell’autorità giudiziaria. Rispetto al passato, la novità
fondamentale è nella possibilità di confrontare i campioni in tempo
reale attraverso un software speciale. Attualmente, infatti, ogni
campione di Dna rimane confinato all’interno del procedimento
giudiziario in cui è stato raccolto, rendendo solo incidentali i
confronti. In realtà, la creazione di una banca dati copre il vuoto
legislativo che ha consentito la nascita di archivi istituzionali al di
fuori della legalità. Come, ad esempio, quello del Ris carabinieri di
Parma, che custodisce migliaia di campioni biologici. L’archivio segreto
dell’Arma è stato casualmente svelato durante un processo per furto in
cui l’imputato ha scoperto che il proprio Dna veniva da anni conservato
-violando la normativa sulla privacy- dagli uomini del reparto
investigativo scientifico.
Controllo generale -
Basta essere fermati per una verifica di routine per finire nel
cervellone del Viminale anche senza aver commesso reati. L’anno scorso
15 milioni e passa di cittadine e cittadinid’Italia sono stati inseriti
nell’archivio delle forze dell’ordine. Ma non è tutto nell’era del
grande fratello militare. Siete in auto con il vostro amante o con la
campagna di università il giorno in cui avete marinato le lezioni. Una
volante della Polizia o una pattuglia dei Carabinieri (ma anche della
Guardia di Finanza o della Forestale e della Polizia Penitenziaria) vi
intima l’alt per un normale controllo. Voi esibite i documenti, il
vostro accompagnatore pure. Tutto in regola. “Prego potete andare”, vi
dicono cortesi gli operatori delle forze dell’ordine. Siete tranquilli,
in fondo il vostro “peccato” non è (ancora) reato, e alla polizia che
gliene importa se voi avete l’amante o non siete andati a scuola?
Tornate a casa dopo esservi ricomposti (o ritruccate) e proseguite la
vostra vita di tutti i giorni. Ma a vostra insaputa, è scattato un
meccanismo infernale di controllo, denominato ‘Sistema di indagine’
(Sdi) dal quale non uscirete più, per il resto dei vostri giorni. E che
potrebbe rendervi la vita molto dura, anche se siete un innocuo
rappresentante di biancheria intima con qualche indecisione
sentimentale.
Osserviamo come funziona e soprattutto quali problemi crea
questo sistema voluto dall’ex Ministro dell’Interno Enzo Bianco e
ampiamente sviluppato dal Ministero dell’Interno. Per comprendere il
meccanismo creato da quando lo Sdi ha soppiantato il vecchio Centro
elaborazione dati (Ced), occorre fare un passo indietro e vedere come
operava fino al 2000 il cosiddetto cervellone del Viminale, sede del
Ministero dell’Interno. Fino a qualche anno fa la verifica della vostra
autovettura e dei vostri documenti finiva nelle statistiche numeriche
delle attività di controllo del territorio. In passato, infatti, il
vostro nome veniva iscritto nel cervellone solo in caso di arresto o
denuncia, per un qualsiasi reato; oppure se presentavate un esposto per
lo smarrimento dei documenti. Nel 2001, secondo i dati del Viminale,
furono denunciate dalle forze dell’ordine 152.399 persone; ne vennero
identificate ai posti di blocco 14.897.666, su 7.870.021 veicoli
controllati. Mentre prima dell’entrata in vigore dello Sdi, nel
cervellone venivano iscritte solo le 152 mila persone denunciate, oggi
invece vengono registrati mediamente 15 milioni di cittadini
identificati e assolutamente estranei a qualsiasi imputazione o sospetto
e quindi totalmente immacolati. Mentre prima c’erano limitazioni ben
precise, oggi tutto confluisce nel calderone di un sistema di indagine
che coinvolge alla lunga l’intera popolazione.
Privacy inesistente -
Secondo il Dipartimento della Pubblica Sicurezza «Il Ced interforze
viene regolato dalla legge 121/1981 e dall’articolo 21 della legge 26
marzo 2001, n. 128. Prevede la raccolta, elaborazione, classificazione e
conservazione delle informazioni e dei dati in materia di tutela
dell’ordine, della sicurezza pubblica e di prevenzione e repressione dei
reati e da quelle a tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica. Il
Sistema rispetta le norme sulla protezione dei dati, individuando in
modo univoco la persona che effettua operazioni di immissione e di
interrogazione della Banca dati (mediante uso di password e user Id)».
La spiegazione è ineccepibile, ma non esauriente. Il problema non è come
e da chi questi dati vengano utilizzati, ma perché vengano raccolti e
quali siano le necessità di sicurezza che giustificano l’inserimento del
nominativo di un cittadino in una banca dati così delicata per il
semplice fatto di essere stato identificato dalle forze dell’ordine.
Schedature di massa -
Il controllo del territorio ha a che vedere con la prevenzione,
quell’attività che si fa per impedire i reati e che consiste nel fermare
delle persone nella ipotesi che qualcuna di queste possa essere un
latitante o un trafficante di droga. Secondo quanto prevede la normativa
in vigore, invece, questa routine è stata inserita nel più complesso
sistema d’indagine, trasformandosi in un’attività investigativa a carico
di cittadini ignari di questa schedatura. Con la legittima
giustificazione di operare una prevenzione dei reati, si è creata una
schedatura di massa dove sono già inclusi, a loro insaputa, milioni di
cittadini. Nella lista dei potenziali ‘cattivi’, dove una volta
finivano solo quelli indagati o condannati, adesso ci sono anche quelli
colpevoli solo di essere stati identificati.
Dal Ministero spiegano: «Il
compito principale del Sistema informativo Interforze è senz’altro
quello della raccolta e gestione di tutti i dati e le informazioni che
derivano dalle attività di prevenzione e repressione dei reati. Il
Sistema di Indagine Sdi, richiedendo la raccolta delle informazioni là
dove sorgono, prevede l’alimentazione da parte di tutti gli uffici
segnalanti e dai relativi operatori». Il che tradotto vuol dire: non
solo la Polizia, ma anche gli altri corpi raccolgono le notizie e le
inseriscono nel sistema. Precisazione che, invece di tranquillizzare,
preoccupa ancora di più. Nessuno dovrebbe detenere informazioni sulle
frequentazioni, sulle abitudini e quant’altro di un singolo cittadino, a
meno che non vi sia un’esplicita richiesta della magistratura, per
indagini. E sembra chiaro che nessun giudice può aver autorizzato
indagini su milioni di cittadini italiani. C’è poi da chiedersi se il
Garante della privacy non abbia nulla da dire sul fatto che annualmente
una media di 15 milioni di cittadini, senza aver commesso alcun reato,
vengono schedati e inseriti in un cervellone che, da qui all’eternità,
potrà documentare ove erano alla tal ora, di tale giorno e con chi.
Si
dice che dall’11 settembre del 2001, siamo tutti un pò meno liberi, per
ragioni di sicurezza. In realtà la genesi dello Sdi è antecedente alla
tragedia di New York e porta la firma di entrambi gli schieramenti
politici.
Fonte: Voci Dalla Strada
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