venerdì 28 marzo 2014

Più lavorate più ricchi diventano


Non è la vostra immaginazione: state lavorando di più e guadagnando di meno. Nonostante il significativo aumento della produttività negli ultimi 40 anni, i salari sono rimasti fermi.

Questo è un fenomeno globale, non di un singolo paese. Non dipende dall’aggressività di questo o quel capitalista, né dalla politica di questo o quel governo. Il divario crescente proviene invece per forza di cose dal costrutto ideologico che ora domina il pensiero economico. Prendiamo la succinta definizione di “neoliberismo” secondo Henry Giroux:
“Esso considera la ricerca del profitto come l’essenza della democrazia, il consumo come l’unica forma possibile di cittadinanza, e coltiva una fede irrazionale nel mercato per risolvere tutti i problemi e fornire il modello su cui strutturare tutte le relazioni sociali.”

La “libertà” si riduce alla libertà degli industriali e dei finanzieri di estrarre il maggiore profitto possibile senza scrupoli di sorta, e, per tutti noi, di scegliere quale gusto di bibita vogliamo bere. Avendo ricavato per se stessi una grande “libertà”, i capitalisti del mondo si sono dati stipendi, buoni, stock option e ammortizzatori d’oro oltre ogni immaginazione, mentre masse crescenti di lavoratori si trovano a dover lottare per restare a galla.

Da una parte, i dirigenti americani nel 2013 hanno guadagnato 354 volte di più del lavoratore medio, [...] e le compagnie USA quotate in borsa hanno accumulato in totale 5.000 miliardi di dollari, 5 volte il totale durante gli anni ’90.

Dall’altra parte, uno studio sui salari USA degli ultimi 40 anni ha rivelato che il salario orario medio è meno di due terzi di quanto sarebbe se avesse tenuto il passo con gli aumenti di produttività. Gli autori Lawrence Mishel e Kar-Fai Gee, nell’edizione del 2012 dell’ International Productivity Monitor, hanno calcolato lo straordinario scollamento tra gli aumenti di produttività e i salari. Il loro studio ha trovato che:
“Dal 1973 al 2011, il salario orario medio negli USA è aumentato del 4%, ma la produttività del lavoro dell’80,4%. Se il salario orario medio fosse cresciuto quanto la produttività, nel 2011 sarebbe di $27,87, molto di più degli effettivi $16,07.” (pag. 31)
Quasi ogni centesimo dei ricavi generati da quel lavoro extra è finito nelle tasche dei top manager e dei finanzieri, non agli impiegati che l’hanno prodotto col loro sudore.

Ai lavoratori del Canada non è andata meglio. Secondo un resoconto dell’autunno 2008 dell’International Productivity Monitor, dal 1980 al 2005 la produttività è aumentata del 37,4%, mentre il salario medio dei lavoratori a tempo pieno di un 1,3% totale, tenendo conto dell’inflazione. Gli autori del resoconto, Andrew Sharpe, Jean-François Arsenault e Peter Harrison, [...] notano che in Canada quasi tutti i guadagni sono andati all’1% più ricco. Scrivono:
“Se il salario medio fosse cresciuto della stessa percentuale della produttività, nel 2005 un lavoratore canadese a tempo pieno avrebbe guadagnato $56.826 l’anno, notevolmente di più degli effettivi $41.401.” (pag 16)
L’erosione dei salari è al lavoro anche in Europa. Un documento della Resolution Foundation ha scoperto un differenziale tra la produttività e l’aumento dei salari dei lavoratori britannici, sebbene minore che negli USA. Ha anche trovato che i lavoratori britannici non hanno perso così tanto terreno quanto quelli francesi, tedeschi, italiani e giapponesi. Tale conclusione è basata sulla scoperta che in questi paesi la quota di PIL destinata ai salari è diminuita velocemente dalla metà degli anni ’70.

Che anche i lavoratori tedeschi soffrano di erosione dei salari potrebbe stupire. Ma non dovrebbe: l’abilità della Germania di esportare si è basata sulla compressione dei salari interni. Nel 2003, l’allora cancelliere social-democratico Gerhard Schroeder fece passare la sua legge “Agenda 2010″, che tagliò le tasse alle imprese, al contempo riducendo i sussidi di disoccupazione e le pensioni. I sindacati tedeschi permisero il calo dei salari in cambio della sicurezza del lavoro, il che significa che il potere d’acquisto sta lentamente diminuendo, rinforzando la tendenza della Germania a diventare troppo dipendente dalle esportazioni.

Facendo qualche calcolo con i dati forniti dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla produttività e i salari di ogni nazione, ho trovato che dal 2000 al 2008 il salario reale medio tedesco è diminuito dello 0,5% all’anno, mentre la produttività del lavoro è aumentata dell’1,3% l’anno.

Nonostante le prove schiaccianti della difficoltà crescenti per così tante persone, l’ortodossia economica insiste a farci respingere con orrore il solo pensiero di aumentare i salari. Tale riluttanza si basa sull’ideologia, non sui fatti. I lavoratori americani a basso reddito guadagnano molto meno oggi che nel 1968, sebbene abbiano un grado d’istruzione molto più alto. Il salario minimo federale aggiustato all’inflazione è più basso del 23% rispetto al 1968.

Uno studio di Heidi Shierholz, dell’Istituto per la Politica Economica, uscito nel gennaio 2014, ha trovato che per ogni lavoratore assunto ce ne sono quasi tre alla ricerca di un lavoro. [...] L’autrice scrive:
“L’attuale debolezza del mercato del lavoro non è per mancanza di qualificazione dei lavoratori rispetto ai posti disponibili, ma dipende invece dalla scarsità della domanda. [...] Le persone in cerca di occupazione superano di gran lunga i posti disponibili in ogni settore, e la disoccupazione è significativamente più alta che nel 2007 per ogni livello di istruzione.”

[...] La DOMANDA è ciò che crea lavoro. L’aumento dei salari, che a sua volta stimola la domanda, sembrerebbe, in un mondo logico, un modo per alleviare la stagnazione. In effetti, al contrario di quanto dicono l’1% e i suoi propagandisti pagati, esiste un forte consenso sul fatto che alzare il salario minimo sarebbe di beneficio, [...] come riporta il Progetto di Legge Nazionale sul Lavoro:
“[...] Oggi la ricerca più rigorosa mostra scarsa evidenza di calo di posti di lavoro in seguito a un salario minimo più alto. Indicativo è un sondaggio del 2013 realizzato dalla Booth School of Business dell’Università di Chicago, in cui quasi 4 economisti di spicco su 5 concordavano che i benefici di alzare e indicizzare il salario minimo superano i costi. ” [...]
E l’Università di Chicago, famigerato incubatore dell’ideologia della “scuola di Chicago”, che fornisce la “giustificazione” intellettuale per il neoliberismo, non si può certo descrivere come un bastione dei lavoratori.

Una delle richieste della marcia su Washington del 1963 era il salario minimo di $2 l’ora. Aggiustati all’inflazione, $2 del 1963 oggi sarebbero $15,35. Eppure il salario minimo negli USA è di $7,25 l’ora, e il salario minimo più alto disposto da ogni governo statale è quello dello Washington, di $9,32.
I $10,10 l’ora proposti di recente dall’amministrazione Obama sembrano un miglioramento, ma sono in realtà le solite briciole offerte dal Partito Democratico: la Casa Bianca sta proponendo i due terzi di quanto era preteso 50 anni fa!

[...] Sarah White, un’attivista di Alternativa Socialista, che ha lanciato una campagna nazionale per un minimo di $15, nota:
“Per vincere contro il crescente movimento a favore dell’aumento del salario minimo, le grandi corporation stanno cercando di distrarre l’attenzione dai loro super-profitti, spendendo enormi somme per una pubblicità che si concentra sulle “preoccupazioni dei piccoli imprenditori”. Alternativa Socialista è molto disponibile ad aiutare le piccole imprese, ma non a scapito dei lavoratori. Ogni lavoratore a tempo pieno merita una vita dignitosa. Si possono aiutare le piccole imprese tassando le grandi (ora tassate con percentuali ai minimi storici) e togliendo a queste i sussidi per sostenere invece le piccole imprese, tagliando anche le tasse sulla loro proprietà… L’aumento del salario minimo aiuterà le piccole imprese aumentando il potere di spesa dei loro potenziali clienti.”

L’esorbitante aumento degli affitti ha costretto innumerevoli piccole imprese a chiudere nelle aree del paese in via di imborghesimento. Il controllo sugli affitti commerciali, che lascerebbe alle imprese famigliari abbastanza per sopravvivere, invece che costringerle a mandare tutti i loro soldi a proprietari interessati solo a spremere ogni dollaro da un quartiere, sarebbe molto più benefico di qualsiasi danno potenzialmente causato da un salario minimo di $15.

[...] 47 milioni di residenti americani dipendono dagli aiuti alimentari. Allo stesso tempo, i 1.645 miliardari del mondo hanno una ricchezza complessiva netta di 6.400 miliardi di dollari: un aumento di 1.000 miliardi in un solo anno.

L’ideologia individualista, che promuove l’idea che la disoccupazione sia una responsabilità personale, i salari bassi e l’insicurezza economica, è un pilastro cruciale del sistema che conduce a questi risultati disastrosi. Non ci sono soluzioni individuali ad un’iniquità strutturale.

di Pete Dolack


Traduzione: Anacronista

Fonte: Counterpunch
http://www.controinformazione.info/piu-lavorate-piu-ricchi-diventano/

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