Conversazione tra Andrew Cohen e Eckhart Tolle
E.T.: Il mondo promette la realizzazione da qualche parte nel
tempo. Molte persone si dicono: “ecco, ci sono arrivato”
e poi realizzano che in effetti, no, non sono arrivati, e lo sforzo continua.
Questo si esprime giusto in una corsa a ostacoli,
dove si dice che la massima dell’ego è: “cercare ma non trovare”. Le persone
contano di trovare la salvezza nel futuro, ma il futuro non arriva mai.
E, in fin dei conti, a forza di non trovare, si genera una
sofferenza. Questo è l’inizio di un risveglio, quando c’è una presa di coscienza che “forse questa non è la via, non arriverò
forse dove mi sforzo di andare, forse questo non è affatto nel tempo”. Dopo
essere stato perso in questo mondo, improvvisamente, attraverso la sofferenza,
si prende coscienza che le risposte non possono essere trovate fuori, in una
realizzazione materiale, né nel tempo. E’ un traguardo
importante da raggiungere per molte persone. Questo provoca un senso di crisi
profonda: quando il mondo come lo conosco e il senso di sé che ho conosciuto,
identificato nel mondo, non hanno più senso.
Mi
è successo. Ero molto vicino al suicidio quando è successo qualcosa di nuovo:
la morte del senso di sé, che vive attraverso l’identificazione alla mia storia,
alle cose attorno a me, al mondo. La percezione intensa di uno stato di calma
profonda, d’essere in vita, di essere, a quel momento è sopraggiunto. Più
tardi l’ho chiamata “Presenza”. Ho realizzato
che, al di là delle parole, Quello è chi io sono.
Degli
anni più tardi, ho chiamato questo stato di calma “pura coscienza” e tutto
il resto “coscienza condizionata”; anche gli oggetti lo sono. La coscienza
condizionata è nata in quanto forma ed è da allora
diventata il mondo. Così l’essere perso nel condizionato sembra necessario
all’essere umano. Sembra che essere perso nel mondo, assorbito dalla mente
che è la coscienza condizionata, faccia parte del suo cammino. E,
grazie alla sofferenza patita quando siamo perduti, si scopre che l’incondizionato
è noi stessi.
Ecco perché abbiamo bisogno del mondo per trascendere il mondo.
Sono infinitamente riconoscente d’essere stato perduto. Il significato del
mondo è per voi, alla fine dei conti, di perdervici. Il significato è per
voi di soffrire, creare la sofferenza sembra necessario perché nasca il risveglio.
E una volta che sorge il risveglio, viene con lui la presa
di coscienza che la sofferenza non è più necessaria. Arrivate alla fine della
sofferenza perché avete trasceso il mondo.
E’
uno stato libero dalla sofferenza. Questo sembra essere il cammino di ognuno.
Forse non quello di tutti in questa vita, ma sembra essere universale. Anche
senza un insegnante o un insegnamento spirituale, credo che ciascuno dovrà
alla fine passare per di là. Ma per questo
può volerci del tempo
A.C.: Molto tempo.
E.T.: Molto più tempo. Un insegnamento spirituale serve a risparmiare
tempo. Il messaggio fondamentale di un tale insegnamento è che non avete bisogno
di più tempo, non avete bisogno di più sofferenza. Alla gente che viene da
me dico: “siete pronti a capirlo perché lo ascoltate.
Ci sono milioni di persone fuori di qui che non lo intendono. Hanno ancora
bisogno di tempo. Ma non mi rivolgo a loro. Voi capite
che non avete più bisogno di tempo né di sofferenza.
Avete cercato nel tempo nuove
sofferenze” E all’improvviso sentire “non avete più bisogno di questo”
può essere per alcun il momento della trasformazione. La bellezza dell’insegnamento
spirituale è perciò che libera da certe vie di…
A.C.: Una sofferenza inutile.
E.T.: Si. E’ dunque bene che la gente sia persa nel mondo.
Mi piace andare a New York o a Los Angeles dove la gente sembra totalmente
assorbita. Guardavo da una finestra a New York. Eravamo in un gruppo vicino
allo Empire State Building. Nella strada la gente si agitava
in tutta le direzioni, quasi correndo. Ognuna sembrava
in uno stato di tensione nervosa, di ansia. Questa
è sofferenza, reale, ma non è riconosciuta tale. Mi sono domandato, ma dove
corrono così? E, in effetti, correvamo tutti verso
il futuro. Hanno bisogno, di andare verso un posto, che non è qui. E’ una
corsa nel tempo: non ora, più tardi. Corrono verso un “più tardi”. Soprattutto,
ma non lo sanno nemmeno. Ma a me, anche solo guardare
questo spettacolo, procura gioia. Non mi dicevo:”
“bisogna che lo sappiamo”. Loro seguono il loro cammino spirituale. Per adesso
questo è il loro cammino spirituale, e va meravigliosamente bene.
Il
termine “risveglio” è spesso interpretato come la fine della divisione del
Sé e la simultanea scoperta di una prospettiva e di un modo di vivere che
è totale, completo e libero dalla dualità. Quelli che hanno intravisto questa
prospettiva affermano che la realizzazione ultima
è tale che non c’è differenza tra il mondo e Dio o l’Assoluto, fra il samsra
e il nirvana, tra il manifesto e il non-manifesto. Ma altri dicono che
in effetti il mondo non esiste più del tutto, che in effetti il mondo
non è che un’illusione, completamente privo di senso, di significato o di
realtà. Secondo la nostra esperienza, il mondo è reale? E’ irreale? O
tutt’è due insieme? Anche quando mi interesso alle
persone o cammino per strada, facendo cose ordinarie, sento il mondo
come delle onde sulla superficie dell’ Essere.
Dietro il mondo delle percezioni
sensoriali e il mondo dell’attività mentale si trova l’immensità dell’Essere.
C’è un immenso spazio, un immenso stato di calma e la piccola attività delle
onde alla superficie non è separata, così come le onde non sono separate dall’oceano.
Perciò non c’è separazione nel modo in cui percepisco.
Non c’è separazione tra l’Essere e il mondo manifestato, tra il manifesto
e il non-manifesto. Ma il non-manifesto è molto più vasto, più profondo e più grande che ciò
che si produce nel mondo manifesto. Ogni fenomeno del mondo manifesto ha una
durata di vita così corta ed effimera che si potrebbe quasi dire che, dal
punto di vista del non-manifesto, che è fuori dal
tempo o Presenza, tutto ciò che si svolge somiglia davvero a uno spettacolo
di ombre cinesi.
Come
il vapore e la nebbia appaiono sotto nuove forme e spariscono, appaiono di
nuovo e poi scompaiono. Per chi dunque è profondamente radicato nel non-manifesto,
il manifesto può essere facilmente definito l’irreale. Non lo definisco irreale
perché non lo vedo separato dal resto.
A.C.: Dunque è reale?
E.T.: Tutto ciò che è reale è lo stesso essere. La coscienza è tutto ciò che è, la pura coscienza.
A.C.: Volete dire che la definizione
del “reale” è ciò che è libero dalla nascita e dalla morte?
E.T.: Giusto.
A.C.: Allora chi non è mai nato e non può morire è reale. E, siccome il mondo manifesto non è, in definitiva, separato
dal non separato, secondo voi, si dovrebbe dire che è reale.
E.T.: Si, e anche in
ogni forma soggetta alla nascita e alla morte, si trova l’immortale. L’essenza
di ogni forma è l’immortalità Anche l’essenza di un filo d’erba
è l’immortalità Per questo il mondo della forma è sacro... Il campo del sacro
non è esclusivamente l’Essere o il non-manifesto. Considero il mondo della
forma come sacro.
A.C.: Se qualcuno vi domandasse semplicemente: “ il mondo è
reale o irreale?” direste che è reale o dovreste dare una risposta sfumata.
E.T.: Probabilmente darei una risposta sfumata.
A.C.: Dicendo cosa?
E.T.: E’ una manifestazione temporanea del reale.
A.C.: Allora se il mondo è una manifestazione temporanea del
reale, cosa è una relazione risvegliata del mondo?
E.T.: Per il non-risvegliato il mondo è tutto ciò che esiste.
Non c’è nient’altro. Questo modo di coscienza limitato nel tempo si attacca
al passato per la sua identità e ha disperatamente bisogno del mondo per la
sua felicità e la sua realizzazione. Pertanto, il
mondo porta un’immensa promessa, ma fa pesare, al tempo steso una grossa minaccia. E’ il dilemma della coscienza
non-illuminata: è divisa tra cercare la realizzazione nel e attraverso il
mondo e essere continuamente sotto la sua minaccia.
Una
persona spera che si ritroverà nel mondo, ma al tempo stesso teme che il mondo
lo uccida, secondo la sua volontà. E’ lo stato di continuo conflitto al quale è condannata la coscienza non-risvegliata, essere continuamente
tra il desiderio e la paura. E’ terribile. La coscienza risvegliata è radicata
nel non-manifesto ed è Uno con questo. Sa di essere questo. Si potrebbe quasi dire che è lo sguardo del
non-manifesto.
Anche
con una cosa semplice come percepire visivamente una forma, come un fiore
o un albero, se la percepisce in uno stato di grande attenzione
e di calma interiore, libera dal passato e dal futuro, allora in quell’istante
il non-manifesto è già presene. In quell’istante non siete più una persona.
Il non-manifesto si percepisce da solo in una forma. E,
in questa percezione, si trova sempre un senso di bontà. Ogni azione che viene
in seguito a questo possiede una qualità completamente
differente dall’azione che proviene dalla coscienza non-risvegliata, che ha
bisogno di qualcosa e cerca di proteggersi. E’ realmente là dove si trovano
queste qualità preziose e intangibili che chiamiamo
amore, gioia e pace. Sono Uno con il non-manifesto, emergono
da Quello.
Un essere umano che è attaccato a questo e agisce e interagisce
di conseguenza, diventa una benedizione per il pianeta, mentre l’uomo non-risvegliato
è molto pesante per il pianeta. C’è una pesantezza associata al non-risvegliato.
Il pianeta soffre di milioni di uomini non-risvegliati.
Il fardello del pianeta è troppo pesante. A volte, posso sentirlo dire: “Oh,
basta, per favore”.
A.C.: Voi incoraggiate le persone a meditare fin che è possibile
su, come lo descrivete “riposare nella Presenza dell’Adesso”. Pensate che
questa pratica spirituale possa sempre essere veramente interiorizzata e avere
il potere di liberare se non si è già rinunciato al mondo e a ciò che rappresenta,
almeno a un certo livello?
E.T.: Non direi che la pratica ha da sola il potere di liberare.
E’ solo quando c’è un abbandono completo all’adesso, a ciò che è, che la liberazione
è possibile. Non penso che una pratica vi porterà a un abbandono completo. Questa si attua abitualmente nel seno
stesso della vita. Questa succede a voi nella vostra vita. Può succedere un
abbandono parziale, poi un’apertura, e poi potete impegnarvi in una pratica
spirituale. A meno che la pratica non sia giunta
ad un certo livello di profondità, non potrà generare questo abbandono.
A.C.: Ho trovato nel mio insegnamento qualcosa che funziona:
a meno che il mondo non sia stato visto attraverso una certa angolazione,
e a meno che non ci sia una volontà basata sulla ricerca di lasciar-andar
il mondo, qualunque sia l’intensità di una esperienza spirituale, non porterà
ad alcun tipo di liberazione.
E.T.: E’ vero, e la volontà di lasciar-andare è l’abbandono.
Ne è la chiave. Senza tale volontà non lo faranno
la intensificazioni della pratica e nemmeno le sperimentazioni
spirituali accumulate.
A.C.: Si, molte persone dicono che vogliono meditare o seguire
una pratica spirituale, ma le loro aspirazioni non si basano sulla volontà
di lasciar andare qualcosa di importante.
E.T.: No, infatti, sarebbe piuttosto il contrario: la pratica
spirituale può essere un pretesto per provare a trovare qualcosa di nuovo
con cui identificarsi.
A.C.: In definitiva, direste che si suppone che una pratica
o un’esperienza spirituale reale ci porti al lasciar andare il mondo, alla
sua trascendenza, alla rinuncia all’attaccamento al mondo?
E.T.: Si, le persone domandano a volte: “Come arrivate a questo?
Sembra meraviglioso, ma come ci arrivate?” Concretamente,
questo, significa dire semplicemente “si” nell’istante. E’ lo stato
d’abbandono, un “si” totale a ciò che è. E non il “no” interno
a ciò che è. Un “si” completo a ciò che è, è trascendere il mondo. E’ così semplice che questo,
un’apertura totale a ciò che sorge nell’istante. Lo stato solito della coscienza
è di resistervi, di fuggirlo, di negarlo, di non guardarlo.
A.C.: Dunque quando dite “si” a
ciò che è, volete dire di non evitare le cose, ma di affrontarle?
E.T.: Esattamente. E’ accogliere questo istante,
abbracciarlo, ed è uno stato d’abbandono. E’ realmente tutto ciò che è necessario.
La sola differenza tra un Maestro e il suo allievo è che il Maestro abbraccia
totalmente ciò che è. La porta è aperta; il non-manifesto è là. E’ la via
più efficace. Non possiamo considerarla come una pratica, perché non si situa
nel tempo.
A.C.:
Per la maggior parte delle persone che partecipano alla ricerca spirituale
dell’Oriente all’incontro con l’Occidente, sempre più veloce in questi ultimi
tempi, Gautama il Buddha e Ramana Maharshi (uno dei vedantici più rispettati oggi) spiccano tutti
e due come esempi ineguagliati di risveglio, splendido e in modo molto interessante,
ma, riguardo al giusto rapporto con il modo dell’aspirante spirituale, i loro
insegnamenti divergono considerevolmente.
Il Buddha, che
rinuncia al mondo, incoraggia i più sinceri a lasciare il mondo e a seguirlo
per vivere una vita santa, liberi dalle preoccupazioni e dagli affari della
vita di capofamiglia. Ramana Maharshi
scoraggia da parte sua i suoi discepoli a lasciare il focolare alla ricerca di
più grandi centri di interesse o d’intensità spirituale. Infatti, scoraggia
ogni atto di rinuncia al mondo esteriore e incoraggia piuttosto l’aspirante a
guardare in sé per trovare la causa dell’ignoranza e della sofferenza all’interno
di se stesso.
In effetti, molti dei suoi adepti, in
numero sempre crescente, dicono, oggi, che il desiderio di rinuncia è un
desiderio dell’ego, proprio la parte di cui vogliamo liberarci. Certo, il Buddha insiste molto sulla necessità
della rinuncia, del distacco, della costanza e della costruzione come veri
fondamenti sui quali può basarsi la liberazione interiore.
Perché pensate che gli approcci di questi
due illuminati siano così diversi? Perché il Buddha incoraggia i suoi seguaci a lasciare il mondo, mentre Ramana li incita a restare dove sono?
E.T.: Non c’è che una sola via efficace.
Nelle diverse epoche, certi approcci, hanno potuto funzionare bene per una
certa epoca e non avere alcun effetto in un’altra. Il mondo in cui viviamo oggi
pesa molto di più, è molto più invadente. E quando dico il mondo includo la
mente dell’uomo. La mente dell’uomo si è continuamente sviluppata dall’epoca di
Buddha, 2500 anni fa. E’ più inquieta
e invadente e gli ego sono più forti. Si è verificato un accrescimento dell’ego
nelle migliaia di anni; è cresciuto fino alla follia e la follia è arrivata al
suo apogeo nel XX secolo.
Basta leggere la storia del XX secolo per vedere il
parossismo della follia umana, se la si misura in termini di violenza inflitta
a degli uomini da altri uomini. Oggi non possiamo più sfuggire al mondo; non
possiamo scappare dalla mente. Abbiamo bisogno d’entrare nell’abbandono mentre
siamo nel mondo. Questo sembra essere il cammino più efficace per il mondo in
cui viviamo. Forse all’epoca di Buddha
era molto più facile ritirarsi che non oggi. La mente dell’uomo non era così
dominante.
E.T.: Bene, diede le sue ragioni, ma alla
fine non sappiamo perché il Buddha
insiste sul fatto di ritirarsi dal mondo piuttosto che, come dice Ramana Maharshi “agire nel mondo”. Ma mi
sembra, dopo che ho osservato, che la via più efficace per le persone di oggi è
l’abbandono nel mondo piuttosto che provare a ritirarsi dal mondo e creare una
struttura che renda più facile l’abbandono. C’è già una contraddizione quando create
una struttura per rendere più facile l’abbandono. Perché non abbandonare fin da
ora? Non avete bisogno di fare nulla per rendere più facile l’abbandono perché
allora non è più vero abbandono. Sono stato nei monasteri buddisti e ho potuto
vedere a che punto si può fare facilmente (hanno lasciato il loro nome per
adottarne un altro, si sono rasati la testa, portano i loro abiti).
A.C.: Dite che è stato abbandonato un mondo
per un altro; una identificazione per un’altra; un ruolo è stato abbandonato
per assumerne un altro? Niente è stato veramente abbandonato?
E.T.: E’ vero. Per questo motivo fatelo
dove siete, qui e ora. Non è necessario cercare un altro posto, un’altra
condizione o un’altra situazione, ma fatelo qui. Fatelo qui e ora. Là dove
siete è il luogo ideale per abbandonare. Qualunque sia la situazione in cui vi
trovate, potete dire “si” a ciò che è, ed è il punto di partenza di ogni azione
ulteriore.
A.C.: Molti insegnanti e insegnamenti
dicono oggi che questo desiderio di rinunciare al mondo è l’espressione
dell’ego. Come lo vedete?
E.T.: Il desiderio di rinunciare al mondo è
ancora il desiderio di raggiungere uno stato, in cui non siete attualmente. E’
la proiezione mentale di uno stato che si desidera raggiungere, lo stato di
rinuncia. E’ una autoricerca attraverso il futuro. In questo senso è l’ego. La
vera rinuncia non è nel desiderio di rinunciare, viene come un abbandono. Non
potete avere il desiderio di abbandonare perché è un non-abbandono. L’abbandono
sorge a volte spontaneamente nelle persone che non hanno nemmeno un nome da
dargli. E so che l’apertura viene oggi a molte persone. Molte persone che
vengono a trovarmi hanno una grande
apertura. A volte non hanno bisogno che di qualche parola per intuire
immediatamente il gusto dell’abbandono, anche se non dura; ma l’apertura c’è.
A.C.: E che dire dell’appello spontaneo del
cuore ad abbandonare tutto ciò che è falso e illusorio, tutto ciò che è basato
sulla relazione materialista dell’ego alla vita? Per esempio, quando il Buddha decide: “devo lasciare la mia
casa dietro di me”, è difficile dire che si tratta di un desiderio egoista, la
ricerca di un risultato. E Gesù diceva: “venite e seguitemi, lasciate che i
morti seppelliscano i loro morti”
E.T.: E’ riconoscere il falso come falso,
soprattutto nel campo interiore; osservare le false identificazioni, il rumore
mentale, l’identificazione con immagini mentali, come l’entità “me”. Questa
scoperta è bella. Un’azione allora può emergere, il riconoscimento del falso e
forse potrete vederla riflettersi nelle circostanze della vostra vita, e allora
potete lasciarli dietro di voi, o no. Ma il riconoscere e il rinunciare a tutto
ciò che è falso e illusorio sono essenzialmente interiori.
A.C.: I due esempi di Buddha e di Gesù sarebbero così degli esempi di potenti
manifestazioni esteriori di questo riconoscimento interiore.
E.T.: Si. Non si può prevedere quale sarà
il risultato di questo riconoscimento interiore. E’ accaduto al Buddha perché era già un adulto quando
realizzò che gli uomini morivano, si ammalavano e invecchiavano. Questa scoperta
fu così forte che guardò in sé e si disse che niente
aveva senso se era tutto ciò che esisteva.
A.C.: Ma poi, fu costretto a partire, ad abbandonare il
suo regno. Da un certo punto di vista avrebbe potuto dirsi: “Bene, tutto è qui
e ora, e tutto ciò che devo far è abbandonare, qui e ora, senza condizione”.
Penso che il risultato avrebbe potuto essere molto diverso, sarebbe diventato
un re illuminato!
E.T.: Ma a quell’epoca non sapeva
ancora che tutto ciò che era necessario è l’abbandono.
A.C.: Quando Gesù domandava ai pescatori di
lasciare le loro famiglie e le loro vite per seguirlo e, in modo simile, quando
il Buddha passava nelle città e
chiamava gli uomini a lasciare tutto dietro di sé, il loro abbandono era
dimostrato concretamente con la loro partenza, dicendo “si” a Gesù e a Buddha e lasciando andare i loro
attaccamenti interiori. In questo caso, il lasciar andare non era solo una
metafora della trascendenza interiore; questo significava anche, letteralmente,
lasciar andare qualsiasi cosa.
E.T.: Per certe persone è in parte vero.
Possono lasciare il loro ambiente o le loro attività abituali, ma la vera
domanda è sapere se hanno già visto il falso in loro. Se non l’hanno mai visto,
il lasciar andare esteriore è solo una forma mascherata di stare meglio.
A.C.: Come ultima domanda, vorrei
interrogarvi sulla relazione tra la vostra comprensione del risveglio o
l’esperienza della coscienza non-duale, e gli obblighi mondani. Nel giudaismo
impegnarsi a pieno nel mondo com’è è considerata la realizzazione della
chiamata religiosa. Infatti dicono che non è vivendo con tutto il cuore i
comandamenti che il potenziale spirituale della razza umana si può manifestare
sulla terra. L’erudito ebreo David Ariel, ha scritto: “Noi terminiamo il lavoro di Dio… Dio ha
bisogno di noi perché siamo i soli che possono migliorare il mondo”.
Molti insegnamenti come il vostro sulla
non-dualità o il risveglio, privilegiano il risveglio individuale. Ma i nostri
fratelli ebrei sembrano richiamare a qualcosa di molto diverso, la
spiritualizzazione del mondo attraverso la partecipazione con tutto il cuore al
mondo di uomini e donne devoti. E’ vero che questi insegnamenti non-duali sul
risveglio privano il mondo di questa partecipazione con tutto il nostro cuore?
Questa nozione di trascendenza priva il mondo della possibilità di
spiritualizzazione come figli di Dio?
E.T.: No, perché un’azione giusta non può
uscire che da questo stato di trascendenza dal mondo. Ogni altra attività è
motivata dall’ego e, anche fare del bene, se è motivato dall’ego, avrà
conseguenze karmiche.
“Motivato dall’ego” significa che c’è un
retro-pensiero. Per esempio, se diventate una persona ai vostri occhi più
spirituale, questo fa risaltare la vostra immagine e vi fa bene; un altro
esempio sarebbe di aspettarsi una ricompensa in un’altra vita o in Paradiso.
Così, se c’è un retro-pensiero, non c’è purezza. Non può esserci vero amore
nelle vostre azioni se il mondo non è stato trasceso, perché non siete connesso
alla sorgente da dove nasce l’amore.
A.C.: Volete dire un’azione pura, non
oscurata dall’ego?
E.T.: Si, ma rimettiamo in ordine le cose.
In primo luogo ciò che viene è la realizzazione e la liberazione, per lasciare
che l’azione ne esca, e sarà pura, non macchiata, e non ci sarà più karma
associato. Se no, poco importa la altezza dei nostri ideali, noi rinforziamo
ancora l’ego attraverso le nostre buone azioni. Sfortunatamente, non potete
seguire i comandamenti, a meno di essere senza ego (e c’é poca gente che lo è);
è quello che tutte le persone che hanno provato ad applicare gli insegnamenti
del Cristo hanno scoperto.
“Amate il vostro prossimo come voi stessi”
è uno dei principali insegnamenti del Cristo e non potete seguire questo
comandamento, malgrado tutti i vostri sforzi, se non sapete chi siete al
livello più profondo.
“Amate il vostro prossimo come voi stessi”
significa che il vostro prossimo è voi stessi, e questo riconoscere l’Unità è
Amore.
3ème
Millenarie n. 65 – Traduzione di Luciana Scalabrini
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