venerdì 12 settembre 2014

IL MALEFICO "LIBRO DI DZYAN" E LA STORIA PROIBITA DELL'UMANITÀ

 
Esistono, nella storia delle cosiddette scienze occulte, due generi di "libri maledetti": quelli relativi alle pratiche della magia nera - i grimori - come la famigerata "Clavicola di Salomone"; e quelli relativi alla storia segreta dell'umanità, che narrano vicende altrimenti sconosciute e, generalmente, in contrasto con quanto insegnato sia dalla scienza accademica, sia dalle religioni, come è il caso del "Libro di Dzyan".

Ci siamo già occupati dei primi, sia pure di sfuggita, in un precedente lavoro intitolato "Il giardino d'inverno" (1). Anche il celebre "Necronomicon" dello scrittore Herbert Phillipis Lovecraft, dovrebbe rientrare in questa categoria; benché, trattandosi - come sembra - di un'opera appartenente agli "pseudo-biblia", sia difficile definirne esattamente il contenuto.



Come sapere con certezza di che cosa parla un libro di cui tutti parlano, ma che, molto probabilmente, non esiste? Anche su di esso, comunque, ci siamo soffermati, nel corso di una nostra conferenza, per cui non indugeremo oltre su tale argomento. (2)
 

Possiamo solo aggiungere che in alcune opere dello stesso Lovecraft, e particolarmente nel romanzo "Le montagne della follia", ricorrono elementi tipici della seconda categoria dei "libri maledetti", ossia un racconto della storia dell'umanità che comprende interventi di esseri spaziali, lotte fra questi e i primitivi abitanti del nostro pianeta, che sarebbero stati intelligenti, ma non umani; catastrofi dimenticate e concrete possibilità di un "ritorno", più o meno minaccioso, dei Grandi Antichi che, in un lontano passato, erano stati costretti ad allontanarsi nelle profondità siderali.
 

Possiamo anche notare un'altra cosa, e cioè che Lovecraft, in due suoi racconti, "L'abitatore del buio" e "Il diario di Alonzo Typer" (quest'ultimo, scritto a pagamento per un certo William Lumley), cita espressamente il "Libro di Dzyan" come tipico esempio di "libro maledetto", in un contesto narrativo che sta al confine fra il genere "horror" e quello "fantasy"; il che, probabilmente, ha contribuito alla diffusione della sua conoscenza entro la cerchia degli appassionati di questi due particolari rami della letteratura fantastica, ma non ha certo giovato alla eventualità che qualche studioso d'impostazione accademica lo prendesse sul serio in quanto opera storica, e sia pure con tutte le dovute cautele e le necessarie verifiche.
 

In effetti, l'unica versione nota in occidente del "Libro di Dzyan" è quella che Helena Petrovna Blavatskij ha tradotto in versi, intitolandola "Le Stanze dal Libro di Dzyan" (di fatto, sovente i non specialisti confondono i due titoli e le due opere) ed esponendola nel suo volume "La dottrina segreta" (3); che, assieme ad "Iside svelata", è generalmente considerata l'opera più importante 
della mistica russa e fondatrice della Società Teosofica.
 

D'altra parte, "La dottrina segreta", pubblicata per la prima volta nel 1888, in ben otto volumi, è un'opera la quale - sia per la mole spropositata, che per l'estrema complessità del linguaggio - ben poche persone hanno avuto la possibilità e la capacità di leggere integralmente; tanto che, se si può dire che assai pochi sono stati e sono i marxisti che abbiano letto davvero tutto "Il capitale", crediamo che perfino tra teosofi non siano molti coloro che possano vantarsi di aver letto dall'inizio alla fine questo libro sconcertante di Madame Blavatskij.
 

Abbiamo detto sconcertante; e la ragione non risiede solamente nel fatto che vi si traccia una storia estremamente varia e complessa delle origini dell'Universo, della Terra e della vita su di essa, evidentemente assai prima che vi fosse qualcuno capace di registrarla, ma anche nel fatto che nessuno, in effetti, ha mai visto il "Libro di Dzyan", almeno in Occidente. Circa la sua effettiva esistenza, infatti, possediamo la sola testimonianza di Helena Blavatskij; la quale, a sua volta, sosteneva di essere stata nel Tibet, A Lhasa, dove avrebbe avuto la possibilità di prenderne visione e stenderne un compendio in versi; ma gli studi sulla sua biografia tendono a mettere in dubbio che ella sia realmente penetrata in quel Paese, allora quasi inaccessibile agli stranieri, in special modo occidentali.
 

Come se ciò non bastasse, la teosofa russa sosteneva che esso era scritto in una lingua pre-ariana ora completamente dimenticata, il "senzar"; e che esso sarebbe stato dettato dagli Atlantidi, ossia i membri della quarta razza "creata" sul nostro pianeta dagli dèi "costruttori" provenienti dallo spazio, e poi distrutta da una immensa catastrofe e sommersa dalle acque di un Diluvio (mentre la razza attuale, alla quale noi apparteniamo, sarebbe la quinta della serie). Ma non esistono prove dell'esistenza della lingua "senzar", esattamente come nel caso delle fantomatiche "tavolette Naacal" di James Churchward, sostenitore dell'esistenza di una antichissima civiltà del Pacifico situata nel continente, ora scomparso, di Mu; né si capisce come avrebbe fatto Madame Blavatskij a tradurre una lingua morta e totalmente sconosciuta.
 

Una possibile spiegazione sarebbe che la copia originale del "Libro di Dzyan", di cui esistono forse anche dei codici posteriori, non consisterebbe in un libro vero e proprio, come noi lo intendiamo, fatto cioè di pagine riempite da caratteri destinati alla lettura; bensì sarebbe una sorta di oggetto "magico" il cui contenuto verrebbe compreso intuitivamente, per via telepatica, da coloro i quali vi poggiano sopra la mano sinistra, ma solo a determinate condizioni: in particolare, quella di possedere una mente ed un cuore sgombri da secondi fini o desideri impuri. Tale, infatti, è la descrizione che la teosofa russa fa di questo libro "maledetto".
 

È chiaro che una simile ipotesi di lavoro non può soddisfare le esigenze degli studiosi di formazione accademica; i quali, di conseguenza, si rifiutano semplicemente di prenderla anche solo in considerazione. D'altra parte, bisogna riconoscere che perfino nell'ambiente dei teosofi esistono opinioni contrastanti circa l'autenticità del libro; e se David Reigle propende per collegarlo al "Kalachakra Tantra", famoso testo del buddismo Vajrayana, dal canto suo Sylvia Cranston (pseudonimo di Anita Atkins) pensava che il "Libro di Dzyan" non sia mai esistito, e che, pertanto, le "Stanze dal Libro di Dzyan" altro non siano che un parto della mente (ma non necessariamente di carattere fantastico) di Helena Blavatskij. (4)
 

D'altra parte, accenni al "Libro di Dzyan" esistono già prima della mistica russa, anche se si tratta di notizie chiaramente di seconda mano: ne parlano, fra l'altro, il matematico e astronomo francese Jean Sylvain Bailly (1736-1793), alla fine del XVII secolo, e un occultista, sempre francese, Luois Jacolliot (1837-1890), nel secolo successivo.
 

Oltre a ciò, prima di liquidare le "Stanze" di madame Blavatskij come un'opera di pura fantasia, bisogna tenere presente il fatto che, ne "La dottrina segreta", ella si serve di un immenso apparato di riferimenti e citazioni dalle fonti più disparate. Molti hanno gridato al plagio e si sono soffermati a mostrare quanti passi ella abbia tolto da altri autori, senza citarne la fonte; ma la cosa è più complessa di come sembra, perché ricerche accurate avrebbero dimostrato che, in moltissimi casi, ella "non possedeva affatto i testi in questione, né avrebbe potuto procurarseli facilmente". 

Questa circostanza riporta sul tappeto la questione della telepatia e della supposta capacità, da parte del "medium" - ed Helena Blavatskij certamente possedeva doti medianiche - di accedere a quel grande deposito di conoscenze cosmiche che è l'Akhasa, ove tutti gli eventi passati, presenti e futuri, sono per così dire fedelmente registrati, come su un nastro magnetico, e del quale ci siamo altra volta occupati. (5)
 

I cultori della Tradizione parlano dell'Akasa come di una realtà dimensionale diversa dalla nostra, ma in qualche modo parallela e, a determinate condizioni, comunicante con essa, alla quale possono accedere appunto le persone dotate di particolari poteri. Si tratterebbe di una sorta di grande "deposito cosmico" ove sussistono, in una condizione intermedia tra la fisica e la psichica, tutti gli enti che sono stati, che sono e che saranno, tutti i mondi possibili che la mente può evocare, compresi i sogni a occhi aperti dei bambini.

 

Scrive Yves Naud, un autore francese già ben conosciuto dal pubblico italiano per il volume "La vendetta dei Faraoni" (Ginevra, 1977; ripubblicato dai Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1990), nel suo "Enigmi degli U.F.O. e degli extraterrestri" (6):

«Esistono, nel mondo, dei libri maledetti che una sorta di "Santa Alleanza contro il sapere" ha combattuto aspramente dai tempi più remoti fino ai nostri giorni?
 

Da Lovecraft a Sax Rohmer, da Edgar Wallace a Coleridge. Il tema del "libro maledetto" ha ispirato numerosi scrittori. Bastano pochi esempi a dimostrare che non si tratta sempre di un tema puramente letterario. Nel 1885 Saint-Yves d'Alveydre, considerato uno dei primi teorici della Sinarchia, riceve l'ordine, sotto pena di morte, di distruggere la sua ultima opera "Mission de l'Inde en Europe et Mission de l'Europe en Asie". Sain Yves obbedisce all'ordine. Un solo esemplare sfugge miracolosamente alla distruzione.
 

Dodici anni dopo, nel 1897, gli eredi dello scrittore Stanislas de Guaita, uno dei maestri dell'occultismo, ricevono a loro volta l'ordine di far sparire quattro manoscritti inediti che trattavano di magia nera. In questo caso, tutti i testi vengono distrutti; nulla resta, da nessuna parte, di quei quattro libri.
 

Si potrebbe proseguire con gli esempi... Dall'antichità ai giorni nostri, la lista dei libri maledetti è lunghissima. Ci limiteremo, qui, a raccontare la storia di uno di questi libri. Una strana storia, come vedremo. (...)
 

Secondo il "Libro di Dzyan", i primi uomini della Terra erano discendenti dai Celesti o Pitris, venuti dalla Luna.
 

Il testo descrive l'evoluzione dell'uomo dalla prima razza fino alla quinta - la nostra - che si ferma alla morte di Krishna cinquemila anni fa. Scritto in una lingua assolutamente sconosciuta, il "senzar", si dice che sia stato dettato agli Atlantidi da esseri divini. Il "Libro di Dzyan" parla delle dinastie atlantidi divine e ricorda i "re del Sole" che occupavano "troni celesti".
 

Quest'epopea religiosa non potrebbe essere il ricordo distorto di extraterrestri, di Venusiani che si posarono sulla Luna e poi sulla Terra? I "re del sole" sono forse uomini dello spazio venuti a "colonizzare" la Terra su macchine spaziali?
 

Come è stato scoperto il "Libro di Dzyan"? Quali segreti nasconde? Presenta davvero dei pericoli per la nostra civiltà, come pretendono alcuni ricercatori? (...)
 

È alla fine del XVIII secolo che il mondo occidentale sente parlare per la prima volta del "Libro di Dzyan". In quell'occasione, l'astronomo Bailly afferma che il manoscritto viene dalle Indie, ma che in effetti è stato scritto... sul pianeta Venere!
 

Nel XIX secolo, un altro Francese, Louis Jacolliot, si interessa del "Libro di Dzyan" che egli chiama "Le Stanze di Dzyan". Ma la sventura sembra accanirsi contro tutti cloro che pretendono di possedere il manoscritto.
 

Per qualche anno i ricercatori - cedendo alla superstizione - rinunciano allo studio del manoscritto. Ma la questione torna alla ribalta con l'entrare in scena della famosa teosofa Elena Blavatskij.
 

Elena Petrovna Blavatskij nasce in Russia il 30 luglio 1831. Fin dalla più tenera età sembra essere vittima - o istigatrice - di forze malefiche. Il giorno del battesimo la pianeta del pope prende fuoco senza motivo, il che provoca il panico tra gli invitati, molti dei quali rimangono feriti.
 

La serie nera continua via via che Elena cresce. A cinque anni si diverte a ipnotizzare i suoi compagni di giochi: uno di essi si getta in acqua e annega.
 

A quindici anni Elena manifesta doni di chiaroveggenza che terrorizzano la famiglia: smaschera alcuni criminali che la polizia non riusciva ad arrestare. Per tutto ringraziamento le autorità pensano di... metterla in prigione sostenendo che turba l'ordine pubblico. La famiglia interviene e la fa sposare, sperando che il matrimonio faccia sparire quei doni imbarazzanti. Ma Elena fugge e raggiunge il porto di Odessa, dove si imbarca per Costantinopoli., Da lì passa in Egitto. (...)
 

Al Cairo Elena vive con un mago di origine copta che le manifesta l'esistenza di un libro maledetto, dai poteri nefasti.»

 

Si trattava, naturalmente, del "Libro di Dzyan", del quale Helena Blavatskij si mise alla ricerca e che finì per trovare, forse con l'aiuto di quei "Maestri occulti" tibetani dei quali ella ha parlato frequentemente, e sulla cui realtà e natura si dividono, su fronti opposti, coloro che la considerano una ciarlatana, e sia pure dotata di facoltà insolite e di una certa genialità istrionesca, e coloro che la considerano una autentica iniziata.
 

Tra questi ultimi, Paola Giovetti ricorda la testimonianza del colonnello Henry Steel Olcott, secondo il quale la donna scriveva le sue opere in un evidente stato di "trance" ipnotica; e aggiunge che ella sembrava "copiare" da un manoscritto visibile a lei soltanto; tanto più che, spesso, i brani da lei citati a memoria figuravano su libri estremamente rari, ad esempio reperibili solo presso la Biblioteca Vaticana o il British Museum. (7)
 

Tra coloro che hanno cercato di interpretare il "Libro di Dzyan" alla luce delle conoscenze oggi in nostro possesso nei diversi campi della linguistica comparata, dell'archeologia, della mitologia, della geologia e della storia antica, merita una menzione Valentino Compassi, che se ne è occupato nel suo libro "La colonna di fuoco".
 

Forse particolarmente interessato alle tecnologie perdute, il suo approccio al problema rappresentato dal misterioso libro tibetano è dichiaratamente di tipo anti-spiritualistico e, pertanto, diametralmente opposto a quello di Madame Blavatskij. Eppure molte delle osservazioni di Compassi potrebbero essere sottoscritte da uno studioso di tendenza spiritualistica, in particolare l'insofferenza per la "Vulgata" oggi corrente sulle origini dell'uomo, basata su un rozzo materialismo evoluzionista secondo, il quale, a un certo punto - non si sa come e perché - un nostro lontanissimo antenati erbivoro ed arboricolo si sarebbe trasformato in carnivoro e terricolo.
 

Compassi, inoltre, si serve di frequenti accostamenti ad altri ambiti culturali e ad altri testi, dal "Popol Vuh" dei Quiché all'Atlantide di Platone, per mostrare le concordanze esistenti fra il racconto del "Libro di Dzyan" e altre culture e mitologie. Intendendo, per mitologie, delle forme di conoscenza diverse e niente affatto inferiori, anzi semmai superiori alla pretesa conoscenza scientifica occidentale moderna. (8)
 

Ad ogni modo, è da deprecare - a nostro avviso - che nessuno studioso di formazione accademica si sia mai preso la briga di indagare con un minimo di serenità di giudizio, sgombro da preconcetti, le tesi di fondo esposte ne "La dottrina segreta" e, più specificamente, nel "Libro di Dzyan".
 

Le difficoltà, evidentemente, non sono solo di natura tecnica - in quanto tale studio presuppone vaste e diversificate conoscenze in campi tra loro assai diversi, dalla cosmologia, alla geologia, all'antropologia - ma anche e soprattutto di natura metodologica e filosofica. 

Metodologica: perché, come si è detto, sarebbe necessario lavorare sulla base di indicazioni che ben raramente possono essere sorrette da certezze scientifiche, nel senso oggi attribuito a quest'ultimo termine, anche se non per questo totalmente infondate e gratuite. 

Filosofica: perché l'idea di una umanità - anzi, di una serie di razza umane distinte, succedutesi nel tempo - volta a volta "costruite" e distrutte da esseri provenienti dallo spazio, urta sia con la concezione delle grandi religioni esistenti, sia - più in generale - con una visione "trascendente" e finalistica della vita e di quel tipo particolare di vita, che è la vita umana.
 

Scrive, dunque, Valentino Compassi nel suo libro già citato, "La colonna di fuoco. Origine interplanetaria delle religioni" (9):

«Come accennato, esiste un Libro Sacro, custodito nel Tibet più segreto, che si chiama "Le Stanze di Dzyan": esso è un vorticare di altissima e remota tecnologia e il suo contenuto spazia dalla creazione dell'Universo visibile, alla meravigliosa comparsa di Esseri celesti sulla Terra e quindi alla formazione dell'essere umano con vari esperimenti di strabiliante ingegneria genetica, da parte di questi esseri. Il magnifico Libro ha ben poco di misticismo; inviolabile nella sua copia originale, è anteriore al nostro mondo ed è stato scritto con la "lingua degli Dei". I suoi grandissimi fogli sono di colore nero e densi di simbolismi a caratteri d'oro zecchino; è un libro colossale, pesantissimo, chiuso alla maniera tibetana tra due spesse tavole, ma sono tavole di oro purissimo e magistralmente cesellate. Le "Stanze di Dzyan" è un Libro Sacro magnetico nel senso che, appoggiando il palmo della mano sinistra sui suoi simboli profondi e avendo l'animo e la mente completamente scevri da qualsiasi impurità, si vedono passare avvenimenti, si odono voci, si percepiscono segreti svelati.
 

Il testo è diviso in due parti: la prima, Evoluzione cosmica, consta di 7 Stanze (capitoli) e 53 capoversi; la seconda, Antropogenesi, comprende 12 Stanze e 49 capoversi. La grande studiosa russa Helena Petrovna Blavatsky (1831-1891), viaggiatrice dallo spirito irrequieto e fondatrice nel 1875 della Società Teosofica, ha lasciato ottimi libri di commento sulle "Stanze di Dzyan" (La dottrina segreta), ma sono commenti e direttive prettamente esoterici; non è dato sapere del resto, se la Blavatsky, durante il suo ipotetico ingresso nel Tibet nascosto, abbia potuto prendere visione del Libro Sacro oppure ne abbia potuto assaporare il contenuto soltanto da una copia (non integrale) durante il suo soggiorno in India.
 

Reputiamo indispensabile analizzare alcuni passi riguardanti l'Antropogenesi e tradurli o interpretarli in modo concreto, senza i soliti misticismi; così operando otterremmo una visione davvero sorprendente su meravigliose e remote descrizioni concernenti la non più misteriosa comparsa dell'uomo sulla Terra. La discesa di Esseri dallo spazio cosmico, la loro divinizzazione, i loro terrificanti combattimenti con Esseri mostruosi che popolavano questo pianeta e, cosa estremamente valida e importante, i loro vari tentativi di creare una Razza a loro immagine e somiglianza, abbastanza funzionante sul pianeta Terra: Una Razza scaturita da vari esperimenti basati sull'ingegneria genetica.
 

Questa è l'Antropologia spaziale o Antropologia cosmica; una scienza d'avanguardia che è un atto di coraggiosa rottura con gli studi e le teorie sino ad ora formulati sul mistero dell'origine dell'uomo. Antropologia cosmica significa immagazzinare, registrare ed elaborare un'infinità di elementi, un turbine di avvenimenti in un vortice di concrete possibilità; significa mettere ordine tra le righe di antichissimi testi e saper ben leggere tra le righe, cogliere significati occulti di fatti storici o religiosi per ottenere così una chiara visualizzazione mentale sul passato remoto dell'Uomo. (...)
 

Queste doverose, brevi premesse, prima di cominciare lo studio di alcune descrizioni contenute nell'Antropogenesi delle "Stanze di Dzyan": diremo ancora che il termine "Dzyan" deriva certamente da "Dhyâni", Dei planetari. Formatori e costruttori che, assieme ai "Lhâ", Dei celesti con poteri sovrumani e ai "Lhâmayn", Dei risplendenti inferiori, misero ordine sul pianeta Terra e cominciarono a costruire le razze umane, alcune distrutte perché mal riuscite, fino a giungere alla Quinta Schiatta, che tuttora alberga sulla Terra.

"Allora i costruttori, indossate le loro prime vestimenta, discendono sulla terra radiosa e regnano sugli uomini che sono loro stessi" (Stanza VII-7).

Soffermandoci sul termine 'allora', viene spontaneo osservare che trattasi di un'azione consequenziale, cioè il succo, il riepilogo, seguito da una decisione, di una lunghissima preparazione al disegno programmato da una civiltà planetaria, di colonizzare il pianeta Terra. 

L'interpretazione di questa frase suona così:

"Dopo la suprema decisione, i cosmonauti, che avevano il compito di formare una Razza umana, atterrarono sul pianeta Terra in pieno giorno e da quel momento essi sono capi e re della futura Razza terrestre da loro formata e costruita."

I "Costruttori" erano scesi sulla Terra dopo che il Pianeta aveva subito sconvolgimenti catastrofici e dopo la comparsa di Razze mostruose sulla sua superficie.

"La ruota girò per trenta crore ancora... dopo trenta crore si rivolse... essa creò dal proprio grembo. Sviluppò uomini acquatici terribili e malvagi... I Dhyâni vennero e guardarono. I Dhyâni vennero dal lucente padre-madre, dalle regioni bianco latte, dalle dimore dei mortali immortali... essi furono malcontenti... non Rûpa adatti per i nostri fratelli del quinto. Non dimore per le vite... e le fiamme vennero. I fuochi con le scintille... I Lhâ dall'alto ed i Lhâmayn dal basso vennero. Essi uccisero le forme che avevano due e quattro facce. Combatterono contro uomini-capra e contro uomini dal capo di cane e contro gli uomini dal corpo di pesce" (Stanza II-6).

Tenendo presente che il termine "Rûpa" sta ad indicare "modelli, forme" e che il termine "crora" indica un tempo di milioni di ani, la nostra interpretazione suona così:
 

La Terra giurò vorticosamente ancora per molti milioni di anni, quindi si ribaltò... Dopo la catastrofe sorsero degli Esseri acquatici terribili, dal grembo della Tera. I Dyhâni vennero dalle luminose profondità dello spazio, dalle dimore dei mortali-immortali e non furono contenti: "Qui non ci sono forme adatte alla vita; non c'è possibilità per i nostri fratelli del Quinto pianeta". E decisero. Cominciarono a vomitare fuoco, coadiuvati dalle forze di aria e di terra. I mostri furono uccisi: gli uomini-capra e gli uomini dalla testa di cane scomparvero, così come gli uomini dal corpo di pesce...
 

Considerazioni: la descrizione che la Terra si ribaltò è quanto mai veritiera. Il papiro Haris (1.300 a.C.) fa riferimento ad una "catastrofe di fuoco e di acqua che provocò il rivoltarsi della Terra"; il papiro Ipuwer (1.250 a.C.) precisa che "il mondo prese a girare a rovescio come se fosse una ruota del vasaio e la Terra si è capovolta"; il papiro Hermitage (1.700 a.C.) afferma che "il mondo si è capovolto" e per finire l'antichissimo testo indù "Visuddhi Magga" sostiene che la terra venne "scrollata", si capovolse e un ciclo del mondo ne rimase distrutto. Dopo aver descritto la prima e la seconda Razza, rispettivamente Esseri formati da un connubio tra appartenenti a un pianeta giallo e altri di un pineta bianco nonché i prodotti "per germinazione ed espansione, l'A-sessuale della senza sesso" (vedi essere androgino), il Sacro Testo passa a descrivere la formazione della Terza e Quarta Razza:

"Il bianco cigno della volta stellata adombrò la grande goccia. L'uovo della Razza futura, l'uomo-cigno della Terza che venne più tardi. Prima maschio-femmina, poi uomo e donna..." (Stanza VI-22).
La bianca costellazione del Cigno dunque, adombrava la Terra (Grande goccia), allorché fu costruita la Terza Razza che venne appunto chiamata Razza-Cigno; una Razza diretta discendente dall'Essere androgino. Infatti viene specificato che mentre prima esisteva l'Essere Maschio-Femmina (cioè bisessuale), dopo l'intervento si ebbe lo stesso Essere che era diventato due, cioè Uomo e Donna.
 

Ma ecco una descrizione più dettagliata:
"Gli animali si separarono per primi; essi cominciarono a far Razza. L'uomo duplice si separò pure. Egli disse: 'Facciamo come loro, uniamoci e formiamo delle creature'. E così fecero... e generarono dei mostri. Una Razza di mostri deformi coperti di pelo rosso, che camminavano a quattro zampe. Una Razza muta perché l'onta non fosse narrata" (Stanza VIII, 31-32).

Questo secondo intervento dei "Formatori" e dei "Costruttori" fu quindi dapprima sperimentato sugli animali e poi sull'Essere androgino, che era sì intelligente ma, come vedremo, non poteva dirsi 'ragionevole'. Anche questo Essere, divenuto due, cominciò ad accoppiarsi come del resto facevano da tempo gli animali e diede origine a una Razza di Mostri, che camminavano a quattro zampe ed erano coperti di pelo rosso. "Una razza muta, perché l'onta non fosse narrata"!
 

Dobbiamo ricordare che anche il "Popol Vuh", la meravigliosa Bibbia del popolo Quiché del Guatemala, fa menzione di questa Razza 'mostruosa'. Quest'opera, chiamata anche "Libro del Consiglio", "Libro Sacro", "Popol Buj", "Libro nazionale dei Quiché", fu scoperta nei meandri del Santuario di San Tomas Chichicastenago da padre Francisco Ximenes e venne tradotta nel 1701. 

Il prezioso manoscritto contiene le credenze e le cognizioni cosmogoniche di quel popolo, dalle sue origini fino al 1550 circa; viene chiaramente menzionata la "faccia rotonda della Terra" e la creazione dell'Universo (che rispecchia le descrizioni degli antichissimi "Veda" dell'India antica!). Il "Popol Vuh" descrive una razza di uomini 'sbagliati' che vennero annientati senza misericordia dai "Formatori", per la loro pessima riuscita; poi subito passa a descrivere le scimmie: "e dicono che i loro discendenti siano le scimmie che vivono oggi nelle foreste... perciò la scimmia rassomiglia all'uomo, come ricordo di una creazione umana di uomini che altro non erano se non fantocci di legno... "
 

Ravvisiamo nella descrizione "fantocci di legno" un Essere privo di mente, quasi un robot; quindi una creazione priva di qualsiasi sentimento. Prende quindi consistenza la nuova teoria secondo la quale sono le scimmie a derivare da una Razza di uomini sbagliati e non l'Uomo a derivare da un branco di animali pelosi, stupidi e, secondo la scienza ufficiale, ribelli alla loro natura e traditori dei loro più naturali e normali istinti animaleschi (Carleton S. Coon nel suo "Storia dell'uomo", appare oltremodo sbrigativo nel descrivere l'origine dell'uomo terrestre da un branco di scimmie che, stanche di vivere sugli alberi e di magiare frutta, cominciò a vivere al suolo e a mangiare carne...!), nemmeno un animale in cattività tradisce i suoi intimi istinti.
 

È come se noi affermassimo categoricamente che in un lontano futuro, un branco di cani stancatisi di vivere a terra cominciassero a salire sugli alberi a mangiare banane e frutta.
 

Dopo l'esperimento della Terza razza, ecco che le "Stanze di Dzyan" passano alla descrizione della formazione della Quarta:

"Vedendo la qual cosa i Lhâ, che non avevano costruito uomini, piansero dicendo: 'Gli Amanâsa hanno disonorato le nostre future dimore...insegniamo loro meglio perché di peggio non avvenga...'; Così fecero. Allora tutti gli uomini divennero dotati di manas... La quarta razza sviluppò la parola" (Stanza IX, 33-34-35-36).

Questa volta non i Dyhâni ma i Lhâ, Dei celesti con poteri sovrumani, restarono delusi dalla riuscita di questo terzo esperimento che aveva generato degli Esseri "Amanâsa", cioè senza "Manas", senza mente. E allora corsero ai ripari: aggiunsero qualcosa per cui la Terza Razza svliuppò la parola e divenne così la Quarta razza che, se pur non proprio gradevole dal punto di vista estetico, divenne intelligente.
 

Ma ecco che l'intelligenza sviluppò evidentemente anche la malignità e la cattiveria per cui ricominciarono i guai:

"La Terza e la Quarta divennero gonfie di orgoglio: 'Noi siamo i re, noi siamo gli dei'. Essi presero mogli belle a vedere. Mogli dai senza-mente, da quelli dal capo schiacciato: essi generarono dei mostri, demoni malvagi maschi e femmine, anche Khado, con piccole menti..." (Stanza X, 40-41).

Si deve quindi dedurre che la Terza Razza, mal riuscita, non fu annientata ma fu rifinita e modificata; tuttavia molti esemplari dovettero rimanere, specialmente donne, per cui da questi accoppiamenti si generò una Razza cattiva con la comparsa di Khado, ovvero Esseri inferiori con piccole menti.
 

Ricapitolando: dalla Terza Razza modificata (cioè dotata di mente) si ebbero due specie: una originata da accoppiamenti di appartenenti dalla Terza modificata e una originata da accoppiamenti Terza modificata con donne della Terza non rifinita.
 

Avvenne quindi che la Quarta Razza, invece di progredire, ottenne dei processi involutivi fisici e mentali rispetto alla dotazione del "Manas" difatti il senso della ragione, a poco a poco, fu adoperato sempre più per scopi anormali e malefici:

"Eressero templi al corpo umano. Essi adorarono il maschio e la femmina. Allora il terzo occhio cessò di funzionare..." (Stanza X, 42).

Il senso della ragione quindi, era servito esclusivamente ad erigere Templi al porto umano, ad abbrutirsi in una errata Religione e ad atrofizzarsi nel 'culto di se stessi': fu una Razza forte ma tuttavia malvagia, che dimenticò ben presto i propri Costruttori.
 

Fu questa la famosa Razza dei Giganti:

"Essi fabbricarono immense città. Fabbricarono con terre e metalli rari dei fuochi vomitati, della pietra bianca delle montagne e della pietra nera. Essi scolpirono le proprie immagini, della propria grandezza e somiglianza e le adorarono. Essi fabbricarono grandi immagini, grandi nove yati, statura del loro corpo..." (Stanza XI, 43-44).

Costruire immagini a propria grandezza e somiglianza adoperando lava (fuochi vomitanti), marmo (pietra bianca) e basalto (pietra nera) significa già essere in possesso di tecnologie avanzate; il costruirle poi alte nove yati, statura del loro corpo, sta ad indicare che quegli Esseri erano alti dagli otto ai nove metri.
 

Infatti 1 Yati è pari a 3 piedi, il che significa un totale di ben 27 piedi; sviluppando le indicazioni:
Piede romano antico - 0, 2960 m = 29,60 cm x 27 = 799,2 cm = 8 m
Piede parigino - 0,3268 m = 32,68 cm = x 27 = 822,36 cm = 8 m e più.
Piede inglese - 0,3047 m = 30,47 cm = x 27 = 822,69 cm = 8 m
 

Se volessimo poi prendere una misura ad occhio, nel senso di calcolare il piede con una media di 25 cm, il risultato sarà 25 x 27 = 675 cm pari a circa 7 m.
 

Rimandiamo il cortese lettore al capitolo diciannovesimo per altri studi sulla Razza dei Giganti, in special modo quelli descritti dalla Bibbia e da quel grandissimo personaggio che fu Enoch, continuiamo la presentazione delle "Stanze di Dzyan", riguardo la scomparsa della Quarta Razza:

"L'acqua minacciava la Quarta. Le prime grandi acque venero. Esse inghiottirono le sette grandi isole. Tutti i santi salvati, gli empi distrutti. Con questi, molti degli animali colossali prodotti dal sudore della terra..." (Stanza XI, 45-46).

Si fa quindi espresso riferimento ad una catastrofe avvenuta sul pianeta Terra nella notte dei Tempi, per cui potrebbe essere sia il ben noto Diluvio universale, sia la scomparsa del continente di Atlantide, sia la caduta di un immenso meteorite e sia l'esplosione e la disintegrazione di un intero pianeta del sistema solare. Per quanto riguarda il Diluvio, l'avvenimento viene da noi analizzato attentamente al capitolo sedicesimo mentre meritano una breve relazione gli studi effettuati sulla scomparsa di Atlantide e sulla disintegrazione di un grande pianeta del nostro sistema.
 

Per quanto riguarda la scomparsa di Atlantide, riporteremo quanto scritto nel manoscritto Troano:
 

Nell'anno 6 del Kan, l'11 Muluc del mese di Zac, si produssero tre tremendi terremoti, che continuarono senza interruzione fino al 13 Chuen. La contrada delle Colline d'Argilla e il paese di Mu furono sacrificati. Dopo essere stati squassati in due riprese, disparvero improvvisamente durante la notte; le forze vulcaniche facevano abbassare e sollevare continuamente il suolo in parecchie località, finché cedette e le contrade furono di conseguenza separate le une dalle altre e poi disperse. Non potendo esse resistere alle tremende convulsioni, si sommersero, trascinando con sé 64.000.000 di abitanti.
 

Ciò accadde ottomila anni prima della composizione di questo libro.
 

Il manoscritto Troano data 1.500 anni a.C. e venne tradotto dall'abate Charles Etienne Brasseur de Bourbourg nel 1864; ha quindi 11.490 anni [cioè, nel 2008, è antico di 11.508 anni]. 

Riferendoci all'esplosione di un intero pianeta del sistema solare diremo che Thomas van Flandern, affermò nel 1976, dopo minuziosi calcoli effettuati sulle orbite di 60 comete, che 16 milioni di anni fa esisteva un grande pianeta situato fra Marte e Giove, e che si disintegrò a causa di una violentissima esplosione, scaraventando nello spazio un'immensa quantità di frammenti che oggi formano le ben note fasce di asteroidi. Anche il grande Giovanni Keplero (1571-1630) nelle sue "Leggi" osservava: "Tra Marte e Giove io colloco un pianeta".
 

Nel capoverso in esame si fa anche implicito riferimento alla scomparsa di animali colossali, il che dovrebbe equivalere alla cosiddetta "scomparsa dei dinosauri": un modo come un altro per indicare la scomparsa di tutta la vita sulla Terra.
 

Il discorso diventa un po' complicato quando si prende in esame la frase: "Tutti i santi salvati, gli empi distrutti". Forse si allude alla salvezza dei prescelti (tipo Noé) tuttavia non si menzione a costruzioni di mezzi speciali atti a portare in salvo coloro che avrebbero dovuto perpetuare i contatti tra la razza terrestre dei sopravvissuti e le Divinità Costruttrici.
 

La Quinta Razza, quella presente sulla Terra, sembra non abbia ricevuto alcun intervento di ingegneria genetica; è rimasta quella uscita malconcia , ma salva, da una catastrofe procurata. 

Una Razza che si avvaleva di alleanze e patti con gli Dei, visti i precedenti e fallimentari tentativi; una Razza presumibilmente mista a d incroci con le stesse Divinità per cui potrebbero essere sorte due Stirpi: una direttamente apparentata con gli Esseri superiori ed una prettamente terrestre. Dimostrare questa ipotesi è difficile o quanto meno richiederebbe fiumi d'inchiostro (...).
 

Dopo la catastrofe ecco la discesa degli Dei, contenti per quella loro selezione e appagati forse, nella loro vendetta:

"La Quinta prodotta dalla santa schiatta rimase: era governata dai primi re divini. I serpenti che ridiscesero, che fecero pace con la Quinta, che l'ammaestrarono e l'istruirono..." (Stanza XII, 48-49).

Ecco quindi gli Dei che, nella loro infinita pazienza, "ridiscendono" tra i sopravvissuti per portare Leggi e impartire direttive ma anche per comminare esemplari punizioni e scatenare guerre... Sono Essi che hanno dato inizio alle religioni del Mondo.»
 

L'analisi condotta da Valentino Compassi è puntuale e, per quanto presenti il limite innegabile della mancanza di sicure testimonianze storiche a conferma del quadro delineato nel "Libro di Dzyan", dobbiamo riconoscere che tale limite è oggettivo perché, almeno allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è possibile fare la "storia" della Terra e dei suoi antichissimi abitanti, ma solo affidarci alle labili tracce di racconti - come i dialoghi platonici "Timeo e Crizia" relativamente alla vicenda di Atlantide, o come il maya "Popol Vuh" relativamente al racconto del Diluvio - che sono, comunque, testimonianze assai tarde dei fatti che pretendono di descrivere, scritte, cioè, a migliaia di anni di distanza, raccogliendo tradizioni orali che non sono verificabili secondo i moderni criteri scientifici.
 

Ad ogni modo, una cosa emerge chiara dal "Libro di Dzyan", e cioè la sconvolgente novità rappresentata dall'affermazione che la vita umana, sul nostro pianeta, sarebbe il frutto di un "innesto" da parte di creature aliene; che vi sarebbero state più razze umane, succedutesi nel tempo mano a mano che venivano distrutte dai loro "costruttori" perché non ritenute idonee; e che una risonanza di tali vicende si trova nelle religioni storiche, che avrebbero deificato i "superiori" venuti dallo spazio.

 

Abbiamo visto che la cosmologia e l'antropologia descritte nel misterioso "Libro di Dzyan" presentano aspetti affascinanti ed inquietati al tempo stesso; ed è, forse, per tale ragione che esso - se esiste, è d'uopo precisare - è sempre stato circondato da un'atmosfera, più che di sospetto, di vera e propria esecrazione, tanto da essere considerato un "libro maledetto" (anche per gli influissi malefici che sarebbe in grado di esercitare sui "profani" che lo avvicinassero senza il doveroso atteggiamento spirituale).
 

Aggiungiamo ora che, appunto, uno degli aspetti più affascinanti ed inquietanti della cosmologia in esso contenuta è la straordinaria analogia con una teoria scientifica recentissima,: quella che i fisici odierni hanno battezzato "Super-Spin". La cosa è stata notata, fra l'altro, da uno studioso del calibro di Corrado Malanga, da sempre interessato al tentativo di "spiegare" la fenomenologia ufologica - e, in modo particolare, i bruschi movimenti delle astronavi, effettuati ad altissima velocità, che contrastano con le leggi a noi note della fisica - in termini di aggiornamento del nostro paradigma scientifico e di profonda revisione dei concetti correnti della fisica classica; e alle sue ricerche in proposito rimandiamo il lettore. (10)
 

Rinunciando completamente, in questa sede, ad approfondire l'aspetto propriamente scientifico dell'ipotesi Super Spin, ci limiteremo a dire che, in essa, vengono rispettate le leggi della rotazione (Spin), ammettendo però che la natura della nostra percezione dei fenomeni fisici sia tale da poter deformare "apparentemente" le leggi dello spazio-tempo e i rapporti reciproci fra massa ed energia. In altri termini - come è stato osservato, appunto, da Malanga - l'ipotesi Super Spin (non accettata da tutta la comunità scientifica internazionale) sarebbe deterministica sul piano ontologico e indeterministica sul piano epistemologico: ossia, si basa sull'assunto che "esiste un Universo oggettivo", ma che la struttura dei nostri processi conoscitivi ci porta inevitabilmente ad averne una percezione di tipo indeterministico (si pensi solo al principio d'indeterminazione di Werner Heisenberg e al paradosso del gatto di Schrödinger, che può essere contemporaneamente vivo e morto: vero e proprio caso-limite della visione indeterministica del reale).
 

Resta il fatto che, se nelle prima parte delle "Stanze di Dzyan" di Helena Petrovna Blavatskij (dalla prima alla settima stanza) viene esposta, come cosmogonia dell'Universo, una realtà che - indipendentemente dal suo grado di attendibilità - contiene una precisa descrizione di quella che i fisici odierni hanno definito SSH (ovvero "Super Spin Hypothesis"), bisogna ammettere che il libro "La dottrina segreta" non può essere sbrigativamente liquidato come un'opera del tutto fantastica o delirante. Difficile, infatti, pensare che Madame Blavatskij, se era puramente e semplicemente una astuta mistificatrice, come i suoi detrattori sostengono, abbia potuto precorrere con tale lucidità una teoria fisica altamente sofisticata, la quale, nel contesto culturale e scientifico della seconda metà del XIX secolo, era addirittura inimmaginabile.
 

Torniamo, quindi, inevitabilmente, alla necessità di guardare all'opera originale cui la teosofa russa avrebbe attinto, ossia il misterioso testo tibetano "Il Libro di Dzyan", con una certa qual dose di rispetto, nonostante il fatto - indubbiamente imbarazzante, per la mentalità scientifica oggi dominante - che non esistano prove sicure della sua esistenza, quanto meno nei termini in cui ci è stato da lei descritto.
 

In altre parole, al di là della circostanza se Helena Blavatskij abbia materialmente avuto accesso, oppure no, al "Libro di Dzyan", resta da spiegare come ella possa avere avuto conoscenza di eventi (o teorie, secondo i punti di vista) che, ripetiamo, indipendentemente dal loro statuto di verità fattuali, restano pur sempre sbalorditivi dal punto di vista speculativo. I fatti esposti nelle "Stanze", in effetti, potrebbero anche non essere mai accaduti; ma il solo fatto che qualcuno abbia potuto "pensarli" nel 1.800, questo è qualcosa di per sé terribilmente affascinante.

 

Abbiamo già descritto sopra, con il saggista francese Yves Naud, le prime vicende relative alla divulgazione, presso il pubblico occidentale, del "Libro di Dzyan", da quando Jean Sylvain Bailly e Louis Jacolliot, per primi, lo menzionarono, fino a quando in esso si imbatté la giovane Helena Blavatskij. Questa era fuggita dalla Russia in compagnia di un'amica, lasciandosi un ricco e anziano marito alle spalle - che la famiglia le aveva quasi imposto - per recarsi, via Costantinopoli, in Egitto, ansiosa di abbeverarsi alla dottrina esoterica che, nella Valle del Nilo, affonda le sue più antiche origini.
 

Qui era entrata in stretti rapporti con uno strano personaggio di religione cristiano-copta, un mago o sedicente tale, il quale, per la prima volta, le aveva parlato di un misterioso libro dai poteri malefici e dalla dottrina segreta; e le aveva anche dato un prezioso consiglio su come evitare di subirne l'influsso nefasto.
 

Scrive dunque Yves Naud, nel suo ampio lavoro "Enigmi degli U.F.O. e degli extraterrestri", da noi già citato anche nella prima parte del presente articolo (11):

 

«Al Cairo Elena vive con un mago di origine copta che le rivela l'esistenza di un libro maledetto, dai poteri nefasti. Per evitare di incorrere nella maledizione del "Libro di Dzyan", basta leggerlo "per chiaroveggenza". Secondo il mago, il manoscritto rivelerebbe i segreti degli altri pianeti e l'arrivo sulla terra di "dei dello spazio" parecchi milioni di anni fa. Gli "dei" sarebbero stati originari di Venere, definito dal manoscritto "pianeta reale del sistema solare". Poco tempo dopo l'arrivo sulla Terra, le divinità venusiane avrebbero fondato vari regni iniziatici come l'Atlantide o la Monarchia di Mu, nell'area occupata oggi dall'Oceano Pacifico... (12) (...)
 

A quelle rivelazioni, l'immaginazione della signora Blavatskij si infiamma immediatamente. Essa afferma di aver letto, per chiaroveggenza, il "Libro di Dzyan", il che non appare impossibile se si tien conto dei suoi doni eccezionali. (13)
 

Ma è proprio il "Libro di Dzyan" che ha letto? Taluni sostengono sia stato Apollonio di Tiana a rivelare all'Occidente l'esistenza di quel libro. Infatti, secondo il biografo di Apollonio, Filostrato, il filosofo greco, a quanto pare, fu accolto con ogni onore dai saggi indù, che l'avrebbero iniziato ai loro più occulti segreti e, in particolare, gli avrebbero dato il "Libro di Dzyan", di cui forse Apollonio avrebbe riprodotto una parte.
 

Questa teoria sembra corroborata da alcuni passi di Apollonio. Il filosofo afferma infatti che nelle Indie esistono dei manoscritti vecchi di parecchi millenni. Quei libri sarebbero portatori di un'antica sapienza e testimonierebbero l'esistenza di civiltà scomparse in un remotissimo passato. 

Alcuni di quei testi sacri sarebbero stati portati in Egitto da Apollonio e affidati a società segrete religiose. Il mago copto, che pare fosse membro di una di quelle società, avrebbe permesso alla signora Blavatskij di consultare il "Libro di Dzyan". (...)
 

Dopo aver convissuto per qualche tempo col mago, la signora Blavatskij lascia il Cairo e va a Parigi dove vive grazie agli aiuti fornitigli dal padre. In seguito si reca a Londra e in America dove avvicina i Mormoni e viene iniziata al Vudu.
 

Tornata a Londra, pare che abbia fatto conoscenza con un certo Kout Houmi Lal Sing, a proposito del quale i pareri sono discordi. Secondo gli uni, non è esistito che nell'immaginazione della signora Blavatskij. Secondo altri, sarebbe esistito solo come "proiezione delle forze mentali" di iniziati indù che in tal modo mantenevano il contatto con Elena. Secondo altri ancora, era un agente di una setta segreta indù che avrebbe fatto della signora Blavatskij lo strumento dell'indipendenza dell'India. Ultima ipotesi: Kout Houmi sarebbe stato un agente dell'Intelligence Service.
 

In realtà, nessuno sa esattamente chi sia stato quel misterioso personaggio.
 

Una cosa sola è certa: tra Kout Houmi e la signora Blavatskij si stabilì una corrispondenza. Tutti i temi vi vengono affrontati: la religione, la fisica nucleare (cento anni fa!), la linguistica, ecc. Elena, che era totalmente incolta, diviene d'un tratto uno dei personaggi più colti del secolo! Le sue conoscenze vanno dalla semantica alla chimica spaziando per tutte le scienze antiche, presenti e future.
 

Qui sta il mistero. Come faceva, ad esempio, la signora Blavatskij a conoscere alla sua epoca gli effetti devastanti della... bomba atomica? Nessuno lo sa. Le malelingue suggeriscono che sia stato Robert Stow Mead, il suo segretario, che possedeva una vasta cultura, ad aiutare la signora Blavatskij a dar prova di genio! Ma è opportuno ristabilire la verità: Mead conobbe Elena solo nel 1889, cioè tre anni prima della sua morte, mentre i libri scritti dalla signora Blavatskij, "La dottrina segreta", "Il simbolismo arcaico delle religioni" e "Iside svelata", sono di parecchio anteriori a quella data. Inoltre, anche un brillante allievo di Cambridge come Mead non poteva aver scoperto la fissione dell'atomo prima di Curie e di Einstein! (...)

Nel 1855 la signora Blavatskij riceve ripetuti avvertimenti: se non restituisce immediatamente l'esemplare del "Libro di Dzyan" che sostiene di possedere, la sventura si abbatterà su di lei.
 

A partire da quel momento, la vita di Elena diviene un vero e proprio incubo: nel 1860 si ammala e, per tre anni, percorre tutta l'Europa come braccata da una forza invisibile.
 

Nel 1870, mentre torna per mare dall'Oriente, la nave esplode. La maggior parte dei viaggiatori sono ridotti in polvere. Non si tratta di un modo di dire: nessun cadavere viene ritrovato, i corpi sono letteralmente polverizzati. Come? Taluni avanzano l'idea di una bomba atomica tattica. La signora Blavatskij rimane incolume per miracolo.
 

Arrivata a Londra, organizza una conferenza stampa ma un folle tenta di ucciderla. Arrestato, l'uomo sostiene di essere stato teleguidato e di non essere stato padrone dei suoi atti,. Ancora una volta la signora Blavatskij sfugge a un attentato.
 

Per scongiurare la maledizione del "Libro di Dzyan" Elena organizza una conferenza stampa per presentare il manoscritto. Ma il libro scompare misteriosamente dalla cassaforte dove era stato accuratamente riposto.
 

Orami la signora Blavatskij è convinta che una potenza occulta minacci la sua vita. (...)
 

Alla fine del 1874, la signora Blavatskij si reca negli Stati Uniti, dove incontra il colonnello Henry Steel Olcott, un uomo d'affari appassionato di occultismo. Insieme fondano la Società teosofica, l'8 settembre 1875.
 

A partire da allora, lo strano diviene parte integrante della vita di Elena. Quando il barone de Palm, un membro della Società, muore, la signora Blavatskij chiede al governo degli U.S.A. l'autorizzazione a cremarlo. Quando il corpo viene deposto nel crematorio, il braccio destro del barone si solleva. Nello stesso momento, un incendio scoppia a Brooklyn: un teatro brucia e duecento persone periscono nell'incendio.
 

Qualche tempo dopo il colonnello Olcott e la signora Blavatskij si apprestano a partire per l'Asia per incontrarsi con i Grandi Maestri della Loggia Bianca. Il presidente degli Stati Uniti, vivamente interessato a quella missione, li considera suoi inviati speciali e concede loro passaporti diplomatici.
 

Il 16 febbraio 1879, la missione arriva alle Indie dove viene ricevuta dal pandit Schiamij Krishnavarma. Ma gli avvenimenti prendono una piega estremamente spiacevole: la polizia inglese perseguita letteralmente gli sventurati teosofi. Il colonnello Olcott protesta vigorosamente:
"Il governo dell'India ha ricevuto falsi rapporti a nostro riguardo, basati sull'ignoranza o sulla malizia, e siamo stati posti sotto sorveglianza in modo così maldestro da richiamare l'attenzione di tutto il paese e si è dato a credere agli indigeni che il fatto di essere nostri amici avrebbe attirato su di loro le ire degli alti funzionari e avrebbe potuto nuocere ai loro interessi personali. Gli intenti lodevoli e benefici della società sono stati pertanto gravemente intralciati e siamo stati vittime di indegnità assolutamente immeritate a seguito della decisione del governo, ingannato da false voci". (...)

Se le persecuzioni poliziesche diminuiscono, le minacce degli ignoti persistono e si fanno ancora più serie di fronte all'ostinazione della signora Blavatskij nel voler parlare del "Libro di Dzyan". La teosofa si spinge perfino a tradurlo in inglese, traduzione pubblicata dalla Hermetic Publishing Company di san Diego negli Stati Uniti.
 

Davanti alla sua caparbietà, gli ignoti reagiscono e la colpiscono in ciò che le sta più a cuore: l'occultismo. La Società di ricerche psichiche, un'associazione inglese, pubblica un rapporto sulla signora Blavatskij accusandola di ciarlataneria.
 

La pubblicazione del rapporto distrugge moralmente Elena che, da allora,, appare ridotta a uno straccio. Strani fenomeni continuano a prodursi attorno a lei, ma apparentemente Elena non è più in grado di controllarli.
 

Un suo compatriota, V.S. Solovev, accompagna la signora Blavatskij in uno dei suoi ultimi viaggi, a Eberfeld, in Germania. Una notte, nella sua stanza all'albergo Victoria, Solovev riceve una strana visita provocata, egli pensa, dalla signora Blavatskij.
 

Ecco il racconto di quell'apparizione, pubblicato sul "Messaggero della Russia":
"D'improvviso mi destai. Ero stato svegliati da un soffio caldo.. Al mio fianco, nell'oscurità, si ergeva una figura umana di alta statura vestita di bianco. Udii una voce, non saprei dire in che lingua, ordinarmi di accendere la candela. Accesa la candela, vidi che erano le due del mattino e che un uomo vivo stava accanto a me. L'uomo somigliava al ritratto del mahatma Morya che avevo visto. Mi parlò in una lingua che non conoscevo ma che cionondimeno capivo. Mi disse che avevo grandi poteri personali e che avevo il dovere di usarli. Poi svanì. Ma subito riapparve, sorrise, e, sempre nella stessa lingua sconosciuta ma intelligibile, disse: 'Stia pur certo che non sono un'allucinazione e che lei non sta uscendo di senno'. Poi scomparve di nuovo. A quel punto erano le 3. La porta era ancora chiusa a chiave". (...)

Doveva essere uno degli ultimi 'miracoli' della signora Blavatskij, che si ritira a Parigi dove talvolta la si vede in Notre-Dame-des-Champs. Poco tempo dopo andrà a Londra, dove muore nel 1891.
 

Dopo la morte, numerosi discepoli ne prendono le difese. Gli Indù soprattutto e, in particolare, E. S. Dutt, che critica violentemente il rapporto della Società di ricerche psichiche. Le idee della signora Blavatskij trionfano. Pare che la Società teosofica abbia svolto un ruolo primario nell'indipendenza dell'India. Mohandas Karamchand Gandhi, il liberatore dell'India, sostiene di dovere molto a Elena Petrovna Blavatskij.
 

Ultimo strascico della vicenda: poco tempo dopo la scomparsa della signora Blavatskij, i suoi difensori rivelano pubblicamente che essa fu vittima di un complotto in cui si ritrovano il governo inglese, la polizia del viceré dell'India e alcune persone non meglio identificate, ma che sembra appartenessero a una potente società segreta. (...)
 

Ma perché si voleva ad ogni costo far scomparire il "Libro di Dzyan"? Quali terribili segreti nasconde? Dai frammenti di cui disponiamo, sembra che il "Libro di Dzyan" rimetta in discussione i fondamenti stessi della scienza e della religione.
 

Quelli che seguono sono alcuni passi, piuttosto oscuri, bisogna riconoscerlo, tratti dal libro maledetto:

 

Strofe I
"Non c'era il tempo, che riposava nel seno infinito della durata...
...E la vita batté inconsciamente nell'universo.
...I sette nobili signori e le sette verità avevano cessato di essere..."

Strofe II
"...Dove erano i costruttori, i figli luminosi... quelli che estrassero la forma dall'informe, la radice del mondo.
...L'ora non era ancora scoccata; il raggio non aveva ancora attraversato il germe..."

Strofe III:
"...L'ultima vibrazione della settima eternità penetra l'infinità La vibrazione si propaga, con la sua ala viva essa tocca l'universo intero e il germe che abita nell'oscurità, che respira sotto l'acqua dormiente della vita...
 La radice della vita era contenuta in ogni goccia dell'oceano dell'immortalità e l'oceano era di luce raggiante e la luce era fuoco, calore e moto. L'oscurità scomparve, non esisteva più...
Guardate lo spazio chiaro che è figlio dello spazio oscuro... da ora in poi, brilla come il sole; è il divino drago fiammeggiante della saggezza.
Dove era il germe, dove era l'oscurità?...
...Il germe è l'azione e l'azione è la luce, figlia raggiante e bianca del padre oscuro e ascoso". (...)

Strofe IV:
"...Figli della Terra, ascoltate i vostri maestri, i figli del fuoco...
...Ascoltate ciò che a noi, discendenti dei Sette originari, che siamo nati dalla fiamma originaria, ascoltate ciò che a noi hanno insegnato i nostri padri.
Dallo splendore della luce, che raggiava nella notte eterna, scaturirono nello spazio le energie risvegliate... E degli uomini-dei emanarono le forme, le scintille, gli animali santi e i messaggeri dei padri santi".

Strofe V:
"...A loro volta, i sette primi soffi del drago della saggezza crearono il vento di fuoco che turbina grazie al soffio santo volteggiante.
...L'agile figlio dei figli divini... descrive cerchi e compie la sua missione... Attraversa le nubi fiammeggianti come il lampo...
...Egli è lo spirito che li conduce e li guida. Per iniziare la sua opera, invia da ogni parte le scintille del regno inferiore che planano, tremanti di gioia, nelle loro dimore raggianti..."

Strofe VI:
"... Il Rapido e il raggiante... pone l'universo sulle pietre eterne...
Egli le conforma a modello delle antichissime ruote e le fossa al centro con elementi imperituri.
Come sono state conformate da Fohat? Egli raccoglie la polvere del fuoco. Fa delle palle di fuoco, le attraversa, gira loro attorno e dà loro la vita, poi le mette in movimento... Esse sono fredde, egli le riscalda. Esse sono secche, egli le inumidisce. Esse illuminano, egli le ventila e le placa. Tale è il lavoro di Fohat da un crepuscolo all'altro, nelle sette eternità...
...Il seme materno riempiva il tutto. Lotte ebbero luogo tra le creature e i distruttori, lotte ebbero luogo per lo spazio".

Strofe VII:
"...Guardate l'inizio della vita sensibile che non ha forma. A tutta prima il Divino, lo spirito materno che è uno...
...Quel raggio unico moltiplica i più piccoli raggi...
...Poi i costruttori, che hanno indossato di nuovo la loro prima veste, scendono verso la terra raggiante e regnano sugli uomini - e anche loro lo sono...". (...)

Pare che il "Libro di Dzyan" racconti la storia dell'evoluzione del mondo. Diciotto milioni di anni fa, esseri senza ossa e senza intelligenza avrebbero popolato la terra. In seguito, sarebbe nata una razza pacifica: parallelamente, si sarebbe sviluppata una razza di giganti mostruosi, più vicini all'animale che all'uomo.
 

Nel 9564 a.C. alcune terre sarebbero state inghiottite dall'oceano. Taluni affermano trattarsi dell'Atlantide. Chi lo saprà mai? (...)»

Ancor oggi il "Libro di Dzyan" è al centro di vivaci polemiche.
 

Nel suo libro "Argumente für das Unmögliche" (Argomenti per l'impossibile), pubblicato a Vienna nel 1969, edito dalle edizioni Econ, lo scrittore tedesco Erich von Däniken, che ha svolto un'indagine approfondita sul libro misterioso, sostiene che l'originale è stato conservato per millenni nelle cripte del Tibet.

«"Nessuno al mondo" scrive von Däniken, "ne conosce la vera età. Si dice che l'originale sia più antico della Terra. Si dice anche che sia stato così magnetizzato che i 'privilegiati' che lo prendevano in mano vedevano svolgersi davanti ai loro occhi gli avvenimenti descritti e al tempo stesso potevano comprendere nella propria lingua i testi misteriosi grazie a impulsi ritmici, in relazione alla ricchezza del vocabolario della loro lingua.
 

Quella dottrina segreta fu conservata per millenni nelle cripte tibetane. "Top secret". Si dice che essa potesse costituire un enorme pericolo nelle mani di un 'ignorante'. Il testo originale - che non sappiamo se esiste ancora - fu ricopiato testualmente di generazione in generazione e arricchito di nuovi apporti dagli iniziati. (...)
 

Il "Libro di Dzyan" sarebbe nato dall'altra parte dell'Himalaya. Per vie ignote, le sue dottrine penetrarono fino in Giappone, in India e in Cina, e ritroviamo la sua influenza filosofica perfino in certe tradizioni sudamericane. Comunità segrete che si celavano nelle gole sperdute del massiccio del Kun-lun o tra i profondi burroni del massiccio di Altin Tagh - tutti e due situati nella parte occidentale dell'attuale Cina rossa - vegliavano su raccolte di libri di ricchezza inestimabile. 

Le comunità abitavano in templi miserabili. Gallerie e sotterranei racchiudevano i loro tesori letterari. In quei sotterranei era conservato anche il "Libro di Dzyan". I primi padri della Chiesa si adoperarono in origini modo per scacciare quella dottrina dalla memoria di coloro che ne erano venuti a conoscenza, ma tutti i loro sforzi furono vani e i testi si tramandarono oralmente di generazione in generazione.
 

All'estero, mi hanno spesso parlato di quella dottrina, ma non ho mai incontrato qualcuno che abbia visto una copia 'autentica' del testo. In tutto il mondo, i passi del "Dzyan" conservati o, più esattamente, conosciuti, abbondano di testi tradotti dal sanscrito. Sulla scorta delle attuali conoscenze, questa straordinaria dottrina conterrebbe l'antica parola originaria la formula della creazione e narrerebbe l'evoluzione dell'umanità che abbraccia milioni di anni.»

Il carattere "eretico", se non addirittura blasfemo, del "Libro di Dzyan" consisterebbe, dunque, nel fatto che l'idea di una razza umana - anzi, di una serie di razze umane - create e distrutte dai "costruttori cosmici" adombra un intervento di creature extraterrestri, in realtà per nulla "divine"; e che gli dei delle varie religioni antiche altro non sarebbero, quindi, che la rielaborazione mitica di quel primo contatto fra gli umani e gli alieni. Inoltre, non sembra esservi posto, in questa concezione delle origini della vita, né per l'evoluzionismo biologico né per la provvidenzialità divina; a meno di pensare che quest'ultima abbia agito, nei confronti degli abitanti della Terra, servendosi di siffatti "costruttori" alieni.
 

Ma cominciamo dal nome del libro misterioso.
 

La parola Dzyan deriverebbe, secondo alcuni teosofi, dal tibetano "dhyan" ("saggezza") o "dzin" ("sapienza"), mentre altri esponenti di questa corrente religiosa pensano che essa derivi dal nome di un supposto discepolo di Lao Tse, un certo Li-tsin o Ly-tzyn, al quale sarebbe comparso, mentre era immerso in meditazione, lo spirito dell'imperatore Huang-ti. Questi gli avrebbe consegnato un libro intitolato "Yu-Fu-King", ossia "libro delle corrispondenze esoteriche".
 

Questi tentativi di interpretazione etimologica sono riportati dal saggista tedesco Ulrich Dopatka, che, essendo un 'discepolo' del controverso Erich von Däniken, non gode di alcuna considerazione presso gli ambienti scientifici accademici; atteggiamento, questo, che non ci sentiamo di condividere perché, come tutti gli atteggiamenti pregiudiziali, ha il torto di scartare in partenza delle ipotesi di lavoro che potrebbero rivelarsi interessanti e feconde di sviluppi, solo perché contrastano con molte delle nostre "certezze" acquisite o - motivo ancor più banale - perché non sono corredate e autenticate dai debiti dall'imprimatur di qualche lobby universitaria.
 

A Dopatka si deve anche un altro riferimento assai intrigante, relativo a uno studioso italiano del XIX secolo. Infatti, sembra che già nel 1878 l'orientalista Carlo Puini abbia pubblicato, nel nostro Paese, una sintesi delle dottrine contenute nel "Libro di Dzyan", precedendo, in effetti, di ben dieci anni "La dottrina segreta" di Helena Blavatskij. Ma Puini era uno studioso isolato, mentre Madame Blavatskij era la fondatrice - per quanto assai discussa - di una istituzione che stava acquistando respiro mondiale, quale la Società Teosofica; perciò l'opera del primo rimase confinata all'ambito di pochi specialisti, mentre il libro della seconda raggiunse rapidamente una larghissima diffusione internazionale, a dispetto delle critiche e delle feroci stroncature del mondo scientifico che potremmo definire "ufficiale".
 

Un altro problema relativo al "Libro di Dzyan" è quello riguardante le fonti originali sulle quali esso si basa, o sulle quali si basa la letteratura esoterica che ad esso si ispira e che, come si è visto, era diffusa in buona parte dell'Asia - ad oriente fino al Giappone e ad Occidente fino all'Egitto - assai prima che Helena Blavatskij ne sentisse parlare, per la prima volta, da un mago copto nella città del Cairo; e anche prima che ne sentissero parlare, in Francia, il celebre astronomo Bailly e l'occultista Jacolliot.
 

Ma cediamo la parola direttamente a Dopatka (14):

«A quanto risulta queste dottrine furono pubblicate già nel 1878 dall'orientalista italiano Carlo Puini. Nessuno è riuscito a interpretare scientificamente il contenuto dell'antico testo e Coleman, un teosofo che aveva promesso di presentare le fonti originali, affermò di averle perdute per colpa del terremoto che nel 1906 devastò San Francisco. Quindi le sue origini, in parte interessanti, continuano a essere ignote. Lo storico dell'esoterismo K. Frick lo definisce un risultato delle fusioni eclettiche (selettivamente confluenti) del più arcaico patrimonio intellettuale mitico dell'umanità con le corrispondenze della natura (Camp, "Verunckene Kontinente", pp. 65, 68; Frick, "Licht und Finsternis", 2. parte, p. 280). Può darsi che nelle pagine del libro in questione si celino effettivamente dottrine esoteriche indiane ch'erano state custodite per secoli nei monasteri dei monti K'un lun e in quelli fra le gole dell'Altyn-tag.»

 

Un altro elemento interessante della vicenda relativa alla diffusione del "Libro di Dzyan" è poi, come ha ricordato Yves Naud, una sua possibile conoscenza diretta da pare di Apollonio di Tiana, al quale lo avrebbero fatto vedere - o, comunque, glie ne avrebbero parlato - alcuni sacerdoti indiani; fatti di cui è rimasta memoria nella biografia di Filostrato, della quale abbiamo avuto già occasione di parlare, in altra sede. (15)

 

D'altra parte, abbiamo già sostenuto, in un recente articolo, che esistono numerosi indizi i quali fanno pensare che il genere umano sia molto più antico di quanto la scienza evoluzionista continua a sostenere, preferendo evitare di confrontarsi con i fatti piuttosto che vedersi costretta a dar torto alle proprie teorie. (16)
 

In quella sede, fra le altre cose, abbiamo ricordato l'eccezionale rinvenimento, in una roccia del Nevada antica di 5 milioni di anni, di una impronta di piede umano; anzi, per la precisione, di una impronta di mocassino, con tanto di cuciture ancora visibili sulla tomaia. Il fatto ebbe luogo nel 1922 e ne parlò l'American "Weekly", inserto del "New York Sunday American".
 

Oppure abbiamo ricordato l'evidenza delle tracce lasciate dall'acqua piovana lungo la roccia che è stata usata per edificare la Sfinge, presso le piramidi di Giza, in Egitto: acqua piovana che "deve" necessariamente risalire, quanto meno, all'ultimo periodo post-glaciale, ossia a qualcosa come 10 o 12.000 anni fa.

E l'elenco delle incongruenze archeologiche (che non sono, ovviamente tali, ma piuttosto la prova delle incongruenze del paradigma ufficiale della storia antica), potrebbe continuare a lungo; ma preferiamo fermarci qui.


Helena Blavatskij era fermamente convinta della grandissima antichità della specie umana e, in un'epoca di darwinismo aggressivo e trionfante (si ricordi la celebre disputa fra Huxley e il vescovo Wilberforce), andando contro corrente, osava capovolgere l'idea di una umanità emersa solo di recente da una condizione animalesca.
 

Nel suo libro "Iside svelata", ella a un certo punto afferma (17):

«Le scoperte della scienza moderna non sono affatto in disaccordo con le più antiche tradizioni che affermano l'incredibile antichità della nostra razza. Negli ultimi anni la geologia, la quale una volta ammetteva che l'uomo poteva essere rintracciato fino all'era terziaria, ha trovato prove irrefutabili che l'esistenza dell'uomo risale ad un'era anteriore al primo periodo glaciale dell'Europa e cioè ad oltre 250.000 anni addietro. È un argomento duro questo per la teologia patristica, ma costituisce un fatto accettato dagli antichi filosofi.


Inoltre utensili fossili sono stati trovati assieme ai resti umani e ciò dimostra che l'uomo cacciava a quei tempi e sapeva accendere il fuoco. Ma un passo successivo non è stato ancora fatto in questa ricerca dell'origine della razza, la scienza si trova ad un punto morto ed attende prove future. Sfortunatamente l'antropologia e la psicologia non hanno un Cuvier e neppure i geologi e archeologi sono capaci di ricostruire con i frammenti finora scoperti lo scheletro perfetto triplice dell'uomo - fisico, intellettuale e spirituale. 


Il fato che gli utensili fossili dell'uomo sono più rozzi e meno rifiniti quanto più l'indagine geologica penetra nelle viscere della terra, sembra fornire una prova per la scienza, secondo la quale più veniamo in contatto con le origini dell'uomo, più selvaggio e bruto questo appare. Strana logica: dimostrano forse le scoperte della caverna di Devon che non vi erano razze contemporanee più civili? Quando l'attuale popolazione della terra sarà scomparsa e qualche archeologo appartenente alle razze dell'avvenire nel lontano futuro scaverà utensili domestici delle attuali tribù indiane o delle isole Andamane avrà forse ragione di concludere che l'umanità del diciannovesimo secolo era proprio "in procinto di emergere appena dall'età della pietra"?
 

Era di moda parlare "delle concezioni irraggiungibili di un passato incolto"; come se fosse possibile nascondere dietro un epigramma la cava intellettuale dalla quale è stata estratta la fama di tanti filosofi moderni. Proprio come Tyndall, il quale è sempre pronto a non tenere in nessun conto gli antichi filosofi - le cui idee rivestite servirono a procacciare fama e creduto a più di uno scienziato, così pure i geologi sembrano sempre più inclini a ritenere per certo che tutte le antiche razze si trovavano contemporaneamente in uno stato di densa barbarie. Non tutte le nostre migliori autorità sono d'accordo su questo punto. 

Alcuni dei più eminenti scienziati sostengono esattamente il contrario. Max Müller, per esempio, sostiene che: "Molte cose ci sono ancora inintelligibili e il linguaggio geroglifico dell'antichità registra soltanto la metà delle intenzioni inconsce della mente. Pure l'immagine dell'uomo in qualunque clima la incontriamo, sorge davanti a noi nobile e pura sin da principio e persino impariamo a conoscere i suoi errori e interpretare i suoi sogni. Fino a dove possiamo rintracciare le impronte dell'uomo, anche nei più bassi strati della storia, constatiamo sempre il dono divino di un intelletto sobrio e sano che gli appartiene sin dai primordi. L'idea dell'umanità emergente con lentezza dalle profondità della brutalità animale, non può essere in alcun modo sostenuta."
 

Si pretende che sia antifilosofico indagare sulle cause prime, perché gli scienziati ora si occupano degli effetti fisici. Il campo dell'indagine scientifica è sempre limitato alla natura fisica. Quando i suoi limiti sono raggiunti, l'indagine deve arrestarsi e l'opera ricominciare. Con tutto il dovuto rispetto per i nostri scienziati, essi sono come lo scoiattolo su una ruota in movimento, perché a loro sembra di rivoltare la materia sempre a nuovo. La scienza costituisce una sconfinata potenza e noi, pigmei, non possiamo indagarla. Pure gli 'scienziati' non sono la scienza incarnata più di quanto gli uomini del nostro pianeta no siano il pianeta steso. Noi non abbiamo il diritto di chiedere né il potere di costringere i nostri 'filosofi moderni' ad accettare senza sfida una descrizione geografica del lato oscuro della luna. 

Ma nel caso avvenisse un cataclisma lunare e qualcuno dei suoi abitanti precipitasse nell'attrazione della nostra atmosfera e quindi scendesse sano e salvo nei pressi della porta di casa del dottor Carpenter , questi sarebbe accusabile di falso professionale se mancasse di sciogliere il problema fisico che gli si presenta.

Se un uomo di scienza rifiuta l'opportunità di investigare qualsiasi fenomeno nuovo, sia che gli si presenti sotto forma di un uomo della una, sia come uno spirito delle fattorie Eddy, in entrambi i casi è altrettanto responsabile.
 

Sia che perveniamo con il metodo di Aristotele o con quello di Platone, non dobbiamo arrestarci nell'indagine, ma resta il fatto che tanto la natura interiore quanto quella esteriore dell'uomo si pretende sia stata esaurientemente compresa dagli antichi andrologi. Malgrado le ipotesi superficiali dei geologi cominciamo ad avere quasi prove giornaliere in appoggio alle asserzioni di questi filosofi.
 

Essi suddivisero gli interminabili periodi dell'esistenza umana su questo pianeta in tanti cicli, nel corso dei quali l'umanità gradualmente ha raggiunto il punto della più elevata civiltà e quindi gradualmente ritornò alla barbarie più abbietta.
 

A quale grado di perfezione sia arrivata già parecchie volte la razza umana nel suo progresso, si può immaginare osservando i meravigliosi monumenti dell'antichità, tuttora visibili e leggendo la descrizione che ci dà Erodoto delle altre meraviglie di cui non ci rimane più traccia. Persino già ai suoi tempi le costruzioni gigantesche delle molte piramidi e templi famosi in tutto il mondo erano cumuli di rovine, sparse dalla mano implacabile del tempo, e descritte da padre della storia come "venerabili testimoni della gloria passata degli antenati dipartiti...".»

Nonostante le implicazioni critiche nei confronti delle religioni storiche (oltre che dello scientismo allora in auge, non meno di oggi), Helena Blavatskij era uno spirito religioso che cercava di conciliare le esigenze della spiritualità con quelle della conoscenza, sicché potremmo considerare la teosofia, più che una forma di sincretismo religioso fra dottrine orientali e occidentali, una sorta di gnosi dell'età moderna.
 

E questo può valere anche come chiave di lettura del "Libro di Dzyan" o, quanto meno, di quella traduzione di esso, più o meno fedele, che è contenuta ne "La dottrina segreta".
 

Ci piace concludere questo saggio riportando il giudizio complessivo di Paola Giovetti sulla figura e sul pensiero dell'autrice di quel vasto, complesso, impressionante libro (18):

«Madame Blavatskij sostenne sempre che teosofia è "conoscenza", non fede, e che l'ideale morale più elevato da coltivare è il superamento dell'egoismo e il lavoro incessante per gli altri. 


Bisogna vivere, diceva, facendo sì che il Sé divino che alberga in ognuno di noi guidi ogni pensiero e ogni azione, in ogni momento dell'esistenza; ovviamente ciò non è facile (e lei stessa non era esente da difetti umani) ma l'importante è fare il possibile per migliorare il proprio modo di agire ispirandosi a quell'alto ideale.
 

L'anima umana, ella affermò, proviene dall'Anima Universale alla quale ritornerà dopo la morte; nascite e morti sono regolati dalla grande legge del karma, la legge di causa ed effetto che fa sì che nulla resti senza risultato e restituisce ad ognuno la piena responsabilità delle proprie azioni, prima e dopo la vita. La teosofia traccia un cammino infinito per l'anima, che opera per il proprio perfezionamento; e in questo cammino è aiutata dai Maestri il cui compito è imprimere una spinta evolutiva all'umanità.»

Una concezione morale di alto livello, dunque.
 

Se il "Libro di Dzyan" fosse un libro nefasto, non avrebbe potuto contribuire - crediamo - alla formazione di una tale visione del mondo, della vita, del destino finale dell'anima umana.

 

Note:
1. Cfr. Francesco Lamendola, "Il giardino d'inverno", pubblicato sulla rivista "Graal", n. 9, maggio-giugno 2004; ma rivisto e ampliato nel 2007 per il sito di Arianna.
2. Cfr. Francesco Lamendola, "Gli dei mostruosi venuti dallo spazio. Letture e riflessioni dall'opera di H. P. Lovecraft". (Conferenza tenuta il 30 marzo del 2007 presso il palazzo Foscolo di Oderzo, e dedicata al narratore di Providence)
3. Cfr. Helena P. Blavatskij, "La dottrina segreta", vol. I e II, Vicenza, Edizioni Teosofiche Italiane, 1997.
4. Sylvia Cranston, "The Exytraordinary Life and Influence of Helena Petrovna Blavatskij", New York, Tarcher-Putnam, 1993, p. 384.
5. Cfr. Francesco Lamendola, "Da dove vengono le materializzazioni del pensiero?".
6. Yves Naud, "Les Extra Terrestres et les O.V.N.I. dans l'histoire", traduzione di Gian Luigi Vallotta, Edizioni Ferni, Ginevra, 1977, 3 voll., vol. 1, pp. 159-162.
7. Cfr. Paola Giovetti, "I grandi iniziati del nostro tempo", Milano, Rizzoli, 1993, p. 94.
8. Cfr. Francesco Lamendola, "Il pensiero mitico è diverso, non certo diverso da quello scientifico", sul sito di Arianna Editrice.
9. Valentino Compassi, "La colonna di fuoco. Origine interplanetaria delle religioni", Gardolo di Trento, Luigi Reverdito Editore, 1990, pp. 27-37.
10. Cfr. Corrado Malanga, "Oltre la fisica di Star Trek (L'ipotesi di Super Spin)", una serie di articoli, spec. il 12.5 "Le Stanze di Dzyan".
11. "Les Extra Terrestres et les O.V.N.I. dans l'histoire", traduzione di Gian Luigi Vallotta, Edizioni Ferni, Ginevra, 1977, 3 voll., vol. 1, pp. 162-1174.
12. In realtà - come si è visto precedentemente - la fondazione degli imperi di Atlantide e Mu risalirebbe non a "poco tempo dopo" l'arrivo di questi visitatori spaziali, bensì all'epoca della creazione della cosiddetta Quarta Razza, immediatamente prima della umanità attuale, che costituirebbe la Quinta Razza.
13. Helena Blavatskij, però, sostenne di aver preso visione diretta del manoscritto, e lo descrive scritto "su foglie di palma, ma rese inalterabili al fuoco, all'acqua e all'aria mediante qualche ignoto processo specifico" (in "La dottrina segreta", vol. I, p. 63).
14. Ulrich Dopatka, "Dizionario Ufo. Glossario di preastronautica" (titolo originale: "Lexikonder Prä-Astronautik", Wien-Düsseldorf, Econ Verlag, 1979; traduzione italiana di Lucia Mengotti, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 1980, p.133).
15. Cfr. Francesco Lamendola, "Apollonio di Tiana e il vampiro" e "Mostri, fantasmi e vampiri nel mondo antico", negli "Atti" della Società Dante Alighieri di Treviso (a cura di A. Brunello), vol. 6, 2008.
16. Cfr. Francesco Lamendola, "Scricchiola il paradigma degli storici sulle origini recenti della civiltà", sul sito di Arianna Editrice.
17. Helena Petrovna Blavatskij, "Iside svelata. Parte prima: la Scienza"; traduzione dall'originale di E. B., Trieste, Editrice Libraria Sirio s. d., vol. 1, pp. 66-68.
18. Paola Giovetti, "I grandi iniziati del nostro tempo", Milano, Rizzoli, 1993, p. 104.





scritto da Francesco Lamendola
per Edicolaweb


francescolamendola@yahoo.it

fonte: http://www.edicolaweb.net/dimen26a.htm

1 commento:

  1. Il pezzo che hai scritto è bellissimo non conoscevo le stanze di Dzyan hai mai letto i libri di Zecharia Sitchin ? E' tanti anni che leggo vari argomenti da tanto non leggevo più nulla circa l'esoterismo penso di aver letto qualcosa circa la Blavatskij forse negli anni ottanta poi ho decisamente lasciato perdere data la mia ignoranza e dati i vari autori delle cose più disparate circa l'esoterismo, poi recentemente ho letto questa collana di Zecharia Sitchin in chiave archeologica e trovo il pezzo scritto e i libri della collana di Zecharia Sitchin compatibili solo rimane un punto Zecharia Sitchin descrive di aver letto delle tavole di argilla Babilonesi e cilindri assiri tutt'ora esposti in vari musei, niente di misterioso dunque mentre la Blavatskij cerca un libro specifico, chissà se l'uno è a conoscenza dell'altro? comunque gli argomenti coincidono Zecharia Sitchin parla di un popolo venuto dalle stelle gli annunanki appunto il fatto che il libro è in Tibet e che forse non è un libro per me è significativo, hai mai guardato le tanche riguardanti le assemblee di budda non sembrano quadri che ritraggono stanze? e l'isolamento del Tibet? solo dopo l'occupazione della Cina cominciano ad espandere il loro insegnamento (tradizioni) comunque chi guarda il tuo articolo sotto diverse sfaccettature senza per forza cercare degli enigmi irrisolti lo trova molto bello per me lo è grazie :-)

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