“Non preoccupatevi di Ebola (e iniziate a preoccuparvi di cosa significa)” è la frase con cui esordisce in un suo intervento il professor Adam Levine, docente di Medicina d’emergenza alla Brown University di Providence. Ebbene…cosa significa? Andiamo a vedere.
Già avevamo fornito il quadro dei dati reali circa l’epidemia di Ebola nel nostro articolo “Ebola, il nuovo incubo (l’ennesimo)” . Ora vogliamo proporvi l’analisi di Adam Levine.
Innanzi tutto, anche in questo caso, Levine fornisce dati, che già aiutano a farsi un’idea. «Durante
gli ultimi sei mesi – scrive Levine - mentre Ebola metteva in pericolo
la vita di circa mille adulti e bambini, nella sola Africa Sub-Sahariana
circa 298.000 bambini sono morti per polmonite,
193.000 per diarrea, 288.00 tra adulti e bambini sono morti di malaria e
428.000 tra bambini e adulti hanno avuto bisogno di cure d’emergenza
per ferite dovute a vari incidenti. Un
migliore e più efficace accesso alle cure potrebbe, dunque, salvare non
solo chi è affetto da Ebola ma anche chi è colpito da questi killer
molto più diffusi».
Levine critica poi i media che passano dall’ignorare
completamente l’Africa a parlarne a spot allarmistici solo in occasione
di epidemie o quando si teme che qualche gruppo terroristico arrivi
fino a casa nostra. E coglie il vero nocciolo della questione: «Dobbiamo
fare attenzione a Ebola non perché possa mettere in pericolo noi ma per
quello che ci dice sull’attuale situazione del sistema sanitario nella
maggior parte dell’Africa».
Esamina inoltre alcuni luoghi comuni che hanno destato allarme.
«Ebola può essere fatale ma non dovunque. L’incidenza di mortalità per Ebola varia moltissimo a seconda del contesto. La
prima epidemia registrata, nel 1967 in Germania e Yugoslavia, aveva una
mortalità del 23%, molto lontana dal 53-88% che si è visto negli ultimi
40 anni nell’Africa Sub-Sahariana. Peraltro quella prima epidemia
accadde quando ancora non si sapeva nulla della malattia e non erano
disponibili le moderne cure intensive. Il rischio di morte per individui
infettati in Usa e Europa sarebbe molto più basso di ogni precedente
epidemia.
I due americani recentemente infettati in Liberia sono
migliorati e non per avere usato qualche siero magico, ma grazie al
monitoraggio accurato e alle cure prestate loro dai colleghi in un
moderno ospedale. Negli ultimi dieci anni ho trattato moltissimi
pazienti nell’Africa Sub-Sahariana e la mortalità per pressochè tutte le
malattie è molto più alta di quella che si registra negli Usa per le
stesse patologie».
Un altro mito che Levine sfata è che non ci siano cure disponibili per Ebola. «Ci
sono molti trattamenti efficaci che possono aiutare il paziente a
superare la fase peggiore della malattia aumentando le sue possibiltà di
sopravvivenza: fluidi intravenosi, emoderivati, antibiotici,
ossigeno e ventilazione, farmaci vasoattivi, strumenti che potrebbero
essere usati anche per altre patologie diffuse in Africa».
Interessante anche la sua analisi sul contagio. «Ebola non è affatto una delle malattie più contagiose.
Non si diffonde nell’aria né per particelle in aerosol, ma solo con
stretto contatto soprattutto con fluidi corporei. I sanitari devono
adottare precauzioni come guanti e lavaggio frequente delle mani.
Nell’Africa occidentale la malattia si è diffusa perché mancano misure
di salute pubblica e attrezzatura di base negli ospedali» ed è su questo
che Levine sollecita ad intervenire.
Riguardo
poi al fatto di testare in Africa farmaci sperimentali direttamente sui
malati nel pieno delle emergenze epidemiche (l'emergenza, reale o
presunta, spesso favorisce le deroghe...), Levine sottolinea come le
persone dei paesi poveri necessitino di particolare protezione e non
possano essere utilizzate semplicemente come cavie senza però ricevere
tutte le cure possibili esistenti, cure che purtroppo, come visto, in
Africa spesso non sono disponibili.
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