Per tornare allo statale dell'intervista, ai suoi critici, che indubbiamente in molti casi stanno peggio di lui, si devono ricordare due cose. In primo luogo c'è sempre qualcuno che sta peggio di te: se il precario italiano sta peggio dello statale, l'africano disperato che muore nel tentativo di venire a farsi sfruttare in nero in Italia sta sicuramente peggio del precario. Con ciò si vuol dire che replicare, a chi segnala un problema, “comunque stai meglio di altri”, non è un argomento risolutivo, perché su questo pianeta quasi chiunque sta meglio di qualcun altro. Ma non è questa l'osservazione più importante, che è invece la seguente: se è vero che lo statale sta ancora relativamente bene, è certo che la sua situazione è peggiorata come è peggiorata quella di tutti.
È questa la cosa fondamentale che bisogna capire da interviste come quella sopra indicata, e dalle tante altre notizie che si potrebbero citare: stiamo sempre peggio, tutti, ci stiamo impoverendo, tutti. Chi stava piuttosto bene ancora se la cava, chi era appena al limite della povertà ora è alla disperazione. Ma è questo movimento di peggioramento comune che bisogna saper vedere, per capire che la linea dell'evoluzione delle nostre società è chiara, ed è quella della distruzione del ceto medio e dell'immiserimento generalizzato. Sono cose dette e ridette, cito solo, giusto per dare un'idea, un breve intervento di Carlo Formenti, oppure il bel libro di Mario Pianta.
E
invece di vedere tutto questo e di lottare contro il nemico comune,
coloro che stanno perdendo tutto si sbranano fra di loro. Ma questo
serve solo a far vincere i nostri nemici, i ceti dirigenti dei paesi
occidentali, nessuno escluso. Nemici nostri, nemici di tutti, perché
hanno rinnegato il patto sociale che ha retto le società occidentali nel
trentennio '45-'75, e ci hanno dichiarato guerra. Una guerra che stiamo
perdendo appunto perché chi sta male odia chi pensa stia un po' meno
male (vero o falso che sia), invece di capire che solo lottando uniti
possiamo sperare di vincere.
Forse si potrebbe obiettare che
dedurre un'analisi generale dai commenti on line ad un articolo è un po'
azzardato. La critica è corretta, ma mi pare che sia un dato oggettivo
la mancanza di solidarietà fra le varie categorie dei ceti subalterni
colpite dalla crisi e dalle politiche di austerità. Poiché questa
mancanza di solidarietà non favorisce certo gli interessi collettivi di
tali ceti (lottando uniti qualcosa si potrebbe ottenere), mi pare
sensato ipotizzare che ci siano forti spinte psicologiche
anti-solidaristiche, e che l'aggressività diffusa che si nota nei più
diversi ambiti sia una espressione di tali spinte psicologiche.
Sarebbe davvero utile che qualcuno
ci aiutasse a capire il perché di tutto questo. Perché “tutti odiano
tutti”, e nessuno riesce a vedere il comune nemico. Credo dipenda da
mutamenti profondi nella nostra “psiche occidentale”, che dovremmo
tentare di indagare. Ci torneremo, spero.
Non posso che concludere su una
nota di pessimismo. Il punto dolente di questa situazione, in cui tutti
odiano tutti, è che un ulteriore peggioramento economico non porterà la
“sollevazione” tanto attesa da alcuni nostri amici. Porterà ad un
ulteriore imbarbarimento, ad una violenza diffusa. Il fatto di stare
peggio non porta automaticamente alla rivolta, può portare a sbranarti
col tuo vicino.
E quest'ultimo mi sembra l'esito più probabile, data l'attuale situazione della coscienza collettiva.
Sarei naturalmente lieto se i lettori riuscissero a convincermi che il mio pessimismo è infondato.
Marino Badiale
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