lunedì 22 agosto 2016

Errori e pregiudizi


Che mondo è questo,
dove i fiori di loto vengono arati
e trasformati in campi.”
(Issa)

Quando leggiamo che la nostra rappresentazione del mondo dipende dalle concezioni che condividiamo con i nostri simili pensiamo che stia parlando un filosofo indiano, ma questa affermazione è vera e questo viene confermato sperimentalmente dagli studiosi. L’integrazione della dimensione psicologica e di quella sociale è un fatto vero, infatti gli studi degli ultimi decenni confermano che esiste una condivisione sociale di concezioni, atteggiamenti e valori che ci permette di ottenere una “stabilizzazione del quadro di vita degli individui e dei gruppi” come afferma lo psicologo e sociologo rumeno, Serge Moscovici.

Ma la stabilità che otteniamo comporta, come diretta conseguenza che, il quadro di orientamento che accettiamo causa una modifica dello “strumento di orientamento della percezione.” In seguito a questo, ne consegue che ogni stimolo o sollecitudine esterna viene filtrato e ricostruito a livello sociale. L’individuo possiede due dimensioni che si intrecciano e che vanno conciliate cioè la dimensione individuale e quella collettiva, perciò è evidente che le rappresentazioni sociali fanno parte della coscienza individuale.

Ma questo non toglie il fatto che il singolo gode di una autonomia nei riguardi dei condizionamenti sociali, infatti la coscienza individuale può stabilire un ordine di preferenza dei valori e delle idee. I soggetti costruiscono le rappresentazioni sociali per riuscire a dare un ordine ad una realtà molto variegata e troppo complessa, perciò questo fenomeno viene rafforzato dal livello mentale. Il processo di ancoraggio mentale consiste nel fatto che ogni fenomeno estraneo viene collegato ad una categoria nota che lo rende familiare e più accettabile. 
 
Questo meccanismo mentale ci consente di assimilate a livello mentale tutto quello che ci risulta troppo inconsueto o che rischia di darci problemi. Vediamo che la mente umana tende a creare una rete di categorie che gli sono proprie e che gli diventano familiari, e questo fatto ci consente di attivare dei confronti e dei paragoni tra l’elemento inconsueto e l'elemento che fa parte di una categoria già conosciuta.

Il processo dell'ancoraggio mentale spiega perché il cervello umano, per analizzare i dati insoliti o ignoti, ha la necessità di fare il confronto tra il sconosciuto e l'ignoto. Questo meccanismo è funzionale all’ottimizzazione del processo di classificazione e di reazione all’ambiente, ma questa facoltà mentale dimostra anche la capacità di pensare passando da elementi astratti ad immagini concrete.

È questo conferma il fatto che, un individuo possa avere una convinzione e non esserne affatto consapevole. Infatti, non sempre le persone agiscono secondo quello che credono, ma spesso agiscono a favore di quello che non condividono. Alcune idee e atteggiamenti si radicano così profondamente che si può essere condizionati senza essere consapevoli. Infatti, anche se non possiamo fornire delle prove oggettive a favore di molti pregiudizi, noi sosteniamo ancora quelle convinzioni errate.

In questo frangente agisce un processo di adattamento sociale che implica la condivisione sociale delle categorie ossia una condivisione di atti di valutazione e di interpretazione del mondo. Ma, in questo modo accettiamo anche l’organizzazione del mondo che ne consegue in termini di conoscenze e di regole di vita. In parole povere, l’adattamento al mondo comporta anche l’accettazione di categorie di pensiero ossia di idee preconfezionate cioè di pregiudizi.

Nel 1954, uno psicologo e docente di Harvard, Gordon W. Allport, scrisse il saggio “La natura del pregiudizio” che è passato alla storia delle scienze sociali come il punto di partenza per lo studio del complesso fenomeno. Il termine “pregiudizio” etimologicamente deriva dal latino “praejudicium” che indica un “giudizio emesso a priori” cioè la percezione di sentimenti positivi o negativi verso un oggetto senza avere avuto un’esperienza oggettiva o senza tener conto dell’esperienza avuta.

È importante capire che il pregiudizio positivo o negativo, ma che il solo fatto di avvallare un giudizio senza avere sperimentato dei dati di fatto che possano suffragarlo equivale ad agire come quel tizio che voleva distruggere tutto prima che qualcosa fosse costruito, nota ironicamente Allport. Di solito, un soggetto che accetta un pregiudizio dirà che ha tutte le sue buone ragioni per pensare quello che pensa.

Ma, in realtà, sappiamo che quel soggetto è vittima di “un processo selettivo” dei suoi ricordi. Infatti, la rielaborazione dei ricordi si mescola alle dicerie ascoltate, poi quelle idee vengono ridotte a giudizi generalizzanti e vengono condivise a livello sociale. Allport dice che “il pregiudizio non possa essere compreso se non a partire dai processi di pensiero normali, gli stessi che consentono all’individuo di padroneggiare la estrema complessità degli stimoli ambientali e di agire efficacemente in rapporto ad essi.”

Il fatto che i pregiudizi si fondino su dati inconsistenti rende difficile sradicarli, perché non si può eliminare un fondamento che non c'è. Riflettendoci sopra vediamo che il pregiudizio si rivolge all'individuo che viene classificato sulla scorta della sua appartenenza a una categoria specifica, senza tener conto delle sue qualità particolari, e reagendo nei suoi riguardi, in ragione di qualità che gli vengono attribuite perché attribuite al suo gruppo di appartenenza.

Tutto questo comporta che, la dimensione di valutazione negativa è data in base all’appartenenza sociale, razziale, religiosa, politica, sessuale, economica e così via. Ma qualora si stabilisce che esiste una disposizione naturale per cui esiste una certa scala sociale che differenzia la qualità degli individui, allora possiamo essere certi che il pregiudizio è diventato una discriminazione.

E qualora si ammettono delle espressioni o atteggiamenti di disprezzo e discriminazione verso un certo gruppo si crea un confine che divide gli ingroup e gli outgroup cioè il gruppo privileggiato degli inclusi e quello discriminato degli esclusi. È certo che, un pregiudizio, non corrisponde ad una realtà oggettiva, perché la vera finalità delle discriminazioni è quella di creare una tendenza sociale nei confronti di gruppi specifici.

Ma è pur vero che alcune culture preferiscono alcune qualità perciò cercano di reprimere quello che non amano. Senza dimenticare che, per coltivare i pregiudizi è necessario avere costruito una buona competenza cognitiva perciò questo conferma il fatto che i bambini non hanno alcuna forma di pregiudizio. Per un'ironia delle cose per essere così ottuso da avere pregiudizi si richiede il possesso di una competenza cognitiva.

Tutto questo è valido anche per l’affermazione di pregiudizi positivi verso il gruppo a cui si sente di appartenere come è evidente nelle sindromi da “popolo eletto” che hanno causato le orribili stragi del secolo scorso. Il fatto di venire percepiti come categoria e non di essere visti come individui è un fattore di spersonalizzazione che deve destare molta attenzione, perché lo stereotipo è il padre del pregiudizio.

E il pregiudizio può attuarsi in modi diversi perciò gli studiosi identificano varie categorie di pregiudizi, e alcune discriminazioni sono insolute e scottanti, perché questi pregiudizi sono duri da eliminare come: il pregiudizio sul femminile, il pregiudizio etnico-razziale, le marginalità sociali, le marginalità di giovani e anziani, le diversità di genere, la disabilità fisica e quella mentale, la tossicodipendenza, ecc.

Il pregiudizio etnico consiste in sentimenti di ostilità rivolti verso le minoranze etniche oppure verso i gruppi di etnia diversa, perciò il fenomeno vede entrare in gioco un complesso groviglio di fattori sociali, culturali e psicologici che entrano in conflitto e accentuano la difficoltà di risolvere la questione. Negli ultimi decenni, si tende a ridurre le manifestazioni esplicite di intolleranza ma l’ostilità è diventata latente perciò sopravvive in forma mascherata.

Siamo passati dal modello del vecchio razzismo esplicito a quello implicito e occulto perciò molto più insidioso. Ci sono vari modi di mostrare queste forme di razzismo occulto perciò si preferisce contrastare le iniziative a favore delle minoranze. Oppure si legittimao le istanze razziste usando in modo distorto gli stessi principi di uguaglianza e libertà individuale che dovrebbero tutelare gli individui. È questa la strategia di quelli che dicono che le iniziative a favore delle minoranze ledono i diritti delle maggioranze.

Non di rado, queste idee distorte possono istigare degli atti di ostilità verso le minoranze. Un’altra forma di razzismo strisciante è quella che comporta il rifiuto volontario di avere rapporti e contatti con le minoranze, e il volontario scoraggiamento delle iniziative che vengono intraprese per riconoscere i loro diritti. Per rinforzare un clima ostile, non solo viene mantenuta un forte distanza con le minoranze, ma vengono messi in evidenza i disturbi che producono.

Questo è testimoniato anche nei detti stereotipati associati alle etnie o nazionalità come quelle che affermano che “lo zingaro è ladro e rapisce i bambini” che “l’italiano è creativo e inaffidabile” e che “lo svizzero è preciso e noioso.” Questi vecchi stereotipi rivestono dei pregiudizi che faticano a passare di moda. Malgrado la scienza abbia provato che affermare la superiorità di una razza su di un'altra è un'idiozia priva di basi scientifiche vediamo che le idiozie restano in auge.

L’errore che queste credenze errate vogliono confermare è che un popolo abbia un’omogeneità di sensibilità, di attitudini e di orientamenti che non si osservano neppure in una famiglia. Da scemenze di questo tipo sono nate le persecuzioni razziali nei confronti degli ebrei e di quei popoli che hanno pagato con questa moneta insanguinata il mantenimento della loro identità nazionale. E se pensiamo ai pregiudizi di carattere sessuale vediamo quelli contro le donne, i trasgender e gli omosessuali che "disturbano" le idee sull’identità maschio/femmina.

Riguardo le donna va detto che ci viene da sempre riservato il posto del sesso debole e, non per caso, ci vengono affibbiate le qualità con valore socialmente negativo. Dicono che la donna è debole, timorosa, emotiva, irrazionale, bisognosa di tutela e di protezione. È vero che ci vengono attribuite anche delle qualità auspicabili, ma sono pur sempre funzionali ad un ruolo subalterno, infatti la donna dovrebbe essere dolce, seduttiva e molto sensuale.

Le regole della società maschilista comportano che la donna venga svantaggiata sul lavoro e venga pagata sempre meno del collega maschio anche se svolge lo stesso lavoro, che abbia un maggior carico di lavoro di cura e di assistenza in famiglia, perciò non è per caso se resta timorosa di fare carriera. Lo sfondamento del soffitto di vetro sembra lontano forse perché quel vetro è stato temprato per essere antisfondamento. E poi se queste differenze esistono e vengono rimarcate perché il nostro svantaggio è quello di essere il cosiddetto "sesso debole" perché siamo costrette a faticare tanto.

Sarà forse perché dobbiamo condividere il medesimo destino infamante che è riservato alle altre minoranze sessuali? Sarà di sicuro così, perché nel caso di omosessualità e della diversità di genere, la paura dell’Aids e la diffusione della positività alla malattia ha rafforzato la stigmatizzazione di questa categoria di “lebbrosi moderni”. L’efficientismo dei tempi moderni ci spinge ad avere un atteggiamento disturbato e discriminante anche nei riguardi dei problemi legati alle abilità di chi è portatore di handicap fisici o mentali. Ma l’infelicità della malattia mentale è più forte.

Questo è dovuto al fatto che si è maturata un’accettazione maggiore per la malattia fisica che viene vista come socialmente più accettabile, mentre resta intatto il marchio infamante della malattia mentale. Un valore condannabile viene riservato anche a tutti quelli che vengono giudicato in base ai pregiudizi sull’età, perché questa condanna assurda è giustificata dalle associazioni e alle aspettative di comportamenti e sentimenti che vengono definiti in modo fisso e stereotipato.

Quindi ai giovani non resta che rassegnarsi e di accettare di venire associati allo stereotipo che essere giovani comporta essere persone meno responsabili e meno autonome nelle decisioni, di essere persone poco maturi e consapevoli, perciò si viene considerati come dei minorati nelle facoltà quindi l'epiteto di "bamboccioni" rientra nel gioco.

Per gli anziani si tratta di accettare di incarnare lo stereotipo della rigidità, della nostalgia del passato e del disinteresse per il futuro, di essere ostili alle innovazione, di essere collerici, ostinati e piagnucolosi. La tragica comicità del paradosso è il fatto che l'unico modo per non diventare vecchi odiosi è morire giovani seppure inetti. Ma siccome la soluzione mi sembra peggiore del male, non sarebbe meglio se la smettiamo con queste scemate e iniziamo a vivere come esseri umani più evoluti?
 

Buona erranza
Sharatan


fonte: http://lacompagniadeglierranti.blogspot.it/2016/07/errori-e-pregiudizi_15.html

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