Nello zen hanno una pratica che chiamano Shikantaza. Anche chiamarla una pratica è già improprio, perché in realtà significa «non fare nulla». La traduzione letterale è «stare semplicemente seduti».
Che cosa significa?
Un modo di capirlo è vedere che in ogni
cosa che facciamo c’è uno scopo. Meditiamo per diventare illuminati, o
andiamo a lavorare per guadagnare del denaro, o usciamo con gli amici
per divertirci. L’attività finalizzata pervade ogni cosa.
Può essere anche molto sottile. Possiamo
meditare e guardare semplicemente il respiro o ripetere un mantra o
anche solo essere testimoni del nostro flusso di pensiero, e tuttavia
c’è ancora la sensazione di un’attività che ci porterà da qualche parte.
Riusciremo a concludere qualcosa. […] La definizione stessa di Io, il
sé, colui che decide, quel qualcuno che vive una vita personale, è che
ci sia qualche attività, qualche manipolazione da qualche parte, per
raggiungere qualche scopo. E tutto quello che facciamo, non importa
quanto sottile, rinforza questo concetto che noi esistiamo come entità
separate.
E’ qui che entra il Shikantaza.
Nel Shikantaza semplicemente ci sediamo e dimoriamo nella pura consapevolezza.
Non c’è alcuna tecnica che ci sostenga,
che ci aiuti a proseguire. Nessuna osservazione deliberata del respiro,
nessuna recita di mantra, neppure l’indagare su un koan o l’osservare
deliberatamente la mente. C’è solo pura consapevolezza, nient’altro. Lo
scopo più sottile che il sé si ponga, è di diventare risvegliato o
illuminato.
Tuttavia l’atto stesso del fare una qualunque cosa per
diventare illuminati, crea una sottile dualità che rinforza il sé
separativo. Io sono qui e l’illuminazione è lì. Io sono su questa sponda
e ho bisogno di andare sull’altra sponda, quella dove io sarò
realizzato, risvegliato, liberato.
Tuttavia gli esseri che diventano liberati dicono delle cose molto strane, come:«Ogni essere è già illuminato». […]
Lo Shikantaza cattura questa cosa,
perché non ha scopi, non ha dove andare, nulla da conseguire, nessuna
attività di nessun genere, neppure la più piccola tecnica che lo
sostenga. Non c’è nessuna istruzione. O, detto in altri termini, l’unica
istruzione è «stai semplicemente seduto». In quello «stare semplicemente seduti»
diventiamo consapevoli della consapevolezza stessa, che non ha bisogno
di nessun sostegno, di nessuna tecnica, per essere se stessa, nemmeno
dello stare semplicemente seduti, che la mente può cercare di
trasformare in una tecnica per arrivare da qualche parte.
Nella consapevolezza pura non c’è
nessuna idea di «Io», nessun concetto di una persona che agisce, di un
sé separato che decide tentando sempre di arrivare da qualche parte nel
prossimo minuto o nel prossimo anno. C’è solo la consapevolezza stessa,
che si manifesta in questo momento ordinario, in questa vita ordinaria.
Non c’è alcuna separazione tra quella sponda e questa sponda. Questa
stessa vita è l’altra sponda.
Il mistero inafferrabile mentre vive
attraverso te e me, nella forma di me e te, è sempre illuminato e
completamente libero, anche mentre corre per prendere il treno o si
scoraggia quando perde qualcosa. In questo momento, proprio in questo
respiro, possiamo vederlo, sentirlo, diventare consapevoli che non c’è
dove andare anche mentre il movimento continua. […]
Questo non può essere capito dalla
mente, con delle idee o afferrandosi a dei concetti
intellettuali. Tuttavia il tuo cuore può diventarne consapevole in
questo stesso momento. Infatti è già così.
Jim Slogan
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