La guerra globale
all’estremismo non viene condotta solo in Iraq e in Siria, e ciò risulta
chiaro se si considera che la Libia sta per essere trasformata in una
delle roccaforti dell’ISIS. È uno sviluppo della situazione
profondamente problematico, poiché la Libia è situata nelle immediate
vicinanze della costa europea [in inglese]
ed era una barriera vitale fra il Grande Maghreb e l’Europa
meridionale, ma ora il paese si sta gradualmente trasformando ancora una
volta in un campo di battaglia, in cui le forze NATO stanno avendo a
che fare con “islamisti radicali”, o almeno questo è ciò che ci viene
detto.
Temendo il pericolo che la Libia venga
trasformata in uno stato gestito dai terroristi, che potrebbe essere
usato dall’ISIS per potenziare le sue attività terroristiche in Europa o
persino lanciare un attacco missilistico contro il sud del Vecchio
Mondo, i leader politici e militari europei, insieme a Washington, hanno
cominciato a sviluppare un piano di vasta portata per intraprendere
nuovamente un intervento militare in Libia, con l’intento
di fornire “soluzioni radicali al problema dello jihadismo” [in francese].
Ma i politici occidentali hanno
incontrato lungo la strada un piccolo problema: per far sì che questo
piano abbia successo le nazioni della NATO devono persuadere gli attori
regionali, soprattutto nazioni come l’Egitto e l’Algeria, a coinvolgersi
in una nuova aggressione militare contro la Libia.
Francia e Stati Uniti hanno quindi
lavorato sodo per cercare di convincere i politici algerini ad inviare
lì le loro truppe. Secondo il piano di Washington, il ruolo più
importante nella cosiddetta “pacificazione della Libia” dovrebbe
giocarlo l’Algeria, che sarà incaricata di essere la più grande forza
anti terroristica nella regione e che, a differenza dei suoi vicini, è
riuscita ad isolarsi dalla minaccia eversiva, anche se ciò ha richiesto
un certo numero di anni. Secondo questo piano le forze armate
algerine devono invadere la Libia per “ripulire” dai militanti radicali
la sua parte occidentale e, a sua volta, l’Egitto deve occupare la
regione orientale della Cirenaica, traendo vantaggio dal supporto aereo
ravvicinato fornito dagli aerei francesi e, presumibilmente, americani.
Mentre il Cairo ha formalmente accettato di partecipare alla missione, l’Algeria
non sembra così determinata a farsi intrappolare in una guerra.
Nonostante la tentazione di trarre vantaggio della situazione in Libia, e
di fermare la serie costante di tentativi di destabilizzare il confine
libico-algerino, gli Algerini fino ad ora non hanno compiuto azioni per
intervenire in Libia, e questa posizione sembra essere perfettamente
razionale poiché, dopo aver visto cos’ha fatto Washington per
destabilizzare la Libia e la Siria, i politici algerini sono
alquanto preoccupati di diventare il soggetto di trattamenti simili. E
non si possono biasimare per il loro approccio così cauto, perché
abbiamo visto tutti quali sono i frutti della “democratizzazione
occidentale”.
Le loro preoccupazioni sono
ulteriormente aggravate dal fatto che Washington, Bruxelles e Parigi
hanno regolarmente criticato l’Algeria per non difendere le libertà
democratiche e civili. I politici occidentali hanno tradizionalmente
criticato la poca libertà dei media, l’assenza di protezione di quel
patrimonio culturale berbero così attivamente sostenuto dalla Francia,
il non rispetto della Costituzione Algerina, visto che il numero
limitato dei mandati presidenziali là previsto è stato ripetutamente
violato. Perciò, la posizione defilata dell’Algeria sulla Libia ha fatto
scattare sui suoi circoli politici e militari pressioni ancora maggiori
da parte di Washington, Bruxelles e Parigi.
Nello stesso tempo, le forze della cosiddetta coalizione occidentale si sono preparate per una ulteriore aggressione militare [in francese]
contro la Libia. Per esempio, la Gran Bretagna ha già mandato le sue
truppe in Tunisia, com’era stato annunciato dal Segretario della Difesa
inglese Michael Fallon lo scorso marzo e, inoltre, nuovi stati
entreranno a far parte della nuova avventura militare in Libia, come
l’Italia e la Spagna, che hanno ricevuto istruzioni e obiettivi per la
futura operazione. Il piano include lo schieramento di truppe nei
territori libici con la scusa delle esercitazioni militari, anche se
alle truppe saranno date istruzioni specifiche per scontrarsi con le
forze ostili con cui dovessero venire a contatto. “Esercitazioni
militari” simili stanno avendo luogo in Iraq, Ucraina e in Mali.
È chiaro che gli strateghi della NATO
hanno già sviluppato dei piani per aiutare le future istituzioni dello
stato libico, e modalità per potenziare le capacità di combattimento
delle locali forze di sicurezza. Mentre numerosi gruppi militanti libici
aderiscono alle ideologie estremiste e possono essere considerati
terroristi in natura, i politici occidentali sono felici di armarli
finché continuano a respingere le forze dell’ISIS e, in questo contesto,
l’embargo delle armi che era stato introdotto dall’ONU, viene ora
chiaramente ignorato. Circolano voci secondo le quali forze speciali
inglesi, francesi, italiane e persino americane stiano aiutando
militanti locali nell’operazione che è volta all’occupazione della città
di Sirte [in spagnolo].
Malgrado l’apparente volontà di certe
forze occidentali di nascondere questi piani al resto del mondo e
fingere che le truppe NATO non siano utilizzate in Libia, ciò sembra
essere un intento troppo arduo. Pertanto il 20 luglio il ministro
francese della Difesa, per la prima volta, è stato costretto a riconoscere ufficialmente [in francese]
la presenza delle truppe francesi in territorio libico, comunicando la
morte di tre soldati francesi che stavano prestando servizio nelle unità delle forze speciali [in francese].
È indubbio che la comunità
internazionale debba unire le forze per combattere il terrorismo e la
sua attuale manifestazione: l’ISIS. Ma questa battaglia dovrebbe aver
luogo tenendo in considerazione i limiti legali del diritto
internazionale. Non ci dovrà essere una ripetizione delle attività
illegali contro la Libia e altri stati, che sono stati distrutti e
trasformati in stati falliti con la scusa di questa “lotta al
terrorismo”.
Nel frattempo, vediamo soldati francesi
che vengono uccisi agendo in aperta violazione delle norme
internazionali, senza un mandato ONU o una richiesta ufficiale delle
autorità libiche e, inoltre, queste ultime hanno già annunciato una protesta ufficiale [in francese]
contro tali azioni sul loro territorio. Non c’è alcun dubbio che
nessuno sarà capace di sconfiggere il terrorismo se si incoraggia un
interventismo illegale, e su questo non si deve nemmeno discutere.
Martin Berger è un giornalista freelance e analista geopolitico, esclusivamente per il giornale online “New Eastern Outlook”.
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Articolo di Martin Berger pubblicato su New Eastern Outlook il 26 luglio 2016 .
Traduzione in Italiano a cura di Chiara per SakerItalia
[le note in questo formato sono del traduttore]
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