Innanzitutto chiariamoci sul termine »illuminazione«: la
realizzazione del proprio vero Sé, per
mezzo dell’identificazione fra l’io individuale e l’essere assoluto. Detto in
altre parole, il ricercatore – quello che nella cultura occidentale veniva
semplicemente chiamato filosofo – realizza che il suo io non ha esistenza
separata rispetto all’oggetto – Dio, l’essere – della sua ricerca. Se vogliamo
attenerci alla tradizione occidentale, possiamo parlare della figura del
filosofo che cerca e realizza la Verità. Non la ottiene come acquisizione
intellettuale, bensì la incarna. Diceva il nostro Gesù: “Io sono la Via, la
Verità e la Vita”. Gv 14,6
Nell’esoterismo questo processo è definito come “ritorno a
casa del Padre”.
L’illuminazione è difficile. Inutile prendersi per il culo
(non è un “evento quantistico di massa”!!!).
Occorrono intere vite di ricerca spirituale prima di
giungere all’incarnazione nella quale tale realizzazione finalmente avviene. Chi
vi dice che l’illuminazione può avvenire in chiunque e in qualsiasi momento, da
un punto di vista teorico ha ragione, in quanto ognuno di voi è già in questo
momento la consapevolezza che sta cercando; tuttavia, da un punto di vista
pratico – e realistico – l’illuminazione accade a pochissimi. Oggi sta
accadendo molto più che in passato, ma in ogni caso stiamo parlando di perle
rare, se consideriamo una popolazione di sette miliardi di esseri umani.
Shankara (ca VII sec. d.C.), riconosciuto come il fondatore
della scuola advaita vedanta
(filosofia della non-dualità), ha indicato il contatto con il guru (un essere
che ha realizzato il Sé) e lo studio della filosofia advaita come gli unici elementi indispensabili per ottenere tale
realizzazione.
La meditazione, ai tempi di Shankara così come ai nostri
tempi, è sempre stata assegnata all’allievo che doveva ancora sviluppare alcune
capacità di base atte a realizzare “in un istante intuitivo” l’identificazione
con l’essere.
La meditazione quindi non serve – e non è mai servita – come via
per ottenere l’illuminazione, ma solo come esercizio propedeutico ad essa, nell’ottica
di acquisire qualità ancora mancanti.
Un aspetto indispensabile nella filosofia della non-dualità
è la capacità di indagare il proprio stesso io; lo stesso Shankara tratta della
rimozione dell’ignoranza attraverso l’indagine. Risulta però ovvio che se il
discepolo non è ancora in grado di tenere la coscienza ferma e concentrata
sulla sensazione di »esserci« (l’io, appunto), non è cioè in grado di “ricordarsi
di sé”, come direbbe Gurdjieff, allora è necessario che egli pratichi la meditazione,
non per illuminarsi, bensì con il fine di acquisire o affinare tale capacità. Se
infatti non siete in grado di tenere a bada la mente, non vi potete ricordare di
voi, ossia non potete restare fermi nel vostro esserci; e se non potete indagare
l’esserci individuale, non potete nemmeno realizzare l’essere assoluto.
Il fatto che nessuna pratica meditativa possa condurre all’illuminazione,
non è un punto di vista opinabile, ma costituisce un punto fermo sul quale
concordano tutti coloro che hanno realizzato il Sé. Non sto parlando di
studiosi né di compilatori di antologie.
Se osservo me stesso, mentre sto scrivendo, realizzo
immediatamente che ciò che sono, non avrei mai potuto ottenerlo con un atto
volitivo di quell’io che credevo di essere fino a poco tempo fa. Che fosse
meditazione piuttosto che ingurgitare un decotto di ayahuaska... niente, ma proprio niente, avrebbe potuto condurmi Qui,
dove sono adesso, che è poi dove sono sempre stato.
In ogni caso, è sufficiente leggere un libro o porre domande
a un qualunque individuo realizzato, per averne conferma.
Dice Poonja, allievo di Ramana Maharshi:
- Non dai niente da fare ai discepoli?
- Nessuno fa niente qui. Le persone che vengono qui hanno già fatto molte cose con altri insegnanti. Io mi limito a dir loro: “Rimanete tranquilli, in silenzio”.
- E questo non comporta una pratica?
- Qui vengono persone da tutte le parti del mondo. Tutti gli insegnanti avuti in precedenza hanno dato loro degli insegnamenti, ma evidentemente non ci sono stati risultati. Ci sono molti ashram al mondo, molti centri spirituali. In quei posti succedono molte cose di vario genere, ma non danno risultati. Le persone hanno tante esperienze spirituali, ma nessuno ottiene la libertà in quei posti. Qualsiasi yoga o pratica si segua, viene fatto con la mente o con il corpo. Lo yoga è fatto principalmente con il corpo, la meditazione con la mente. Qualsiasi comprensione si ottenga dalla meditazione, deve quindi avvenire nella sfera mentale.
Lo stesso Siddharta Gautama Buddha praticò meditazione e
ascesi sotto la guida di almeno due maestri accertati storicamente – Āḷāra Kālāma e Uddaka
Rāmaputta – in due successivi momenti della sua vita, ma in entrambi i casi,
pur avendo raggiunto obiettivi spirituali elevati e nonostante fosse diventato
maestro a sua volta, non ritenne di aver ottenuto la liberazione finale, la
quale arriverà solo più tardi, sotto il famoso albero (un ficus), dopo sette
settimane di “raccoglimento ininterrotto”.
Se uno dei mille insegnanti odierni di pratiche meditative –
ovviamente sempre collegate a tradizioni pure e antichissime (perché ciò che è
antico di almeno un millennio è, per definizione, più figo/efficace di ciò che
è odierno) – con il fine di giustificare il suo corso di meditazione, vuole
chiamare meditazione anche le sette settimane di raccoglimento del Buddha, è
libero di farlo, ma allora dobbiamo chiarire cosa intendiamo per meditazione,
perché nulla di ciò che viene insegnato oggi in un qualunque corso di
meditazione – e io in passato ne ho frequentati diversi – somiglia allo stato
che ha portato il Buddha all’illuminazione finale. Tali pratiche sono invece proprio
quelle che il Buddha ha incrociato nella sua giovinezza, per poi abbandonarle.
Se vogliamo definire con il termine meditazione anche l’indagine
finale sulla natura illusoria del proprio io, allora Buddha ha meditato pure in
quelle sette settimane, e anche Poonja, Ramana Maharshi, Nisargadatta Maharaji
e tanti altri fino ai più recenti Gangaji, Francis Lucille e Rupert Spira,
sarebbero d’accordo nel consigliare questo genere di meditazione. Come al
solito... basta chiarirsi sui termini.
La meditazione è molto utile se viene praticata con fini
chiari e per periodi di tempo limitati, esattamente come per le modificazioni
della dieta e per i comportamenti sessuali. Nessun maestro serio – ma nemmeno
un qualsiasi individuo con un po’ di sale in zucca – ti direbbe che chiunque su
un percorso spirituale deve diventare vegetariano oppure deve praticare
meditazione oppure deve praticare la ritenzione del seme durante i rapporti
sessuali. Un vero maestro – se ne ha voglia – ti consiglia come meditare, come
mangiare e cosa fare in ambito sessuale (possono anche essere necessari periodi
di digiuno o di astinenza) a seconda di come si modifica il tuo stato interiore
giorno dopo giorno, monitorandoti durante tutto il percorso. Solo una scuola
deviata – e il fatto che sia antica non significa che non fosse già deviata in
origine – prende un solo aspetto del percorso spirituale, lo esalta e lo assegna
a tutti i discepoli, indicando la meditazione oppure l’orgasmo senza
eiaculazione come “via verso l’illuminazione”.
Non mi stancherò mai di dire che non è possibile garantire
oggi, nel 2016, l’affidabilità e l’efficacia di pratiche e metodi vecchi di
secoli, se non di millenni. Una pratica meditativa o un mantra o un esercizio
sessuale che potevano tranquillamente venire assegnati a un individuo nato ai
piedi dell’Himalaya nel 1000 d.C., potrebbero non essere adatti – o addirittura
creare dei disastri – nell’apparato psicofisico di un newyorkese del 2016. E
infatti i problemi regolarmente si presentano. I corpi sottili e di conseguenza
la sensibilità/ricettività del sistema nervoso degli esseri umani alle energie
sottili, muta sia nel corso del tempo (l’umanità di oggi è totalmente diversa da
quella di 1000 o 2000 anni fa; la densità stessa dei corpi fisici cambia con i
secoli), sia in seguito all’appartenenza a una razza piuttosto che un’altra. Ci
sono differenze anche fra i sessi; infatti non è un caso che determinate
pratiche fossero assegnate solo agli uomini e che, per esempio, donne e uomini
durante la messa dovessero occupare due zone separate. Ma la deviata mente
moderna, anziché informarsi da chi ne sa di più riguardo le leggi regolano le
energie, comincia a fare discorsi sulla discriminazione femminile del passato!
Dal momento che per lavoro incontro centinaia di persone
tutte “in odore di spiritualità”, i disastri di certe pratiche io li vedo tutti
i giorni. Gli occhi lucidi e arrossati di chi pratica la meditazione oppure la
ritenzione del seme (i due lavori producono effetti molto simili sia sui corpi
sottili che sul sistema nervoso) mi sono fin troppo familiari. Entrambe le
pratiche aumentano la quantità di energia in circolo, ma questa segue le linee
di minor resistenza all’interno dell’apparato psicofisico, per cui si dirigerà
principalmente verso i meccanismi psicologici già esistenti. Per esempio, di norma
chi pratica molta meditazione incrementa il suo livello di giudizio e diventa
più critico nei confronti della società. Senza nemmeno rendersene conto si
focalizza sempre di più verso il brutto e lo sbagliato, continuando però a
credere di stare adottando un atteggiamento utile all’evoluzione sua e degli
altri.
Inoltre l’energia sessuale, proprio perché viene prima
incrementata da yoga e meditazione e poi imbrigliata all’interno di esercizi e
rituali, diviene sempre meno gestibile nella vita quotidiana, un ordigno sempre
pronto ad esplodere; cosicché il discepolo (di solito un “Crowley dei poveri”) è
costretto a giustificare una condotta sessuale lasciva e dissoluta con un
mancato interesse verso il rapporto di coppia monogamo, che a suo dire sarebbe oramai
vecchio e superato. Pur di non ammettere che le cose non stanno andando proprio
per il verso giusto, finge, anche con se stesso, che un comportamento meccanico
e compulsivo sia in realtà frutto di una scelta filosofica ponderata.
Praticando meditazione od orgasmo senza eiaculazione o la
recitazione di mantra, per un periodo di tempo abbastanza lungo, cominciano anche
ad accadere le cosiddette “esperienze spirituali”: si va dalle visioni
mistiche, al senso di beatitudine, alla percezione dell’unione con il tutto. Ovviamente
niente di tutto questo ha qualcosa da spartire con “la realizzazione della
natura illusoria di colui che cerca”. Inoltre, paradossalmente, l’io, anziché
mollare la presa, diviene sempre più orgoglioso, poiché sente di stare facendo
qualcosa di utile nel percorso di avvicinamento all’illuminazione. Un’illuminazione
che è sempre a un passo, ma mai qui-e-ora.
Meditate gente...
meditate.
(occupazione: domatore di fiumi)
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