“La più alta forma di intelligenza umana
è la capacità di osservare senza giudicare."
(Jiddu Krishnamurti)
"Vi
sono due tipi di apprendimento: uno consiste nel memorizzare ciò che
viene imparato per poi osservare tramite la memoria - ed è questo che
molti di noi chiamano apprendimento - e l’altro consiste nell’imparare
attraverso l’osservazione, senza immagazzinarlo come ricordo. Per dirla
in un altro modo: un modo di apprendimento è imparare qualcosa a
memoria, in modo che rimanga immagazzinato nel cervello come conoscenza e
successivamente agire secondo tale conoscenza, abilmente o
maldestramente. Quando si frequenta la scuola e l’università, si
accumulano molte informazioni, e in base a tale conoscenza si agisce in
modo benefico per se stessi e per la società, ma si è incapaci di agire
semplicemente, direttamente.
L’altra
specie di apprendimento -cui non si è altrettanto abituati, perché si è
schiavi delle abitudini, delle tradizioni, di ogni conformismo-
consiste nell’osservare senza l’accompagnamento della conoscenza
pregressa, guardare qualcosa come se fosse la prima volta. Se uno
osserva qualcosa in questo modo, non vi è la coltivazione della memoria;
non è come quando uno osserva e tramite tale osservazione accumula il
ricordo in modo che la prossima volta che l’osserva lo fa attraverso
quello schema della memoria, e perciò non l’osserva più ex novo.
È
importante avere una mente che non sia costantemente occupata,
costantemente intenta a chiacchierare. Per la mente non occupata, può
germinare un nuovo seme, qualcosa d’interamente diverso dalla
coltivazione della conoscenza e dall'azione basata su tale conoscenza.
Osservate i cieli, la bellezza delle montagne, gli alberi, la luce tra
le fronde.
Questa osservazione, immagazzinata nella memoria, impedirà
che la prossima osservazione sia nuova. Quando uno osserva la moglie o
un amico, può osservare senza l’interferenza della registrazione dei
precedenti episodi di quel particolare rapporto?
Se
uno può osservare l’altro senza l’interferenza della conoscenza
precedente, impara molto di più. La cosa più importante è osservare:
osservare e non avere una divisione tra l’osservatore e l’osservato.
Generalmente vi è una divisione apparente tra l’osservatore, che è la
somma totale dell’esperienza passata, in quanto memoria, e
l’osservato... così è il passato che osserva. La divisione tra
osservatore e osservato è la fonte del conflitto. È possibile che non vi
sia conflitto, in tutta una vita?
Tradizionalmente,
si accetta che debba esservi questo conflitto, questa lotta, questo
dissidio perpetuo, non solo fisiologicamente, per sopravvivere, ma
psicologicamente, tra desiderio e paura, simpatia e antipatia, e così
via. Vivere senza conflitto è vivere una vita senza sforzo, una vita in
cui vi è pace. L’uomo ha vissuto, per secoli e secoli, una vita di
battaglia, di conflitti esteriori e interiori; una lotta costante per
conseguire qualcosa, e la paura di perdere, di ricadere indietro.
Si
può parlare all'infinito di pace, ma non vi sarà pace finché si è
condizionati ad accettare il conflitto. Se uno dice che è possibile
vivere in pace, allora è soltanto un’idea, e perciò non ha valore. E se
uno dice che non è possibile, allora blocca ogni indagine. Esaminiamolo
prima psicologicamente; è più importante che farlo fisiologicamente. Se
uno comprende in profondità la natura e la struttura del conflitto,
psicologicamente, e magari vi pone fine, allora può essere in grado di
affrontare il fattore fisiologico.
Ma
se uno s'interessa solo del fattore fisiologico, biologico, per
sopravvivere, allora probabilmente non ci riuscirà. Perché vi è questo
conflitto, psicologicamente? Fin dai tempi più antichi, socialmente e
religiosamente, c’è sempre stata una divisione tra il bene e il male.
Questa divisione esiste realmente, oppure c’è soltanto “ciò che è” senza
il suo contrario? Supponiamo che vi sia collera; questo è un fatto
ossia “ciò che è”; ma “io non andrò in collera” è un’idea, non è un
fatto. Uno non discute mai tale divisione, l’accetta perché è
tradizionalista per abitudine, e non vuol saperne di qualcosa di nuovo.
Ma
c’è un altro fattore: c’è una divisione tra l’osservatore e
l’osservato. Quando uno guarda una montagna, la guarda come osservatore e
la chiama montagna. La parola non è la cosa. La parola “montagna” non è
la montagna, ma per l’interessato la parola è molto importante: quando
guarda, vi è istantaneamente la risposta: “Quella è una montagna”. Ora,
uno può guardare la cosa chiamata “montagna” senza la parola, perché la
parola è un fattore di divisione? Quando uno dice “mia moglie” la parola
“mia” crea divisione. La parola, il nome, fa parte del pensiero. Quando
uno guarda un uomo o una donna, una montagna o un albero, qualunque
cosa sia, si opera una divisione quando il pensiero, il nome, il ricordo
vengono posti in essere.
Uno
può osservare senza l’osservatore, che è l’essenza di tutti i ricordi,
le esperienze, le reazioni e così via, tutti provenienti dal passato? Se
uno guarda qualcosa senza la parola e i ricordi del passato, allora
osserva senza l’osservatore. Quando uno fa ciò, vi è solo l’osservato e
non vi è divisione né conflitto, psicologicamente. Uno può guardare la
propria moglie o il proprio amico più intimo senza il nome, la parola e
tutta l’esperienza accumulata in quel rapporto? Quando guarda così,
guarda l’altro - o l’altra - per la prima volta. È possibile vivere una
vita completamente libera da ogni conflitto psicologico?
Uno
ha osservato il fatto: basterà, se lascia stare il fatto. Finché vi è
divisione tra l’osservatore che crea le immagini, e il fatto – che non è
immagine ma soltanto fatto – deve esserci conflitto perpetuo. È una
legge. Ma si può porre fine al conflitto. Quando vi è la fine del
conflitto psicologico - che è parte della sofferenza - allora, in che
modo influisce sulla vita, sui rapporti con gli altri? In che modo la
fine della lotta psicologica, con tutti i suoi conflitti, il suo dolore,
le sue ansie, le sue paure, in che modo si riferisce alla vita
quotidiana, al lavoro d’ufficio, eccetera, eccetera?
Se
è un fatto che uno ha posto fine al conflitto psicologico, allora come
vivrà una vita senza conflitti esteriori? Quando non vi è conflitto
interiore, non vi è conflitto all’esterno, perché non vi è divisione tra
l’interiore e l’esteriore. È come il flusso e il riflusso del mare. È
un fatto assoluto, irrevocabile, che nessuno può toccare; è inviolato.
Quindi, se è così, cosa farà uno per guadagnarsi da vivere? Poiché non
vi è conflitto, non vi è ambizione.
Poiché
interiormente vi è qualcosa di assoluto che è inviolato, che non può
essere toccato né danneggiato, allora uno non dipende psicologicamente
da un altro; perciò non vi è conformismo né imitazione. Quindi, non
avendo tutto questo, uno non è più pesantemente condizionato dal
successo e dall’insuccesso nel mondo del denaro, della posizione, del
prestigio che implica la negazione di “ciò che è” e l’accettazione di
“ciò che dovrebbe essere”. Poiché uno nega “ciò che è” e crea l’ideale
di “ciò che dovrebbe essere”, vi è conflitto.
Ma
osservare ciò che è effettivamente significa che uno non ha contrario,
solo “ciò che è”. Se osservate la violenza e usate la parola “violenza”,
c’è già conflitto, la parola stessa è già distorta; vi sono persone che
approvano la violenza e altre che non l’approvano. L’intera filosofia
della non violenza è distorta, politicamente e religiosamente. C’è la
violenza e il suo contrario, la non-violenza. Il contrario esiste perché
voi conoscete la violenza.
Il
contrario ha radice nella violenza. Uno pensa che, avendo un contrario,
con qualche metodo o mezzo straordinario, si sbarazzerà di “ciò che è”.
Ora, si può accantonare il contrario e guardare semplicemente la
violenza, il fatto? La non-violenza non è un fatto. La non-violenza è
un’idea, un concetto, una conclusione. Il fatto è la violenza: uno è in
collera, odia qualcuno, vuol far male alla gente, è geloso: tutto questo
è l’implicazione della violenza, che è il fatto. Ora, si può osservare
il fatto senza introdurre il suo contrario?
Perché
allora uno ha l’energia - che prima veniva sprecata cercando di
realizzare il contrario - per osservare “ciò che è”. In
quell’osservazione non c’è conflitto. Perciò, cosa farà un uomo che ha
compreso questa esistenza straordinaria e complessa basata sulla
violenza, il conflitto e la lotta, un uomo che ne è effettivamente
libero, non teoricamente, ma effettivamente libero? Il che significa
assenza di conflitto. Che cosa farà al mondo? Formulerà questa domanda
se è interiormente, psicologicamente, interamente libero da conflitti?
Ovviamente
no. Solo l’uomo in conflitto dice: “Se non vi è conflitto, sarò alla
fine, verrò annientato dalla società perché la società è basata sul
conflitto”. Se uno è consapevole della propria coscienza, che cos’è? Se è
consapevole, vedrà che la sua coscienza è - in senso assoluto nel
disordine totale. È contraddittorio dire una cosa, fare qualcosa
d’altro, cercando sempre qualcosa. Il movimento totale è entro un’area
limitata e priva di spazio, e in quel poco spazio c’è disordine.
Uno
è diverso dalla propria coscienza? Oppure è quella coscienza? È quella
coscienza. Allora, è consapevole di trovarsi nel disordine totale? Alla
fine, quel disordine porta alla nevrosi, ovviamente: perciò ci sono
tutti gli specialisti della società moderna, gli psicoanalisti, gli
psicoterapeuti e così via. Ma interiormente c’è ordine? Oppure c’è
disordine? Uno può osservare questo fatto? E cosa avviene quando uno
osserva senza scegliere... cioè senza distorsioni?
Dove
c’è disordine, deve esserci conflitto. Dove c’è ordine assoluto, non
c’è conflitto. E c’è un ordine assoluto, non relativo. Ciò può avvenire
in modo naturale e facile, senza conflitto, solo quando uno è
consapevole di se stesso quale coscienza, consapevole della confusione,
del tumulto, delle contraddizioni, osservando esteriormente senza
distorsione. Allora da questo deriva naturalmente, dolcemente,
facilmente, un ordine irrevocabile.”
(Jiddu Krishnamurti)
Nessun commento:
Posta un commento