Spagna, Germania, Svezia e ora Turchia.
Sapevamo che il continente sarebbe riesploso. E non solo il continente: negli USA si rioccupano Zuccotti Park e tanti altri spazi, la polizia risponde con la repressione ma non basterà, come non è bastato l’anno scorso. Sapevamo che chi parlava di “fine” o “esaurimento” del ciclo di lotte e rivolte iniziato nel 2010-2011 aveva torto marcio. Lo sapevamo, perché eravamo in ascolto. Alla fine del 2012, in Spagna erano già chiarissimi i segnali di una “seconda ondata” del Movimento 15 Maggio: escraches ovunque, manifestazioni, blocchi contro le confische di case da parte delle banche…
Sapevamo che il continente sarebbe riesploso. E non solo il continente: negli USA si rioccupano Zuccotti Park e tanti altri spazi, la polizia risponde con la repressione ma non basterà, come non è bastato l’anno scorso. Sapevamo che chi parlava di “fine” o “esaurimento” del ciclo di lotte e rivolte iniziato nel 2010-2011 aveva torto marcio. Lo sapevamo, perché eravamo in ascolto. Alla fine del 2012, in Spagna erano già chiarissimi i segnali di una “seconda ondata” del Movimento 15 Maggio: escraches ovunque, manifestazioni, blocchi contro le confische di case da parte delle banche…
E tanti altri sintomi si manifestavano in altri paesi. Da noi,
invece, toccava sopportare le banalità, i luoghi comuni, le sentenze
sputate da chi non si informava: «Gli Indignados non ci sono più! Occupy
è morta! Le proteste in Grecia non sono servite a nulla! Le primavere
arabe hanno solo sostituito nuovi regimi a quelli vecchi! Rassegnatevi, i
movimenti che piacciono a voi hanno fallito, siamo molto più avanti qui
in Italia, grazie al Movimento 5 Stelle! Negli altri paesi non
combinano niente, noi vinciamo le elezioni! Ditelo, che siete invidiosi
di Grillo!»
Sono passati
solo tre mesi da quando quelle frasi erano moneta corrente, e sembrano
voci di un secolo fa. Ovunque si fa movimento, i corpi si riappropriano
di strade e spazi pubblici, si contesta l’austerity persino in Germania
(nel ventre della Bestia). Da noi, invece, lotte importanti ma ancora a
macchie di leopardo, e per quanto si scuota la bottiglia, non si è
ancora riusciti a far saltare il tappo dei partiti, delle burocrazie
sindacali e del qualunquismo travestito da “protesta”.
Il Movimento 5
Stelle ha fatto quel che avevamo previsto ed era facile prevedere: ha
stabilizzato il sistema (speriamo solo temporaneamente). Sinceramente,
si è visto poco di quelle “feconde ambivalenze” che certi avevano
creduto di ritrovare nel partito-azienda di Grillo e Casaleggio,
ambivalenze presuntamente sfruttabili dai movimenti di lotta. Si è vista
anche poca rivolta interna, quella per cuitifavamo.
Di scazzi ce ne sono stati eccome, ma ben poco “fecondi”, anzi,
piuttosto squallidi e su questioni pitocche: gli scontrini, la diaria,
Barbara D’Urso… Tutto questo, per dirla con Mengoni, mentre il mondo
cade a pezzi.
Se poi vogliamo parlare dei contesti locali, in molte
città il M5S si è inabissato o rivelato una sacca vuota (successi
elettorali effimeri, ruggiti dei “leoni da tastiera”, ma assenza dalle
lotte per mancanza di attivisti, come abbiamo visto in occasione del
referendum bolognese); nelle città dove governa, il “moVimento”
amministra austerity e devastazione, come qualunque altro partito, come
una masnada di Enrichi Letta qualsiasi.
Intendiamoci, il ruolo di
“pompiere” di Grillo e Casaleggio non è terminato: se il tappo salta, un
movimento confusionista e diversivo sarà più utile che mai. Saranno i
poteri che a parole il M5S contesta a fare di tutto per tenerlo in
piedi, perché l’alternativa fa paura.
Riuscirà a
vincere battaglie strategiche questa “seconda ondata” della sequenza
avviata nel 2010? Riuscirà a consolidare soggettività, a contare nella
politica?
Non lo sappiamo. Sappiamo, però, che queste lotte sono espressioni di una coscienza transnazionale: a New York si sentono parte di quel che accade ad Ankara e viceversa, come a Madrid si sentono parte di quel che accade a Francoforte e viceversa.
Non lo sappiamo. Sappiamo, però, che queste lotte sono espressioni di una coscienza transnazionale: a New York si sentono parte di quel che accade ad Ankara e viceversa, come a Madrid si sentono parte di quel che accade a Francoforte e viceversa.
E noialtri,
lo capiamo che, pur con tutti i limiti del caso-Italia, i manifestanti
di Istanbul sono parte di quel che avviene in Val Susa e viceversa? Che i
manifestanti No Muos di Niscemi, i cittadini “liberi e pensanti” di
Taranto e i lavoratori della logistica i cui scioperi infiammano
l’hinterland bolognesi sono parte di quel che accade a Istanbul e
Smirne? Che la lotta per Gezi Park, scintilla della rivolta turca, tocca
molte delle contraddizioni già toccate dalla lotta No Tav, e per questo
le due lotte subiscono una repressione molto simile?
No,
sembra che troppi non lo capiscano, o non vogliano capire. I media
italiani denunciano con sdegno la repressione ordinata da Erdogan (per
inciso: altro amicone di Silvio, come Mubarak), e addirittura parlano
male del gas CS, senza dire che noi lo abbiamo respirato a Genova e in
Val Clarea viene usato da anni, a centinaia di ettolitri, e si
continuerà a usarlo.
Non siamo certo i primi a dirlo: a molti
commentatori nostrani le rivolte piacciono soltanto se lontane da casa.
Ancor meglio se possono essere “etnicizzate”, se se ne può fare una
questione religiosa (quella turca viene semplicisticamente ridotta a
rivolta… “anti-islamica”), se si può posare su di esse uno sguardo
“orientalista”, ovvero razzista, in modo da non far percepire chequelli là siamo sempre noi.
Insomma, ci stanno riproponendo la solita narrazione tossica della rivolta.
fonte: WuMing Foundation
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