E' ormai noto
che i manipolatori mentali si servono di tecniche psicologiche subdole e
sofisticate, spesso abbinate alla somministrazione di sostanze chimiche
(come allucinogeni, droghe, psicofarmaci "depersonalizzanti",
eccetera), come dimostrano gli studi compiuti da Margareth Singer, G. De
Gennaro, M. Gullotta, Jania Lalich e gli scritti di Randall Watters, G.
Flick, Ted Patrick.
Ma
è sbagliato pensare che il plagio avviene solo nelle sette organizzate.
Può verificarsi anche in un piccolo gruppo deviato, nella coppia, o
addirittura in famiglia. Secondo
lo psicologo Steven Hassan, il controllo mentale può essere compreso
analizzando le tre componenti descritte dallo psicologo Leon Festinger.
Si tratta del controllo del comportamento, controllo dei pensieri e
controllo delle emozioni. Ogni componente influenza profondamente le
altre: modificandone una anche le altre tenderanno a cambiare. Se si
riesce a cambiarle tutte e tre, l'individuo sarà spazzato via (tratto
dal libro Releasing the Bonds).
Controllo del comportamento
Controllo del comportamento
Il controllo del comportamento è ciò che regola la realtà fisica di un individuo. Include il controllo del contesto in cui si trova, vale a dire dove abita, quali vestiti indossa, che cibo mangia, quanto dorme, come pure il suo lavoro, le abitudini e le altre attività.
In alcuni dei gruppi più restrittivi i membri devono chiedere il permesso per qualsiasi cosa. A volte l'individuo viene reso dipendente dal punto di vista finanziario cosicché la sua facoltà di scelta comportamentale si restringe. Un adepto deve chiedere i soldi per il biglietto dell'autobus o per comprarsi i vestiti, o il permesso per recarsi dal medico. Il seguace deve essere autorizzato a telefonare a un amico o a un parente fuori dal gruppo e deve rendere conto di ogni ora della sua giornata. In questo modo il gruppo può tenere saldamente le redini del suo comportamento e controllarne anche pensieri ed emozioni. Il comportamento individuale è spesso assoggettato alla richiesta di eseguire in gruppo ciascuna azione.
In molte sette le persone mangiano
assieme, lavorano assieme, partecipano a riunioni di gruppo e talvolta
dormono nella stessa casa. L'individualismo è disincentivato. Ognuno
vede assegnarsi degli "amici" fissi. La struttura del comando è
autoritaria: il processo decisionale parte dal capo e, passando per i
luogotenenti, arriva ai diretti inferiori fino ai ranghi più bassi. In
un ambiente così strutturato, tutti i comportamenti possono essere
premiati o puniti.
Controllo del pensiero
Controllo del pensiero
Il controllo del pensiero, la seconda importante componente del controllo mentale, prevede l'indottrinamento dei membri in maniera così pervasiva da far loro interiorizzare la dottrina del gruppo. Per diventare un buon seguace una persona deve prima imparare a manipolare i propri processi mentali. Tutto ciò che è buono si incarna nel leader e nel suo gruppo. Tutto ciò che è cattivo è nel mondo esterno. I gruppi più totalitari dichiarano che la loro dottrina è stata scientificamente dimostrata. La dottrina sostiene di poter esaudire tutte le domande, di rispondere a tutti i problemi e a tutte le situazioni. Un altro aspetto chiave del controllo del pensiero prevede l'addestramento specifico dei soggetti a bloccare e respingere qualsivoglia informazione critica nei confronti del gruppo.
I basilari meccanismi di difesa di una persona vengono
confusi a tal punto da farla arrivare a difendere l'identità acquisita
nel culto a scapito dell'identità originaria, che soccomberà nello
scontro. Se un'informazione trasmessa al membro di un culto viene
percepita come attacco al capo, alla dottrina o al gruppo stesso, per
tutta risposta viene immediatamente eretto un muro di ostilità.
Controllo delle emozioni
Controllo delle emozioni
Il controllo delle emozioni, la terza componente del controllo mentale, mira a manipolare e limitare la sfera dei sentimenti. Sensi di colpa e paura sono gli strumenti impiegati per tenere le persone sotto controllo. Il senso di colpa è forse l'unica e più importante leva emozionale capace di indurre conformismo e accondiscendenza. La maggior parte degli affiliati non è affatto consapevole che i sensi di colpa e le paure vengono usati al fine di controllarli: sono stati condizionati a colpevolizzare sempre e soltanto se stessi, quindi rispondono con gratitudine ogni qual volta si fa loro notare una "mancanza".
La paura mira a tenere unito il gruppo: un modo è la creazione di un nemico esterno che ti perseguita. Molti gruppi esercitano un controllo completo sulle relazioni interpersonali. I capi dicono ai membri chi devono frequentare e chi evitare. Alcuni leader di setta arrivano a indicare ai propri affiliati chi possono sposare e chi no. La confessione di peccati commessi nel passato o di comportamenti errati è anch'esso un potente mezzo per il controllo delle emozioni. Ma la tecnica più potente per il controllo emozionale è l'induzione di fobie. Si tratta, in sostanza, di indurre una reazione di paura alla sola idea di abbandonare il gruppo. È impossibile per un seguace ben indottrinato sentirsi al sicuro fuori dal gruppo. Se un gruppo riesce ad avere pieno controllo sulle emozioni di una persona, riuscirà a controllarne anche pensieri e azioni.
Controllo dell'informazione
Il controllo dell'informazione è l'ultima componente del controllo mentale. L'informazione è il carburante che usiamo per il buon funzionamento della nostra mente. Se a una persona viene negata l'informazione necessaria a formulare giudizi fondati, non sarà più in grado di formarsi opinioni proprie.
Le persone rimangono intrappolate nelle sette non solo perché viene loro negato l'accesso a informazioni di carattere critico, ma anche perché vengono a mancare quegli appropriati meccanismi interni che servono a elaborarle. Tale controllo dell'informazione ha un impatto drammatico e devastante. In molte sette le persone hanno un accesso limitato ai mezzi d'informazione (giornali, riviste, televisione o radio) che non siano di pertinenza del gruppo. Ciò si ottiene anche impegnando i membri al punto da non avere tempo da dedicare ad altro. Il controllo dell'informazione avviene a tutti i livelli relazionali. Non sono permesse conversazioni critiche nei confronti dei capi e dell'organizzazione. I seguaci devono spiarsi a vicenda e riportare immediatamente ai leader attività improprie e critiche.
Ai nuovi adepti non è consentito comunicare tra loro, se non
alla presenza di un membro anziano. E, cosa più importante, viene
proibito loro di avere contatti con chi è critico nei confronti della
setta. Comportamento e pensiero, emozioni e informazioni, ogni forma di
controllo ha grande potere sulla mente umana. Insieme formano una rete
totalizzante che può manipolare anche le persone più forti. Di fatto,
sono proprio gli individui più forti a trasformarsi in membri più devoti
e coinvolti. Nessun gruppo mette in atto tutte queste tecniche insieme,
ma senz'altro sono le pratiche più diffuse nell'ambito di ciascuna
componente del controllo mentale, poiché esistono anche altri metodi in
uso in certe sette.
La riforma del pensiero secondo Singer
La riforma del pensiero secondo Singer
Negli Anni '50, la psicologa del Walter Reed Army Hospital, Margaret Singer, ha studiato gli effetti del controllo mentale settario. nota: altro libro che non mi stancherò mai di consigliare è "I persuasori occulti" di Packard Vance, scritto sempre negli anni '50 allo scoppio del consumismo. Testo che descrive benissimo le tecniche utilizzate per farci credere importanti cose che non lo sono affatto, e pensare che si parla di oltre mezzo secolo fa ... oggi con la tecnologia dove possono arrivare?
Singer ha
riassunto cinquant'anni del suo lavoro nel libro Cults in Our Midst, in
cui spiega le sei condizioni per ottenere la riforma del pensiero:
1. acquisire il controllo sul tempo personale individuale, in particolare quello dedicato alla riflessione e all'ambiente fisico;
2. Creare senso di impotenza, paura e dipendenza, fornendo contemporaneamente modelli del comportamento che la leadership vuole produrre;
3. premi, punizioni ed esperienze al fine di sopprimere precedenti comportamenti e atteggiamenti sociali, compreso l'utilizzo di stati alterati di coscienza;
4. manipolazione di premi, punizioni ed esperienze per provocare comportamenti e atteggiamenti voluti dalla leadership.
5. creazione di un sistema controllato, in cui chi dissente viene fatto sentire come se i suoi interrogativi indicassero che esiste qualcosa di intrinsecamente sbagliato in lui.
6. mantenere i membri inconsapevoli e non informati sul fatto che esiste un piano per controllarli e modificarli.
Secondo la dottoressa Singer, l'individuo crede di prendere decisioni autonome quando in realtà è socialmente influenzato a disinserire la mente critica e la capacità di prendere decisioni indipendenti. Nel giro di breve tempo le reclute immerse nel nuovo ambiente iniziano a pensare in modo diverso senza rendersene conto. Le sette giocano su normali sentimenti di ambivalenza, cosa facile con i giovani che hanno meno esperienza di vita. Ad esempio, è quasi impossibile che adolescenti e giovani adulti non abbiano sentimenti contrastanti nei confronti dei genitori. Anche la madre o il padre più amati hanno avuto scontri con i figli che lasciano ricordi di rabbia o delusione, e la maggioranza dei genitori ha almeno qualche abitudine o peculiarità irritante. Molte sette si preoccupano di battere su questi sentimenti irrisolti e li sfruttano per legare i membri al gruppo. Oltre ad essere indotti a condannare famiglia e relazioni personali, vengono portati a credere che essi stessi erano "persone cattive" prima di entrare nel gruppo.
FONTE
Fino a pochi decenni fa i genitori discutevano spesso dello stile educativo da adottare con i loro figli. Ad esempio, se essere più o meno severi, o fino a che punto assecondare le richieste di oggetti inutili da parte del bambino. Oggi è sempre più raro trovare genitori che discutono sullo stile educativo da seguire, e sempre più spesso emerge il discorso su “come sono i bambini di oggi”. E’ come se il comportamento dei bambini fosse diventato sempre più difficile da comprendere e gli interventi educativi fossero sempre meno efficaci. Perché i genitori si sentono sempre più impotenti verso i comportamenti, talvolta molto aggressivi, dei loro figli? Cosa è cambiato in questi ultimi decenni, che ha reso sempre più insicuri i genitori? Cosa ha creato così tanta distanza fra bambini e genitori?
1. acquisire il controllo sul tempo personale individuale, in particolare quello dedicato alla riflessione e all'ambiente fisico;
2. Creare senso di impotenza, paura e dipendenza, fornendo contemporaneamente modelli del comportamento che la leadership vuole produrre;
3. premi, punizioni ed esperienze al fine di sopprimere precedenti comportamenti e atteggiamenti sociali, compreso l'utilizzo di stati alterati di coscienza;
4. manipolazione di premi, punizioni ed esperienze per provocare comportamenti e atteggiamenti voluti dalla leadership.
5. creazione di un sistema controllato, in cui chi dissente viene fatto sentire come se i suoi interrogativi indicassero che esiste qualcosa di intrinsecamente sbagliato in lui.
6. mantenere i membri inconsapevoli e non informati sul fatto che esiste un piano per controllarli e modificarli.
Secondo la dottoressa Singer, l'individuo crede di prendere decisioni autonome quando in realtà è socialmente influenzato a disinserire la mente critica e la capacità di prendere decisioni indipendenti. Nel giro di breve tempo le reclute immerse nel nuovo ambiente iniziano a pensare in modo diverso senza rendersene conto. Le sette giocano su normali sentimenti di ambivalenza, cosa facile con i giovani che hanno meno esperienza di vita. Ad esempio, è quasi impossibile che adolescenti e giovani adulti non abbiano sentimenti contrastanti nei confronti dei genitori. Anche la madre o il padre più amati hanno avuto scontri con i figli che lasciano ricordi di rabbia o delusione, e la maggioranza dei genitori ha almeno qualche abitudine o peculiarità irritante. Molte sette si preoccupano di battere su questi sentimenti irrisolti e li sfruttano per legare i membri al gruppo. Oltre ad essere indotti a condannare famiglia e relazioni personali, vengono portati a credere che essi stessi erano "persone cattive" prima di entrare nel gruppo.
FONTE
Bambini psico-programmati Manipolare l’esistenza senza farsene accorgere
Fino a pochi decenni fa i genitori discutevano spesso dello stile educativo da adottare con i loro figli. Ad esempio, se essere più o meno severi, o fino a che punto assecondare le richieste di oggetti inutili da parte del bambino. Oggi è sempre più raro trovare genitori che discutono sullo stile educativo da seguire, e sempre più spesso emerge il discorso su “come sono i bambini di oggi”. E’ come se il comportamento dei bambini fosse diventato sempre più difficile da comprendere e gli interventi educativi fossero sempre meno efficaci. Perché i genitori si sentono sempre più impotenti verso i comportamenti, talvolta molto aggressivi, dei loro figli? Cosa è cambiato in questi ultimi decenni, che ha reso sempre più insicuri i genitori? Cosa ha creato così tanta distanza fra bambini e genitori?
In queste ultime settimane i media hanno parlato
di comportamenti crudeli e violenti di minori (violenze sessuali e
bullismo). Ci si chiede come mai comportamenti che fino a qualche tempo
fa riguardavano soltanto rarissimi casi sono oggi assai più frequenti.
Oggi le famiglie sono sempre più smarrite fra problemi economici e le pressioni dei bambini all’acquisto di oggetti inutili o di cibi non sani. Il bambino non ha più spazi per correre, per giocare con i coetanei o per conoscere e sperimentare direttamente il mondo della natura. La maggior parte dei bambini trascorre tempo a scuola o davanti alla Tv.
Oggi le famiglie sono sempre più smarrite fra problemi economici e le pressioni dei bambini all’acquisto di oggetti inutili o di cibi non sani. Il bambino non ha più spazi per correre, per giocare con i coetanei o per conoscere e sperimentare direttamente il mondo della natura. La maggior parte dei bambini trascorre tempo a scuola o davanti alla Tv.
Negli ultimi decenni è aumentata la quantità di tempo che il
bambino trascorre davanti alla Tv. Per molti genitori il tempo che il
bambino trascorre guardando la Tv equivale semplicemente ad un momento
di svago o di divertimento. Ma non è così. Sempre più sociologi ed
educatori si rendono conto del rischio di lasciare il bambino davanti al
televisore per alcune ore al giorno. La Tv ha potere, anzi, ha molto
potere.
Il problema è assai complesso, e dire “ la Tv fa male al
bambino, limitiamola a due ore al giorno” equivale a non averne capito
la portata. Non è soltanto per quanto tempo il bambino guarda la Tv , ma
cosa guarda e “come” guarda.
Mentre durante la lettura il bambino è
attivo, può elaborare mentalmente le immagini che il libro evoca, e può
scegliere fra un panorama ampio e diversificato di temi, la tv esercita
un effetto ipnotico sul cervello. La lettura, anche se viene fatta in
solitudine, è creativa e stimola l’immaginazione, mentre lo schermo
televisivo paralizza e blocca la creatività. Le produzioni Tv tendono ad
assomigliarsi tutte, e quasi tutte offrono una trama di base analoga,
con varianti che diversificano i personaggi e le storie.
Il bambino
che guarda lo schermo televisivo per alcune ore al giorno, riduce
l’attività motoria e cognitiva. E’ indotto ad alterare la propria
percezione della realtà, in quanto egli non è ancora capace di
considerare i programmi televisivi come pura finzione. La realtà
virtuale dello schermo è per lui una pericolosa intrusione, da cui non
sa difendersi. Come osserva lo scrittore Guido Ceronetti, “chi accende
la televisione spegne il bambino”.[1]
La
Tv colpisce la fantasia del bambino e il suo senso del magico, ma lo fa
ponendogli dei limiti e costringendolo a provare emozioni spiacevoli. I
programmi Tv catturano i bambini all’interno di un mondo illusorio, che
stimola alcune caratteristiche della personalità, come l’egocentrismo,
l’egoismo e il voler prevalere sugli altri. Rimanere ancorati a questo
mondo falso per molte ore al giorno, può far insorgere una serie di
difficoltà ad elaborare gli aspetti più inquietanti dell’esistenza, come
la sofferenza.
La crescita emotiva del bambino dipende dalla sua capacità di accettare i limiti che la realtà impone e di conoscere le sue risorse sociali, intellettive e creative. Senza una crescita emotiva e affettiva il bambino non potrà sentire la soddisfazione interiore necessaria a sopportare e ad elaborare la sofferenza. I programmi Tv inducono il bambino a perdere il riferimento in se stesso e a dipendere da stimoli esterni. In tal modo, egli si troverà smarrito di fronte a qualsiasi problema che gli richieda di guardare dentro se stesso e cercherà in tutti i modi di fuggire dalla sua vera situazione interiore. I programmi Tv evocano in lui molte paure, ma non gli forniscono gli strumenti affinché egli possa autonomamente elaborarle.
La crescita emotiva del bambino dipende dalla sua capacità di accettare i limiti che la realtà impone e di conoscere le sue risorse sociali, intellettive e creative. Senza una crescita emotiva e affettiva il bambino non potrà sentire la soddisfazione interiore necessaria a sopportare e ad elaborare la sofferenza. I programmi Tv inducono il bambino a perdere il riferimento in se stesso e a dipendere da stimoli esterni. In tal modo, egli si troverà smarrito di fronte a qualsiasi problema che gli richieda di guardare dentro se stesso e cercherà in tutti i modi di fuggire dalla sua vera situazione interiore. I programmi Tv evocano in lui molte paure, ma non gli forniscono gli strumenti affinché egli possa autonomamente elaborarle.
Mentre in
passato le sue insicurezze e paure erano interne alla sua stessa psiche e
trovavano negli adulti la giusta rassicurazione per elaborarle, oggi il
bambino si trova nel labirinto di paure create artificialmente dalla
Tv, e dagli adulti non ha il necessario apporto emotivo per poterle
risolvere. Molti bambini cercheranno di tenere quanto più in profondità
nella psiche le loro paure, perché incapaci di affrontarle. Tale
repressione crea una situazione di potenziale pericolo per il loro
equilibrio. Alcuni di essi potranno improvvisamente ammalarsi di
attacchi di panico o di depressione. Altri ragazzini commetteranno
azioni di bullismo o di violenza, se si presenterà l’occasione,
esternando l’aggressività in maniera distruttiva e antisociale.
La Tv
isola il bambino all’interno di una realtà che non esiste, e gli
impedisce le naturali interazioni con i coetanei e i genitori. La nostra
civiltà, che vuole definirsi “della comunicazione”, in realtà ci vuole
poco comunicativi, poco capaci di trasmettere agli altri parte dei
nostri vissuti più profondi. Ci vuole divisi e coperti da una maschera
protettiva che ci difenda dalle nostre stesse paure.
Osserva lo studioso
Adolfo Fattori:
Bambini sempre più soli, sempre più assorbiti, in mancanza di meglio, dall’altro fondamentale elemento del transito verso la società postindustriale: la televisione. Bambini che percepiscono gli adulti a loro vicini come esseri sempre più distanti, indifferenti, sconosciuti - e che, per forza di cose, finiscono per confondersi con i vari modelli esibiti dai media.… di fronte - grazie ai media basati sull’immagine - ad una profonda trasformazione antropologica, che si abbatte sulle strutture della conoscenza: sul nostro modo di esperire il mondo, di concepirlo, di descriverlo.[2]
Bambini sempre più soli, sempre più assorbiti, in mancanza di meglio, dall’altro fondamentale elemento del transito verso la società postindustriale: la televisione. Bambini che percepiscono gli adulti a loro vicini come esseri sempre più distanti, indifferenti, sconosciuti - e che, per forza di cose, finiscono per confondersi con i vari modelli esibiti dai media.… di fronte - grazie ai media basati sull’immagine - ad una profonda trasformazione antropologica, che si abbatte sulle strutture della conoscenza: sul nostro modo di esperire il mondo, di concepirlo, di descriverlo.[2]
La
vita emotiva del bambino rischia di diventare sempre più arida e
focalizzata sugli oggetti materiali o sulla competizione (tema presente
in quasi tutte le produzioni per bambini).
Attraverso la Tv , il
bambino sperimenta con maggiore pericolosità la doppiezza della cultura
in cui vive. I genitori gli vietano l’aggressività, che egli assorbe
copiosamente dalle produzioni televisive. Il bambino di età inferiore
agli otto anni ha fantasie di onnipotenza e per questo percepisce con
fastidio i divieti genitoriali. Di conseguenza egli sarà indotto ad
avvicinarsi maggiormente al mezzo televisivo, per l’inconscia ribellione
alle regole che gli vengono imposte.
Le ambiguità culturali fanno
si che il bambino assuma una ‘maschera’, che gli consenta di essere
socialmente quello che la società gli chiede di essere, cioè reprime le
proprie pulsioni. Tuttavia, essendo tali pulsioni sovrastimolate, ed
essendo ostacolato il suo progresso emotivo, egli è pericolosamente
esposto ad agire negativamente le proprie pulsioni, qualora le
situazioni glielo consentissero. In particolare, quando si sentirà
protetto dal gruppo.
Il bambino non ha ancora un senso di sé
adeguato, e oscilla fra il sentirsi narcisisticamente al centro
dell’universo e il sentirsi sopraffatto da forze esterne. I programmi
televisivi che esaltano la forza fisica e la lotta lo inducono a credere
che per sentirsi adeguato deve prevalere sugli altri, mentre le
possibilità di vera elaborazione emotiva ristagnano. Egli sarà indotto a
sviluppare un’esclusiva attenzione verso se stesso e ciò lo renderà
incapace di vera empatia verso l’altro.
Le produzioni giapponesi o
americane, che si basano sulla diade amico/nemico e su trame piene di
lotte e di mostri crudeli, se guardati ripetutamente o giornalmente,
dopo poco tempo possono entrare a far parte della realtà immaginativa
del bambino, che sarà quindi pregna del senso di dover lottare con
violenza per non soccombere. Un bimbo di pochi anni, che attraverso
queste produzioni avrà già visto corpi straziati, lotte furibonde,
guerre e crudeltà di ogni genere, avrà conseguenze sulla sua giovane
mente.
Le storie violente sono accentrate sulla lotta fra i diversi
personaggi. Uno o più ne usciranno vittoriosi. Il messaggio fondamentale
di queste produzioni è quello di escludere il mezzo pacifico per la
soluzione dei problemi. La tendenza a porre nemici disumani, mostruosi
oppure cibernetici accresce l’idea dell’ineluttabilità della guerra. La
violenza attrae il bambino, il combattimento, vivace lo cattura.
Secondo
il sociologo Wolfgang Sofsky, la violenza dello schermo attrae e al
contempo è assai dannosa:
Nonostante il disgusto e l’avversione, lo spettatore viene catturato dalle passioni suscitate dalla violenza, che conquistano i sensi, l’udito, la vista, l’anima... Basta un solo attimo e le sue resistenze interiori crollano. La vista del sangue scatena eccitazione, estasi, entusiasmo, il desiderio di altro sangue. Lo spettatore diventa schiavo della crudeltà…è la violenza stessa che cattura lo spettatore. Essa agisce come un veleno. [3]
Nonostante il disgusto e l’avversione, lo spettatore viene catturato dalle passioni suscitate dalla violenza, che conquistano i sensi, l’udito, la vista, l’anima... Basta un solo attimo e le sue resistenze interiori crollano. La vista del sangue scatena eccitazione, estasi, entusiasmo, il desiderio di altro sangue. Lo spettatore diventa schiavo della crudeltà…è la violenza stessa che cattura lo spettatore. Essa agisce come un veleno. [3]
Molti
studi, dagli anni Sessanta fino alla fine degli anni Novanta, hanno
provato che c’è un diretto legame fra aggressività in bambini di età
scolare e quantità di violenza che essi vedono attraverso i media.
Secondo
Bourdieu gli effetti nocivi della violenza televisiva sono ancora più
pericolosi per la mente dei bambini: “I pericoli politici inerenti
all’uso ordinario della televisione derivano dal fatto che l’immagine ha
questo di specifico: può produrre quello che i critici letterari
chiamano l’effetto di realtà, può far vedere e far credere a ciò che fa
vedere. Questo potere di evocazione ha effetti mobilitanti: può far
esistere idee o rappresentazioni, ma anche gruppi.” [4]
Secondo
John Murray, della Kansas State University, le immagini violente
percepite dal bambino hanno effetti devastanti sulla sua psiche: “Sono
attivati l’emisfero destro e alcune regioni bilaterali, le stesse che
intervengono quando viene percepita una minaccia”. In tal modo il
bambino sperimenta e interiorizza la violenza, che produce in lui almeno
tre effetti: paura, assuefazione alla violenza e aggressività. Ma può
anche produrre senso di insicurezza e difficoltà ad affrontare
esperienze di vita reali.
Murray ha analizzato i processi emotivi e
neurorali in una ricerca per conto della School of Family Studies and
Human Services della Kansas State University. La ricerca porta alla
conclusione che le scene violente prodotte nei programmi per bambini
sono ancora più nocive delle scene di violenza che il bambino può vedere
al telegiornale:
Tutte le trasmissioni che contengono scene di violenza facilmente replicabili… sono vicine alla realtà dei bambini. Programmi in cui l’aggressività non ha effetti permanenti. Per esempio, i cartoni animati dove pugni, liti e zuffe non hanno alcuna conseguenza. Per di più la colonna sonora propone una sequenza di risate che rendono il messaggio doppiamente negativo. L’idea è che la violenza rientri nella normalità… Dal punto di vista mediatico, la guerra in Iraq è stata meno violenta di altre trasmissioni. Non c’erano tracce di sangue nei filmati mandati in onda. Venivano inquadrati i fucili ma la camera sorvolava sulla destinazione dei proiettili.
Tutte le trasmissioni che contengono scene di violenza facilmente replicabili… sono vicine alla realtà dei bambini. Programmi in cui l’aggressività non ha effetti permanenti. Per esempio, i cartoni animati dove pugni, liti e zuffe non hanno alcuna conseguenza. Per di più la colonna sonora propone una sequenza di risate che rendono il messaggio doppiamente negativo. L’idea è che la violenza rientri nella normalità… Dal punto di vista mediatico, la guerra in Iraq è stata meno violenta di altre trasmissioni. Non c’erano tracce di sangue nei filmati mandati in onda. Venivano inquadrati i fucili ma la camera sorvolava sulla destinazione dei proiettili.
La censura ha influito
sulla copertura dell’evento da parte di giornali e telegiornali. Gli
operatori non hanno mai mostrato i due campi di battaglia e non sappiamo
quante persone siano morte. Certamente i bambini hanno colto la
negatività della guerra, la sofferenza dei civili pur non vedendo nulla
di raccapricciante… La violenza è una miscela di molti ingredienti. È
provocata dall’assenza e disattenzione dei genitori, da povertà e
discriminazione. Ma la Tv ha un ruolo più incisivo perché perpetua la
violenza, mitizzandola e insinuandole intorno un alone di approvazione.
L’esposizione continua ha conseguenze psicologiche sui minori.[5]
Le
produzioni per bambini, cinematografiche, televisive o ludiche, hanno
sempre avuto una certa dose di induzione all’aggressività o
all’accettazione della guerra. Basti pensare ai classici soldatini o al
gioco dei pirati. Tuttavia, negli ultimi due decenni, le produzioni
ludiche e televisive dirette ai bambini hanno acquisito caratteristiche
assai più inquietanti e destabilizzanti. I vecchi cartoni come Pippi
Calzelunghe, Nonna Abelarda, i Puffi ecc., sono stati soppiantati da
produzioni in cui molti personaggi non sono né umani né animaleschi. Si
tratta di mostri con poteri altamente distruttivi e imprevedibili.
Nel 1994, una ricerca dell’Università di California, a Los Angeles (UCLA), titolata Rapporto di Los Angeles,[6]
analizzò la struttura del racconto di diverse produzioni occidentali o
giapponesi destinate ai bambini, ad esempio dei cartoni Ninja Turtless
(tartarughe Ninja), diventati famosi negli Usa e in Europa. La ricerca
appurò che la struttura di base di queste produzioni era la violenza,
senza la quale tutta la narrazione crollava.
Un’altra ricerca del Centro Studi e Ricerche Neuropsicofisiologiche, diretto dal prof. Michele Trimarchi[7],
ha fatto emergere che c’è un legame fra scene di violenza e i disturbi
del sonno, l’ansia e le paure dei bambini a stare da soli, ad
addormentarsi ecc.
La violenza forma un immaginario pregno di paure e
di incertezze. La mente umana è incline a tenere nascosti
nell’inconscio gli aspetti della realtà più inquietanti, come la morte e
la distruzione, ma quando essi appaiono prepotentemente e
frequentemente sotto gli occhi, elabora una serie di difese per
desensibilizzarsi, o fa emergere bisogni sostitutivi, che dovrebbero
sopperire alle paure evocate. Ad esempio, è rassicurante per il bambino
acquistare oggetti che rappresentano personaggi mostruosi, con cui
difendersi fantasmaticamente.
La pulsione che contrasta l’istinto di
morte, la libido, viene stimolata in vari modi dalla Tv con messaggi
palesi o subliminali, attraverso le pubblicità o i corpi nudi o seminudi
delle donne. La libido precoce e l’immaginario devastato, come diversi
studi hanno provato, sono le caratteristiche di molti bambini
occidentali dai nove ai dodici anni.
Il bambino impara dalla Tv che lo scontro è necessario, che vince il più forte, che i delitti del più forte possono essere accettati, e che il piacere deve essere tratto dagli oggetti materiali (compreso il corpo femminile presentato come oggetto).
Il bambino impara dalla Tv che lo scontro è necessario, che vince il più forte, che i delitti del più forte possono essere accettati, e che il piacere deve essere tratto dagli oggetti materiali (compreso il corpo femminile presentato come oggetto).
La Tv mostra il benessere come piacere dovuto al cibo, al
sesso e all’autocompiacimento narcisistico, ma evita sempre di più di
mostrare la fatica del fare, oppure qualità non apparenti, come quelle
morali o sociali. Ne deriva una concezione dell’esistenza che si
articola sugli aspetti più superficiali: l’estetica, la ricchezza
materiale e la forza fisica. Una cultura che induce a giudicare le
persone non sulla base di ciò che dicono o fanno, ma per come esse
appaiono.
L’incapacità di vera interazione con l’altro e il
persistere dell’immagine femminile come di un corpo seduttivo
(stereotipo della tv) può indurre il ragazzino a credere che le donne
possano essere oggetti disponibili al proprio piacere. Le bambine sono
indotte ad identificarsi con i corpi femminili presentati alla Tv. Ciò
renderà la cultura della mercificazione del corpo femminile come
accettabile e “comune”. Le bambole tipo “Barbie” sono simili ai “corpi”
televisivi, con aspetti di innaturalità nelle proporzioni e nella
perfezione percettiva. Molte ragazzine cercheranno invano di conformarsi
a questi modelli, e serberanno un’inconscio senso di inferiorità
estetica, che le renderà insicure. Il loro Io cercherà di contrastare
tale inferiorità, diventando egocentrico e invidioso, oppure scegliendo
di sottoporre il corpo ad interventi dolorosi o dannosi alla salute.
Quale
sarà il futuro relazionale di questi bambini? Se non si elaborano le
paure, non si diventa capaci di provare profonde emozioni, e se non si
provano autentiche emozioni non si è in grado di amare. Ovviamente, se
non si è in grado di amare anche i rapporti sociali o di coppia ne
risentiranno drammaticamente. Se persiste il carattere infantile
narcisistico ed egocentrico, i rapporti uomo/donna diventeranno rapporti
in cui ogni persona avrà al centro del proprio mondo se stessa, e in
cui l’attrazione verso l’altro scaturisce esclusivamente dall’istinto
sessuale o dal bisogno di gratificazione. Il rapporto ruoterà tutto
sull’aspetto fisico e acquisirà caratteristiche “usa e getta”.
Il
modo, secondo lo studioso Pierre Bourdieu, di distruggere la mente (e lo
spirito), passa attraverso il potere esercitato dalla Tv. Tale potere
può essere definito come un “monopolio di fatto sulla formazione dei
cervelli di una parte cospicua della popolazione”.[8]
Il
controllo della mente dei bambini e del loro comportamento avviene
attraverso l’evocazione di paure e il conseguente incistarsi dei
processi emotivi e affettivi. Rendere loro difficile l’elaborazione dei
vissuti dolorosi e la possibilità di vivere adeguatamente le emozioni
significa costringerli ad essere diversi da ciò che vorrebbero o
potrebbero essere. Significa privarli della loro reale energia vitale,
per indurli a vivere all’interno degli aspetti più superficiali
dell’esistenza, abituandoli a considerarli come gli unici.
Il
problema dei bambini psico-programmati va inserito nel contesto di una
realtà in cui prevale la legge del più forte, e in cui l’inganno e la
sopraffazione da parte di poche centinaia di persone determinano la vita
o la morte di molte altre. Una realtà in cui gli aspetti umani della
cooperazione, dell’altruismo o della vera emotività vengono oppressi o
distrutti da un modus vivendi che non appartiene all’essenza umana. La
realtà che oggi i media ci propongono appare come costruita ad arte per
impedire la soppressione di un sistema assurdo e sempre più distruttivo.
Pubblicità I bambini sono le vittime preferite dalla pubblicità. I
loro volti vengono utilizzati per attrarre l’attenzione, per commuovere,
per suscitare fiducia e tenerezza. La pubblicità prende di mira la vita
emozionale dello spettatore, i suoi bisogni emotivi ed affettivi. La
pubblicità lusinga, inganna, piega, sottrae l’attenzione. I bambini
vengono plagiati dagli spot che emergono improvvisamente dai cartoni che
li stanno destabilizzando emotivamente, e che già li hanno posti in una
situazione di insicurezza e influenzabilità.
Osserva la dottoressa
Ferraris:
Ci sono anche tecniche più subdole che mirano a 'inoculare', nella mente di bambini e ragazzi, insicurezza e insoddisfazione nel caso in cui non riescano a venire in possesso di un determinato prodotto; a volte la frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece in possesso dello status simbol del momento, se sono più belli, più fortunati ecc. C'è per molti lo sconfortante confronto tra la propria vita, il proprio ambiente familiare e quello invece gioioso e brillante in cui si muovono i protagonisti degli spot, coetanei degli spettatori… la pioggia di pubblicità cui sono sottoposti i bambini ha anche l'effetto di promuovere, inconsapevolmente, giorno dopo giorno, esposizione dopo esposizione, una mentalità materialistica: valori, felicità, rapporti personali sono tutti legati al possesso di qualcosa e se non si possiedono i prodotti di moda in quel momento ci si sente inquieti, infelici, incompleti.[9]
Ci sono anche tecniche più subdole che mirano a 'inoculare', nella mente di bambini e ragazzi, insicurezza e insoddisfazione nel caso in cui non riescano a venire in possesso di un determinato prodotto; a volte la frustrazione può creare una vera e propria ferita narcisistica se altri bambini o ragazzi sono invece in possesso dello status simbol del momento, se sono più belli, più fortunati ecc. C'è per molti lo sconfortante confronto tra la propria vita, il proprio ambiente familiare e quello invece gioioso e brillante in cui si muovono i protagonisti degli spot, coetanei degli spettatori… la pioggia di pubblicità cui sono sottoposti i bambini ha anche l'effetto di promuovere, inconsapevolmente, giorno dopo giorno, esposizione dopo esposizione, una mentalità materialistica: valori, felicità, rapporti personali sono tutti legati al possesso di qualcosa e se non si possiedono i prodotti di moda in quel momento ci si sente inquieti, infelici, incompleti.[9]
Per
raggiungere questi risultati le Corporation spendono miliardi di
dollari. Quale potere possono avere i genitori di fronte a tali risorse
manipolative?
Attraverso la pubblicità il bambino impara a dipendere
da stimoli esterni, anche per l’alimentazione. Sarà indotto a diventare
goloso di prodotti non genuini, ricchi di grassi, dannosi, che possono
generare obesità. Questa malattia è oggi molto diffusa negli Usa e si
sta diffondendo anche in Europa.
La pubblicità ha il potere di
condizionare la comunicazione fra genitori e figli. Di far percepire la
realtà in un determinato modo, che si rifletterà nel comportamento e
nelle richieste che il bambino rivolgerà ai genitori. Il bambino sarà
sempre meno capace di profonda comunicazione col genitore, e le poche
comunicazioni saranno incentrate sugli oggetti che egli vorrà possedere.
Chiederà giocattoli strani, inutili o per niente educativi, e i
genitori saranno indotti ad adattarsi alle sue richieste. Attuerà il
cosiddetto nag factor (tormento), cioè tormenterà i genitori affinché
comprino un determinato oggetto, un capo di abbigliamento o altri
prodotti, che senza l’assillo del bambino i genitori non comprerebbero.
Le
campagne pubblicitarie dirette ai bambini hanno l’obiettivo principale
di far acquistare oggetti dannosi o inutili e di far acquisire al
bambino un potere sull’adulto, per stabilire una relazione non armonica
fra genitori e figli. I genitori, spesso non molto presenti emotivamente
nella vita dei bambini, trovano un modo per sopperire alle loro
mancanze attraverso l’acquisto di un oggetto richiesto dal bambino. In
tali situazioni, sia il bambino che l’adulto rimangono inappagati e
frustrati. Il bambino rimane frustrato perché dentro di sé riconosce che
l’adulto ha ceduto per farsi perdonare una mancanza, e l’adulto perché
sa di non poter dare affetto e sostegno emotivo attraverso l’acquisto di
un oggetto.
Che tipo società si avrà a causa del condizionamento
pubblicitario e dei programmi Tv? Una società di persone isolate,
insicure, che credono di poter trovare la felicità nel denaro, nel sesso
e nel prevalere sugli altri. Una società in cui le donne sono
preoccupate soprattutto di sedurre, ricorrendo ad interventi chirurgici o
agli infiniti prodotti estetici ripetutamente pubblicizzati dalla Tv,
mentre gli uomini sono indotti a ritenere che la cosa più importante sia
far soldi, per acquistare un’automobile di lusso oppure per conquistare
donne bellissime.
Una società di soggetti incapaci di veri rapporti
umani, motivati dal proprio universo interiore, ormai gravido di orpelli
fittizi. Una società in cui trovare se stessi diventa sempre più
difficile. In cui la creatività scompare e l’energia sessuale diventa un
modo per soddisfare l’ego attraverso conquiste sempre meno appaganti.
Videogiochi
Persino il governatore della California Arnold Schwarzenegger, che non è
noto per il suo pacifismo, da recente ha approvato una legge per
mettere al bando la vendita o l'affitto di videogiochi che si basano sul
“ferimento grave di esseri umani in maniera specialmente nefanda,
atroce o crudele”.[10] Ciò nonostante, molti giochi a contenuto altamente violento e distruttivo, come “Vice City”, sono regolarmente venduti.
Molti
sanno che la maggior parte di giochi elettronici, pur essendo destinati
ad un pubblico di giovane età, istigano a comportamenti aggressivi e
crudeli. I personaggi con cui i bambini sono indotti ad identificarsi
sono spesso senza scrupoli, disumani. Compiono ogni efferatezza per
divertimento. Lo spettro delle possibilità tematiche di questi giochi
sarebbe ampio, tuttavia, si assiste alla creazione esclusiva di giochi
elettronici simili fra loro, improntati sempre alla lotta fra personaggi
violenti, oppure al dover sopraffare per sopravvivere.
Da uno studio
dei ricercatori della St. Leo University, emerge che i videogame
violenti accrescono le possibilità di comportamento aggressivo nei
bambini e negli adolescenti. I 600 ragazzi della fascia di età di 13/14
anni, che maggiormente utilizzavano i videogiochi, erano i più litigiosi
e avevano uno scarso rendimento scolastico.
René Weber, un
ricercatore della Michigan State University, ha studiato gli effetti dei
videogiochi sui ragazzi attraverso la risonanza magnetica funzionale
(fMRI). Dai suoi studi è emerso che durante il gioco violento vengono
attivate le aree cerebrali che presiedono alle attività fisiche
aggressive. Spiega Weber: “C'è un legame causale fra il tipo di gioco e
lo schema di attività cerebrale osservato, caratteristico della
cognizione aggressiva. Abbiamo determinato un legame neurologico e una
relazione di causa ed effetto a breve termine”.
Il videogioco di
grande successo “Gears of War”, unisce elementi di guerra, orrore e
fantascienza. Racconta di una civiltà umana che credeva di aver
raggiunto l’evoluzione che le consentisse di vivere in pace, ma scopre
che nelle viscere della terra esistono mostri orrendi che la
costringeranno ad una guerra lunga e violenta. La distruttività degli
umani raggiunge livelli altissimi, e la differenza fra mostri e umani
diventerà soltanto apparente. Le armi a disposizione del ragazzo sono
molteplici: baionette, mitra, motosega ecc. Il ragazzo potrà tagliare il
corpo del nemico e smembrarlo, manifestando un livello di violenza
inaudito. Il gioco può durare 8/12 ore. Le devastazioni riguardano anche
luoghi e città, e bellissime architetture saranno completamente
distrutte. Si susseguono momenti di terrore a momenti di intensa
distruttività. Il gioco sarebbe sconsigliato ai minori di 18 anni, ma
non esiste un rigido divieto.
Viene pubblicizzato ampiamente su molti
siti. Ad esempio, troviamo questo genere di pubblicizzazione:
La
bellezza della distruzione Gears of War mantiene la promessa di essere
il gioco graficamente più sbalorditivo su Xbox 360, di quelli che si
mostrano agli amici esclamando "guarda che roba!". Un modello di
illuminazione perfetto, textures definitissime ed una cura maniacale per
i più minuti dettagli rendono GOW una vera gioia per gli occhi: i
personaggi sono poi resi come mai prima d'ora, con corpi animati
perfettamente, corazze definitissime e dai metalli realistici e volti
"veri", rugosi, rovinati e lontani anni luce dall'aspetto "lucido"
propinato da molti titoli anche recenti. Per non parlare poi degli
schizzi di sangue quando affettiamo un nemico con la motosega,
l'esplosione della testa quando colpita da un colpo di precisione o il
frantumarsi del corpo dopo un colpo di fucile ravvicinato.[11]
La
violenza presente in questi prodotti stimola in alcuni soggetti
l’impulso all’emulazione, presentando l’evento violento come divertente
ed eccitante. Uno dei casi tragici che mostrò gli effetti devastanti di
quest’impulso si ebbe alla High School Columbine (Colorado), in cui due
ragazzini uccisero 13 persone, ne ferirono 23 e poi si suicidarono,
emulando il gioco “Doom” della ID.
La nuova generazione di videogame
tratta anche temi come il sesso e la droga. Ciò nonostante, l’85% di
questi videogiochi sono destinati ai ragazzi.
Dopo la guerra in
Iraq, sono stati creati videogiochi incentrati sulla lotta bene/male. Ad
esempio, il videogioco “Left Behind: Eternal Forces” è ambientato in
una New York del futuro, in cui c’è la lotta fra fedeli e infedeli. Al
ritorno del Messia e alla salvezza dei fedeli cristiani, segue la lotta
per reclutare combattenti contro il male, cioè contro i non cristiani.
Il paradosso è che la crescita spirituale viene presentata come fosse
collegata all’uccisione del nemico, che comprende tutti i non cristiani.
Secondo
i produttori, si tratta di un videogioco ‘positivo’. Sostiene Troy
Lyndon, CEO della Left Behind Games: "Il messaggio del gioco non è
'convertiti o muori'. Non c'è sangue, non c'è violenza gratuita di alcun
tipo. Il nostro desiderio è contribuire in maniera positiva in
un'industria che tradizionalmente ha un'influenza negativa sui giocatori
e sul mondo".
In realtà, anche un idealismo da crociata può
instillare nella mente del ragazzo il pensiero che la guerra debba
essere necessaria. Left Behind è ritenuto un videogioco di guerra dalle
associazioni cristiane statunitensi, ad esempio, dalla CrossWalk
America, Christian Alliance for Progress e The Center for Progressive
Christianity, che hanno chiesto di ritirare il gioco in quanto “promuove
l'omicidio, la violenza, l'intolleranza e propone una falsa lettura
della Bibbia”.
Left Behind potrebbe essere considerato la versione in
videogioco dei discorsi di Bush sulla guerra. La storia si basa su
elementi apocalittici che il presidente americano ama citare nei suoi
discorsi. C’è il ritorno del Messia, la salvezza dei fedeli, che vanno
in paradiso, e la battaglia fra bene e male, affrontata da coloro che
ancora devono “purificarsi”. Questo videogioco sembra ideato per formare
futuri soldati della causa americana. Nel gioco vengono uccisi molti
esseri umani, come se ciò fosse inevitabile.
Gli ideatori di
videogiochi a tema religioso dicono di agire in modo da rafforzare la
fede religiosa, ma in realtà fomentano divisioni e odi religiosi.
Rafforzano l’intolleranza verso i non cristiani, che nel gioco appaiono
da convertire o da uccidere. L’elemento ricorrente è l’identificazione
nel personaggio cristiano, che appare come eroico, anche se uccide.
Nel
videogioco “Catechumen", il protagonista/giocatore deve riuscire a
liberare alcuni cristiani prigionieri nelle catacombe e tentare di
convertire i soldati romani alla religione cristiana. Questo videogioco è
stato ben accolto anche dalle famiglie integraliste cristiane, convinte
che il gioco “rafforzi i valori della fede”. In realtà il gioco parte
da presupposti di divisione e di necessità di lotta gli uni contro gli
altri, temi non certo in armonia col cristianesimo.
Un'altra serie di
videogiochi presenta finte fiabe con finale horror. Ad esempio, “Rule
of Rose” appare all’inizio come una fiaba, e quindi attrae anche bambini
di 8/12 anni. Inizia col tradizionale “C’era una volta” e racconta di
una bambina che perde i genitori e si trova da sola ad affrontare le
difficoltà della vita. Ma queste difficoltà non sono soltanto persone
cattive o strani animali, come nelle fiabe tradizionali, e il lieto fine
non c’è. Jennifer, la protagonista, dovrà affrontare insegnanti
pedofili, bambini violenti e malvagi, morti improvvise e oscuri riti
mistici. Gli esseri umani, compresi i bambini, vengono mostrati come
mostruosamente crudeli. Tutto è psicologicamente destabilizzante e nulla
aiuta ad equilibrare la paura e l’inquietudine evocata. Rule of Rose è
stato vietato negli Usa, ma è in vendita regolarmente in Giappone e in
Europa.
[1] Ceronetti Guido, La fragilità del pensare, Bur, Milano, 2000.
[2] Fattori Adolfo, Il lamento degli innocenti, in Armellini Guido, (a cura di), Differenze e scambi fra generazioni come differenze e scambi fra culture, CLUEB, Bologna, 1997.
[3] Sofsky Wolfgang, Saggio sulla violenza, Einaudi, Torino 1998, p. 86.
[4] Bourdieu Pierre, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 22.
[5] http://www3.unicatt.it/unicattolica/postlaurea/master/milano/giornalismo/presenza/2003
[6] Salerno Andrea (a cura di), Violenza TV: Il rapporto di Los Angeles, Reset, Milano, 1996.
[7] La ricerca può essere consultata su http://www.ceu.it/psicologia/psicologia.htm
[8] Bourdieu Pierre, op. cit.
[9] “ Tra influenza, pubblicità e marketing... un dialogo con la dottoressa Oliverio Ferraris”, www.comunitazione.it
[10] Media Psychology, gennaio 2006.
[11] http://www.mondoxbox.com/articolo.php?id=423
[1] Ceronetti Guido, La fragilità del pensare, Bur, Milano, 2000.
[2] Fattori Adolfo, Il lamento degli innocenti, in Armellini Guido, (a cura di), Differenze e scambi fra generazioni come differenze e scambi fra culture, CLUEB, Bologna, 1997.
[3] Sofsky Wolfgang, Saggio sulla violenza, Einaudi, Torino 1998, p. 86.
[4] Bourdieu Pierre, Sulla televisione, Feltrinelli, Milano 1997, p. 22.
[5] http://www3.unicatt.it/unicattolica/postlaurea/master/milano/giornalismo/presenza/2003
[6] Salerno Andrea (a cura di), Violenza TV: Il rapporto di Los Angeles, Reset, Milano, 1996.
[7] La ricerca può essere consultata su http://www.ceu.it/psicologia/psicologia.htm
[8] Bourdieu Pierre, op. cit.
[9] “ Tra influenza, pubblicità e marketing... un dialogo con la dottoressa Oliverio Ferraris”, www.comunitazione.it
[10] Media Psychology, gennaio 2006.
[11] http://www.mondoxbox.com/articolo.php?id=423
visto su : http://fintatolleranza.blogspot.it/2013/06/manipolazione-mentale-plagio-bambini.html
Ottimo articolo
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