Cavtat - archivio Turi |
Cavtat, 14 luglio 1974, qualche ora prima dell'affondamento- archivio Turi |
i veleni della Cavtat - archivio Turi |
Acque
torbide: veleni in fondo all’Adriatico.
Misteri, segreti e nebbia. Come in quell'alba rovente e drammatica del
14
luglio 1974. Due navi incrociano al largo di Capo d'Otranto. Sono la
Cavtat,
mercantile jugoslavo al comando di Niksa Lucic; e la Lady Rita, battente
bandiera
panamense, comandante Carmine Laudato. Latitudine: 40'04' Nord.
Longitudine:
18°31' Est. Sono le 4.12: la Lady Rita sperona la Cavtat. Penetra di
prua nella
fiancata del cargo jugoslavo, quasi al centro. Fine d'un viaggio. Se non
ci fosse stato l'allora pretore Alberto Maritati, gran parte dei veleni
sarebbe ancora in fondo al mare.
Inizia così inizia
un nebuloso affare. La Cavtat era partita il 28 giugno dall'Inghilterra, porto
fluviale di Manchester. Destinazione: Rijeka-Fiume. 2.800 tonnellate di carico.
E in più, duecentosettanta tonnellate di piombo, tetraetile e tetrametile, in
909 bidoni trasportati per metà sopracoperta e per l’altra metà nelle due
stive. La Lady Rita, invece scarica, navigava in senso inverso, destinazione
Djela e Casablanca. Di questi, ufficialmente 863 furono recuperati nel 1978. Una parte dei veleni è ancora nel relitto della Cavtat?
Cause della collisione? Dice Laudato: «E' stato un
errore di manovra di accostata a sinistra della Cavtat». In senso inverso
ribatte Lucic. Tutta colpa della nebbia? Il bollettino di quel giorno dell'Aeronautica militare, parla visibilità
relativamente buona.
La Cavtat agonizza. Come per ogni nave che
s'inabissa. La gente della Lady Rita presta i soccorsi necessari e prende a
bordo i marinai del cargo jugoslavo. Ha raccontato il comandante Laudato: «C'era
tutto il tempo per rimorchiare la Cavtat sulle secche. In un'oretta al massimo
ce l'avremmo fatta. Feci la proposta al comandante Lucic. Prima di rispondermi,
tornò sulla nave in compagnia di alcuni marinai e del nostromo. Dopo una
ventina di minuti rientrò e respinse l'offerta dicendomi: Grazie, ma non voglio
avere noie con la dogana italiana».
Lucic si riferiva ai burrascosi precedenti della
Cavtat. Un fatto accaduto nel 1970. Il cargo jugoslavo navigava a luci spente
sotto la costa di Castellammare di Stabia. Fu sorpreso da una motovedetta della
guardia di finanza. Il comandante dell'epoca, che non era Lucic, ordinò il
macchine a tutta forza. Nove ore d'inseguimento, dalla costa partenopea a
quella di Ustica. Dalla motovedetta dei finanzieri si sparò. Dalla Cavtat si
lanciarono in mare dei grossi contenitori. Finalmente, il mercantile fu
bloccato. C'era un principio d'incendio a bordo. Il comandante nel 1974 era ancora
al fresco, in attesa di giudizio. Il processo è andato in onda al Tribunale di Palermo.
Ma torniamo alla collisione in Adriatico. Ore 9.15.
La Cavtat scompare tra le onde. Finirà a 93 metri, su un fondale fangoso.
Affonda di poppa, con inclinazione molto elevata. Ha gli oblò tutti aperti. Lo
dimostrano alcune foto scattate dal figlio del comandante Laudato. Va in onda
l’affare. Com'è possibile che una nave, speronata quasi al centro della fiancata,
più verso la prua, affondi di poppa?’ Perchè Lucic ha rifiutato il rimorchio
sul fondale basso a brevissima distanza, ossia a meno di tre miglia dalla costa?
Che ci è tornato a fare sulla nave con alcuni suoi uomini? Aveva qualcosa da
seppellire per sempre in fondo al mare? Di chi o di che cosa aveva paura? Solo
della dogana italiana?
Lucic, attraverso il rappresentante legale
dell'Atlanska Flovidba, società armatrice del cargo, ha sempre sostenuto: «Sapevo
quel che trasportavo, ero a conoscenza della pericolosità del carico. Sui
bidoni pieni di piombo c'è scritto: In caso di pericolo gettare in mare.
Significa che il piombo a contatto con l'aria è terribilmente micidiale».
A causa del pericolo, a tutt’oggi è ancora in vigore l’ordinanza della
capitaneria di Brindisi (allora aveva la competenza territoriale, mentre oggi è
dell’omologo ufficio di Otranto) che vieta la navigazione e la sosta in questa
zona di mare a 3 miglia dalla costa di Otranto.
Gianni Lannes
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